L’EUROPA SI SALVA CON LA RUSSIA

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L’Ue si è allargata a spese della Russia approfittando della caduta del Muro di Berlino e delle altre drammatiche vicissitudini accadute oltre la cortina di ferro, al principio degli anni ’90. La Nato ha inglobato le nazioni dell’ex patto di Varsavia ed anche alcuni membri dell’Urss, sfruttando il caos provocato dal tracollo del socialismo (ir)realizzato, cui ha contribuito la scellerata “catastrojka” di Gorbaciov e soci. Sempre Ue e Nato si sono estese ai Balcani ricorrendo sia alla persuasione che alle maniere forti, scatenando scontri etnici tra popolazioni fin ad allora abituate a convivere, ingerendosi negli affari di questi popoli per depredare le loro risorse ed imporre i propri sistemi di governo. Dopo il 1989 le cartine geografiche europee sono state revisionate similmente a quanto era avvenuto prima, durante e dopo la II Guerra Mondiale ed, in generale, al pari di quanto avviene sempre nella Storia, in virtù di processi relazionali che determinano costantemente conflitti tra le parti e squilibri nei rapporti di forza tra gli Stati. Pertanto, scandalizzarsi delle azioni del Cremlino in Georgia, in Crimea e nel Donbass, in seguito ai soliti tentativi atlantici di rimpicciolire ulteriormente la sfera d’influenza moscovita, è da impostori oltre che da moralisti con la coscienza sporca. Quando l’Alto rappresentante per la politica estera europea, Federica Mogherini, dichiara “inaccettabili le violazioni della sovranità dei vicini” da parte del Cremlino, si pone fuori dalla realtà (e dimentica il passato) perché nega il fatto compiuto. Se l’evento prodotto si dimostra non reversibile nel breve-medio periodo occorre prenderne atto e procedere a limitare i danni ricercando soluzioni politiche. Le sanzioni non sono tra queste perché rappresentano un ricatto e non una base per avviare una trattativa e mettere le posizioni a confronto. Le ragioni non stanno mai tutte da un lato, per questo è sbagliato, in caso di attriti, arroccarsi dietro presunti principi universali non negoziabili che sono una patente scusa per rifiutare il dialogo, benché non si abbiano altre soluzioni razionali per sbrogliare la matassa. Non voglio dire che i valori siano relativi ma sono pur sempre interpretabili, hanno molte sfumature da considerare per facilitare l’incontro delle opinioni.
Presumibilmente, con l’accettazione dell’annessione della Crimea alla Russia, l’Europa avrebbe scongiurato il conflitto civile nel Donetsk e rassicurato Mosca sui limiti delle sue iniziative, soprattutto dopo che è emerso il suo coinvolgimento nel golpe di Kiev al fianco degli Usa. Il Cremlino, che non attendeva nessuna mano da Washington, si aspettava almeno da Bruxelles una mediazione, nel comune interesse continentale.
Far precipitare la situazione, quando si è incerti della propria e dell’altrui volontà o della natura delle reciproche istanze, a fortiori se si condividono alcune esigenze ed esperienze, può causare anche danni maggiori. Ed è quello che si è verificato tra Russia ed Europa, a tutto vantaggio dei manipolatori d’oltre Atlantico i quali stavano lavorando proprio per approfondire le divisioni e chiudere i canali di contatto tra i russi e gli europei. La frittata è fatta ma in qualche modo bisognerà ripartire. Due sono le certezze che abbiamo in questa fase di transizione. La Russia vuole ricostruire una sua orbita egemonica per contrastare lo strapotere statunitense, quanto meno regionalmente. Per agevolarsi il compito vorrebbe intendersi con l’Ue o con le sue potenze centrali. Più che legittimo. Gli Stati Uniti lo vogliono impedire. Anche questo è giustificato, almeno dal loro punto di vista. E l’Europa? Non si sa cosa voglia. Per ora resta schiacciata tra queste tendenze geopolitiche incapace di trovare una via propria. Nel dubbio rimane ancorata all’antico schema regolatorio che però non produce gli stessi vantaggi di un tempo. Anzi, ne viene fuori danneggiata e depressa. Farebbe meglio a guardare ad Est per uscire dall’impasse ma chiarendosi prima bene le idee sul futuro a cui aspira. Infatti, non si tratta di divincolarsi dal giogo americano per finire sotto quello russo. Si tratta di elaborare un piano strategico che le dia nuovamente rilevanza e la tolga dalla scomoda posizione in cui si trova, nel bel mezzo di una battaglia tra potenze assertive che non faranno fatica a passare sul suo cadavere, se necessario. La riconfigurazione degli assetti mondiali è uno svolgimento inarrestabile della nostra epoca e la Russia in ascesa sembra il partner naturale di un’Europa che intenda ritornare ad essere padrona del suo destino. Se la cosiddetta aggressività russa rappresenta una potenziale minaccia (peraltro remota e ingigantita dalla propaganda Atlantica), l’occupazione americana è un dato di fatto della sua attuale condizione di sudditanza. E’ un controsenso ingaggiarsi col “nemico alle porte” se c’è un invasore già dentro i suoi confini. Del resto, come diceva Brecht, chi parla del nemico è lui stesso il nemico. Oggi, il vero nemico sono gli Stati Uniti. Contro questi occorre scagliarsi individuando chi, dall’esterno (come Putin), può contribuire alla causa per ragioni diverse dalle nostre ma coincidenti con i nostri scopi. Dopo si faranno i conti con gli altri eventuali antagonisti ma nel frattempo questi devono diventare i nostri alleati. Non c’è altra strada per recuperare la sovranità perduta e ricominciare a contare nel contesto multipolare