LE “GRANDI” (MICA TANTO) MANOVRE, di GLG
Certo è bene che dalle parole si passi alle bombe, come sta facendo la Russia. Tuttavia, cerchiamo di ragionare un po’, per quel poco che possiamo sapere. In ogni trattativa – a bombe come a parole – ognuno chiede 100 per poter avere una cifra intermedia più o meno alta a seconda dei reciproci rapporti di forza e di altre contingenze a noi in gran parte ignote. La Russia rompe gli indugi e bombarda il Califfato (possiamo esserne sicuri: non in modo decisivo e per finirla presto con questi pretesi “selvaggi feroci”; e religiosi fanatici) al fine di fingere la volontà di aiutare, fra l’altro, pure gli europei, i quali saranno, però, viepiù invasi da migranti. Gli Usa mostrano in modo un po’ variabile la loro contrarietà a che la Russia voglia mantenere in piedi Assad, il solito “novello Hitler”. E la Russia che ne pensa di Assad? Leggiamo queste parole (da un articolo de Il Giornale):
“In quella stessa dichiarazione di guerra [della Russia contro il Califfato; ndr] precisa però di voler intervenire esclusivamente con forze aeree e avverte Assad che la sua salvezza è condizionata all’impegno ad aprirsi alla trattativa. Assad deve, sottolinea Putin, assumere una ‘posizione attiva e flessibile’ e tenersi pronto a ‘compromessi nel nome del suo paese e del suo popolo. Per risolvere la crisi servono riforme politiche e dialogo tra tutte le forze sane del Paese’[sic!]”.
In definitiva, Putin – invitando il “poveretto”, che è lui l’aggredito ormai da anni, a mostrare disponibilità a compromessi con gli aggressori – è già pronto ad accomodamenti vari. Lasciamo, per favore, perdere le belle parole sul “bene del suo popolo e il suo paese”; la Russia accetta l’idea che occorrono “riforme e dialogo con le forze sane del paese”. E quali visto che ci sono solo gli aggressori, più violenti o più aperti a qualche “chiacchiera” con Assad purché se ne vada infine? L’intransigenza americana e le bombe russe (state certi: buttate con discernimento per non distruggere del tutto le forze del Califfato, il che sarebbe di fatto sgradito agli Usa; sono questi a dover decidere la sorte finale dei “fanatici” nemici) servono nel tentativo di incontrarsi a mezza strada, dove la metà – chissà perché il “cuore me lo dice” – sarà un po’ più vicina agli interessi Usa che a quelli russi (ma anche questi non saranno del tutto dimenticati).
Vi sono poi altre appetibili notizie. Intanto che i russi intendono bombardare per tre-quattro mesi e soprattutto – sembra – le posizioni dei jihadisti ceceni a uzbeki (mi sembra). Per quanto ne so, alcuni Generali del Pentagono, ancora alcuni mesi fa, erano allibiti dell’atteggiamento dei “comandi” poiché in un mese o giù di lì l’Isis potrebbe essere distrutto. Non lo si fa fino a quando questa può servire appunto in varie sceneggiate fra cui l’attuale; e poi per spaventare le popolazioni europee (non i governanti che seguono gli Usa in questa pantomima, in specie i francesi sia in Libia e sia adesso contro l’Isis), per favorire la massiccia emigrazione – favorita dai migliori scherani degli Stati Uniti, le “sinistre”, sempre “umane e buoniste” – che ci porrà in situazione di ulteriore dipendenza rispetto all’oltreoceano.
Pensate che bello. Gli Usa (le forze che si rifanno ad Obama soprattutto, direi) lasciano ai russi il compito di indebolire – non credo proprio distruggere, come appena rilevato – le forze del Califfato1. Con questo atteggiamento si dimostrano abbastanza elastici nei confronti degli islamici “radicali” (che, appunto come spauracchio e “nemico irriducibile”, sono ancora utili in specie con l’Europa). Nel contempo, evitano di mettersi nettamente contro la Turchia (che appoggia i sunniti) ed è forse abbastanza irritata per gli accordi Usa-Iran sul nucleare (e altri, più segreti, che hanno seguito questi ultimi). Anche Israele può forse respirare un po’ più tranquillamente: gli Usa sono in grado di nicchiare maggiormente con gli islamici “irriducibili”, nel mentre si immagina che, nella visita del premier israeliano a Mosca, si siano presi degli accordi per evitare il più possibile incidenti fra eventuali “milizie” dei due paesi in Siria.
Assad dovrà rassegnarsi: o se ne andrà o diverrà uno dei 3-4 personaggi che si divideranno la Siria (non come paese frammentato in tanti paeselli, ma in zone di influenza, vere enclaves differenziate comunque fra loro e subordinate ad interessi diversi e spesso contrapposti). E’ tuttavia evidente che, quando un personaggio simile viene così tanto ridimensionato, la sua fine è semplicemente differita più o meno; differita soltanto quella ufficiale e “in toto”, perché è ormai nella sostanza “manovrato”. Assad ha infine dichiarato, almeno riferiscono date fonti, che se fosse necessario è pronto a farsi da parte. Sono dichiarazioni e nulla più, ma sono pur sempre un sintomo che potrebbe non essere appoggiato fino in fondo; anzi è proprio questa l’ipotesi più probabile.
Alla fine di tutta la pantomima – che non si va certo svolgendo principalmente in Siria – avremo Usa e Urss nemici, ma con un occhio di riguardo fra loro in base a compromessi certo temporanei, ma intanto…..2 L’Europa sarà ancora più sottomessa mentre crescerà l’importanza di Turchia e Iran (sia pure un po’ “ballerine” all’interno; e la prima forse più ancora della seconda). Putin accetterà di non insistere oltre dati limiti su rapporti troppo amichevoli con i principali paesi europei.
Ultimamente, Trump – candidato repubblicano alla presidenza – si è dichiarato favorevole ai bombardamenti russi ed è più possibilista rispetto ad Assad rispetto all’attuale strategia (o tattica). Inoltre, cambiando idea rispetto a poche settimane fa, ha affermato che rimanderà indietro almeno buona parte dei vari siriani accolti adesso e nel prossimo futuro. Siamo in campagna presidenziale, quindi diamo poco affidamento a certe dichiarazioni. In ogni caso, Trump è al massimo un po’ più elastico in fatto di enclave che dovrà occupare Assad, non credo lo vorrà ancora per molto tempo capo “ufficiale” della Siria. E i russi stanno bombardando “a tempo” – con operazioni di terra da parte di iraniani ed Hezbollah – per stabilire l’importanza di questa enclave; o magari quale contropartita ci può essere, a garanzia dei loro interessi, nel caso Assad debba proprio andarsene fra un po’.
Teniamo presente che la Siria di Assad – non nemica acerrima di Israele ultimamente, ma come non lo erano Mubarak, Ben Alì e nemmeno Gheddafi, contrari invece piuttosto ad Hamas; ecco perché Tel Aviv è molto scontenta delle ultime “trovate” americane (ed è appoggiata, almeno fino alle elezioni, dai repubblicani, vedi recente viaggio di Netanyahu negli Usa, applaudito al Congresso e non ricevuto alla casa Bianca) – ha una sua importanza, per quanto possa sembrare lontana, perfino allo scopo di ottenere qualche compromesso nelle zone delle Repubbliche centro-asiatiche, limitrofe alla Russia. Questa Siria è “acida” per la Turchia, ma è vicina all’Iran (e tra Turchia e Iran gli Usa cercano di sollecitare la rivalità che oppone i due paesi al fine d’essere la maggiore subpotenza in quella regione). Ed ecco anche perché gli Usa (di Obama, quelli che danno per ora minore importanza ad Israele) hanno cercato accordi con l’Iran, in modo da staccarlo il più possibile da rapporti con la Russia.
In Siria, i russi hanno Tartus, importante sbocco in un mare non proprio secondario per gli americani, se si guarda soprattutto al controllo dell’Europa, partendo da sud, dove vi sono i paesi (Italia e Grecia) più servili oltre che malandati. Allora, concedere magari ai russi di mantenere Tartus – ma nell’ambito di loro rapporti più tiepidi con l’Iran; e senza troppo concedere spazi alla Turchia se per caso cercasse, ma per i propri giochi, di avvicinarsi alla Russia – potrebbe servire agli Usa per contenere pur sempre il paese eurasiatico, accendendogli magari qualche contrasto in Kazakistan o giù di lì. Il tutto per tenerlo sulla difensiva e togliergli possibilità e velleità verso l’Europa, dove il cane da guardia (UE con BCE, ecc.) vigila sempre.
Questa Europa sarà ulteriormente depressa politicamente. In particolare, la Germania rischia di prendere una “musata” non indifferente e di veder diminuite drasticamente le possibilità di diventare di gran lunga il più potente paese europeo e vero tramite con la Russia. Putin accetterà pure che l’Italia (come già la Grecia) diventi effettiva “zona geografica” ben adattata alle manovre americane. Continuerà a tenere ridicoli rapporti con Berlusconi, “servo” ormai degli Usa, ma utile ai fini di compromessi vari per cui certi contatti anche personali hanno qualche rilevanza, nel mentre i rapporti decisivi saranno tenuti tramite i soliti canali diplomatici, molto segreti. Magari, talvolta, con qualche “rivelazione” di giornali sempre pronti a fare da cassa di risonanza dei potenti, fingendo lo scoop; ma solo quando serva da avvertimento all’avversario di non voler fare un po’ troppo il furbo o di voler intavolare con lui determinate trattative senza tuttavia scontentare eccessivamente certi partner, pur subordinati ma pur sempre “alleati” (da tenere docili docili).
Nel contempo, si svolge in Italia una partita non importantissima sul piano mondiale, ma non proprio irrilevante (soprattutto per noi disgraziati che ci siamo in mezzo). Renzi è tenuto sulle braci, non perché non ci si fidi di un servo così zelante; semplicemente perché costui ha per il momento bisogno dell’appoggio di Berlusconi, il quale deve giostrare, nel suo sostanziale abbandono della precedente posizione (all’epoca di Bush), in modo non troppo scoperto per non sparire del tutto dall’orizzonte politico assieme al suo partito ridotto all’osso. E’ tutto un gioco di aggiustamenti continui (dal patto del Nazareno fino alla “chiassosa” ostilità antigovernativa odierna), in cui viene lasciato libero sfogo anche ai sentimenti di forze più scopertamente contrarie alla strategia obamiana perché molto favorevoli ad Israele, nemiche dell’islamismo in genere (anche di quello “moderato”); sentimenti che del resto trovano il loro punto d’appoggio nei suddetti settori repubblicani negli Stati Uniti, in cerca di una diversa tattica rispetto a quella giocata negli ultimi anni dalla presidenza statunitense.
Non penso affatto che Berlusconi sia veramente d’accordo con Renzi, sia pure con finti mal di pancia. Il problema è che ormai – nel famoso incontro del “non caschi o caschi in piedi” – ha accettato il diktat di Obama. Tutto ha accettato, liquidando il debole asse Mosca-Roma-Tripoli (quella di Gheddafi), accettando di essere liquidato da Napolitano con tutto quel che ne è seguito; e non insisto perché su questo ho scritto molte volte. Adesso accentua un qualche malcontento poiché siamo verso la fine della presidenza statunitense e ci sono contrasti negli Usa (non certo tali da mettere in forse la potenza statunitense; diciamo, grosso modo, come all’epoca di Kennedy-Krusciov e missili a Cuba, di Nixon-Kissinger e aperture a Pechino, ecc.; dissidi non irrilevanti comunque, se si ricorda come finirono i precedenti). Soprattutto c’è la necessità di non liquidare del tutto F.I. che ancora serve proprio ad intralciare il cammino di una seria opposizione all’attuale governo ormai “colonizzato”, ma senza troppo parere; più o meno come Syriza e Tsipras in Grecia (con diversità, sia chiaro, è per dare un’idea). Salvini, non a caso, non sa decidersi a rompere con il “nano” e a rivelare dei retroscena che non può non conoscere; e così costringe anche la Meloni a fare lo stesso. Ciò sbriciola e rende pantanoso il terreno di “centro-destra”, dove si verificano i peggiori tradimenti e cambi di casacca in aiuto a Renzi.
Tutti questi “marci” giochetti – sia internazionali che interni – sono al momento il massimo che ci viene dato dal multipolarismo; il quale è tuttavia in marcia, non facciamoci ingannare dal fatto che quest’ultima non ha nulla di lineare, non avviene al suono di fanfare e di prese di posizione nette e roboanti. C’è al momento un volontà di compromesso appena celata da una discreta dose di prepotenza statunitense. Ma è una prepotenza studiata, calcolata; e perfino concordata, in forme diverse e certamente non esplicite, con gli avversari. Scordiamoci che Putin sia come i dirigenti sovietici della prima Urss (fino a Stalin). Nel 1929, quando fu lanciato il primo piano quinquennale, il paese dei Soviet (non funzionanti) era più debole rispetto all’occidente capitalistico di quanto non lo sia la Russia odierna; la decisione nel perseguire una politica autonoma “di potenza” era però ben più ferma e non ambigua. Occorreranno altri dirigenti russi per arrivare ad un autentico policentrismo conflittuale con Usa e UE. Quest’ultima è poi semplicemente un’appendice statunitense, priva di qualsiasi indipendenza.
Di che cosa abbiamo (cioè avremmo) bisogno in Europa e in Italia? Non di stupide tiritere contro la finanza cattiva, per la semplice uscita dalla UE e dall’euro come se questo fosse il toccasana. Qualcuno potrebbe obiettare che propone simili misure solo come presupposto e preliminare a misure più drastiche. Va bene, si può accettare ma “cum grano salis”; e senza però più tirare in ballo le massonerie finanziarie perché queste sono l’effettivo falso obiettivo di chi si finge “critico di sistema” mentre ne è un subdolo e malefico sostenitore. Tuttavia, quando siamo usciti dall’euro e dalla UE, che facciamo? Qui è il problema dove al momento siamo tutti arenati. Siamo in balia dei giochi, indubbiamente tra avversari, che stanno facendo statunitensi (almeno una parte rilevante) e russi. Con l’Europa, gli Stati Uniti nemmeno giocano, bensì comandano e basta; sia pure con svariate modalità, le quali dipendono in ogni caso più dai contrasti interni all’establishment statunitense che da effettiva resistenza dei governi (e forze politiche) europee. Anche le opposizioni nel nostro continente, malgrado la presenza di apparenti aperture alla Russia (FN francese, Lega e ampi settori del centrodestra in Italia), non riescono al momento a veramente “mordere” in senso decisamente anti-USA. E se non ci liberiamo presto dell’Inghilterra, stiamo freschi!
Mi limito a comporre questo quadro d’insieme, certo con molte manchevolezze ed in modo forse troppo sintetico. E sulla base di ipotesi non del tutto ancora stabili e dotate della sicurezza necessaria. Non oso proporre al momento nulla perché “canterei in falsetto”. Dobbiamo ancora macinare molto frumento per avere la farina necessaria ad ottenere un pane “ottimo e abbondante”. Abbandoniamo però le ipotesi sempre più facili, in realtà superficiali e fallaci. Cerchiamo di capire la politica in questi suoi meandri da cloaca terribilmente maleodorante. Siamo in grave putrefazione.
1 Da un articolo de “Il Giornale”, in cui si parlava dell’intervista a “La Stampa” del neoconservatore Daniel Pipes (anche studioso di politica internazionale):
“Così se Putin ha deciso di intervenire, nonostante le tante imprevedibili e occulte insidie, è solo perché l’accordo con Obama, raggiunto – anche se in maniera non conclamata – a margine dell’Assemblea Onu, può offrire una riduzione dei rischi e soprattutto una soluzione diplomatica alla crisi. E però Obama deve fare i conti con ambiti potenti, negli Stati Uniti e altrove, contrari a tale convergenza. Gli stessi che hanno spinto per il regime-change in Siria”.
Mi sembrano considerazioni piuttosto sensate.
2 “Il piano per l’offensiva verso Raqqa, la cui preparazione è iniziata prima dell’escalation dell’intervento russo, non è stato coordinato con Mosca. E sul campo potrebbero esservi pericolose sovrapposizioni. Ma giovedi scorso alcuni funzionari del Pentagono hanno parlato in teleconferenza con le loro controparti russe per cercare di minimizzare i rischi”.
Possono esserci ancora dubbi sulla complicata sceneggiata che è in corso?