L’IMPERO DEI PROFESSORI di G.P.

 

Su Comedonchisciotte è apparso un articolo tratto da Rebelion dal titolo LA IV FLOTTA AFFONDO’ L’IMPERO di Atilio A. Boron. Il riferimento è ovviamente al libro di Toni Negri e Michael Hardt, Impero, testo divenuto, in breve tempo, la bibbia del movimento no global. Quest’ultimo si è da subito riconosciuto in quelle moltitudini desideranti e rizomatiche –  attestanti l’esistenza di un inarrestabile flusso rivoluzionario (sic!) nel quale si trova già dispiegata una nuova forma di comunismo vivente- teorizzate dai due citati professori.

In sostanza Negri e Hardt sembrano dire che poiché il comunismo è già nel soggetto (vera idea fissa di Negri che costruisce le sue cangianti soggettività rivoluzionarie attraverso la periodica liquefazione del suo primo amore, la classe operaia di fabbrica), nelle pratiche quotidiane della moltitudine desiderante infungibile e irriducibile ai meccanismi dell’accumulazione (?) e alla riproduzione allargata del rapporto sociale capitalistico, non occorre far altro che dar massima espressione a questi desideri apparentemente incomprimibili dalle leggi sistemiche (attenzione a questo passo perché proprio qui sta il trucco di Negri). Come sempre in questi casi il filosofo torinese Costanzo Preve si dimostra imbattibile nel riconoscimento di questi giochi di prestigio letterari: “…Il motivo per cui generalmente i marxisti dicono che è impossibile realizzare una rivoluzione comunista dentro il modo di produzione capitalistico sta appunto nel fatto che essi ritengono che il capitalismo sviluppa falsi bisogni. Se invece partiamo dal "desiderio", come lo interpretano Deleuze e Negri, effettivamente non c’è più nessun bisogno di una rivoluzione, perché il soddisfacimento dei flussi desideranti delle moltitudini può tranquillamente essere esaudito dentro il quadro della produzione capitalistica stessa. Si ha così una tipica rivoluzione senza rivoluzione, ed è esattamente per questo che Negri piace ai due poli opposti delle oligarchie capitalistiche al potere e dei centri sociali autoghettizzati di consumo detto ‘alternativo’…”  E ancora: “…Il nuovo anarchismo post-moderno della classe media globale di cui Toni Negri è l’indiscusso Bakunin, non sa ovviamente neanche per scherzo che cos’è una formazione economico-sociale (sottolineature di G.P.), con la conseguente necessità di costruire sul piano politico un’alleanza di classe, che non è mai "data" spontaneamente. Questo curioso "spontaneismo" riproduce infatti "spontaneamente" il processo capitalistico di addensamento sociologico di un "livello medio" dei redditi e dei consumi. La differenza fra il liberale normale e l’anarchico disobbediente è che il liberale è disposto a pagare per consumare, mentre l’anarchico disobbediente vorrebbe consumare senza pagare, e chiama questo comunismo…”

I risultati di questi vaneggiamenti sono devastanti: se il comunismo è già qui non c’è nulla contro cui combattere, le pratiche alternative della moltitudo sono la prova che il capitalismo è stato sconfitto, il nuovo slogan da urlare sarà pertanto “consumate liberamente e continuate a desiderare”. Questa stupidaggine negriana fa il paio con un altro vaneggiamento molto in voga negli anni ’70 (ma che si è trascinato anche ai giorni nostri nelle scorribande dei giovani dei centri sociali), quello legato all’appropriazione della merce attraverso l’esproprio proletario come atto che abolisce il valore semplicemente aggirando le casse dei supermercati. Sia chiaro che tutto questo non ha nulla a che vedere con Marx; e Negri, prima di abbozzare tentativi per andare oltre il pensatore di Treviri, dovrebbe fare due conti con il nucleo scientifico della teoria marxiana. Per esempio lo stesso Marx si era sempre scagliato violentemente contro i radicali a parole del suo tempo, quelli che peroravano l’uguaglianza dei salari come obiettivo primario per mettere alle corde i capitalisti (come dire, ogni epoca ha le sue fisime).  Per Marx questa sciocchezza derivava direttamente dalla mancata comprensione della teoria del valore. Difatti tale uguaglianza salariale è impossibile da avverare in un sistema di tipo capitalistico, essendo quest’ultimo fondato sul lavoro salariato dove il valore della forza lavoro non può che essere determinato come quello di tutte le altre merci. Quale stolto, anche in una ipotetica società non capitalistica, può arrivare ad ipotizzare che un lavoro di alta specializzazione potrà mai essere ricompensato come uno di infima abilità? Il punto vero è che Negri lavora solo con “concetti pratici” che sfiorano appena la superficie dei fenomeni (l’apparenza fenomenica) e che, non a caso, si esauriscono quando il vento cambia direzione. In questo modo non si fa scienza ma apologia: della classe operaia, dell’operaio sociale, delle moltitudini, dei soggetti cibernetici e di chissà quali altre diavolerie.

E allora ecco spiegato perchè molti di questi guru a la page stiano oggi perorando l’esodo sociale come pratica per accelerare l’avvento del loro mondo im-possibile.

A distanza di qualche anno dall’uscita del libro Impero che aveva raccolto i favori dell’editoria e del circuito giornalistico ufficiale (ça va sans dire), possiamo sostenere, con Boron, che le astruse teorie di Negri (e i movimenti sociali che ad esse si sono richiamate) sono state smentite dagli eventi storici. Ancora una volta dobbiamo dare ragione a Marx quando sosteneva che il “radicalismo falso e superficiale” finisce solo per rafforzare l’ideologia dominante disperdendo molto potenziale rivoluzionario.

Diciamo che l’articolo pubblicato da Rebelion si dilunga un po’ troppo su un fatto storico determinato (il ridispiegamento, da parte americana, della IV Flotta in America Latina) per mettere in risalto l’ineffettualità delle tesi di Negri, mentre, a mio modo di vedere, è con le armi di una teoria rigorosa che si deve mostrare in maniera adeguata quanto le ipotesi della “Iena Ridens” siano state del tutto campate in aria. Non è con un fatto concreto in controtendenza che si fa crollare un palazzo teorico (traballante già di per sé), così come non è possibile attaccarsi ad un fatto empirico specifico per produrre un sistema generale di concetti teorici. Solo con la scienza, da intendersi come sistema articolato di concetti teorici adeguati alla realtà che si vuole sondare, ci si sbarazza delle superstizioni ideologiche.

Tuttavia, questo stesso articolo conferma invece le ipotesi lagrassiane secondo le quali l’allungamento della linea logistica-militare americana avrebbe indebolito gli Usa, tanto da far credere (come sta avvenendo) che nel breve periodo sarà necessario, per il governo Americano, tornare a ripuntellare le sue sfere d’influenza più prossime. La riattivazione della IV Flotta in Sud America sembra dare ragione a La Grassa che aveva previsto queste cose in tempi non sospetti, quando il grosso dei comunisti parolai stava già festeggiando il dilagante Socialismo del XXI secolo. Infine vi segnalo, sempre nell’articolo di Boron, una parte gustosa riportante una dichiarazione di Thomas Friedman la quale sembra darci ragione anche sulla preminenza della sfera politica nei sistemi capitalistici quando si tratta di approntare grandi strategie geopolitiche che, a loro volta, preparano il terreno alla supremazia economica di aree con aspirazioni egemoniche. Quest’ultimo passo lo sottolineo al fine di una più facile individuazione visiva.

 

LA IV FLOTTA AFFONDO’ L’IMPERO di ATILIO A. BORON
tratto da Rebelion

 

“…Non era facile muovere obiezioni alle idee di un pensatore padrone di una traiettoria marxista tanto dilatata come Toni Negri. Impero, scritto insieme allo statunitense Michael Hardt – un professore di Teoria Letteraria dell’Università di Duke – è un libro voluminoso, involuto e a momento criptico (o confuso, se non si vuole essere troppo benevoli) la cui tesi centrale: "l’impero non è imperialista" suonò come musica celestiale per gli imperialisti. Non causò pertanto sorpresa l’alluvione di elogi con cui il libro fu ricevuto dal mondo "benpensante" e l’industria culturale dell’impero: non è cosa di tutti i giorni che due autori che si autodefiniscono "comunisti" sostengano una tesi tanto gradita e tanto coerente con i desideri e gli interessi degli imperialisti di tutto il mondo, e specialmente con quelli della "Roma americana", come diceva José Martí, che apporta i fondamenti materiali, militari e ideologici sui quali riposa tutto l’imperialismo come sistema.


L’interminabile successione di errori e confusioni che si sgranavano nel corso del testo – spruzzati, è vero, con qualche osservazione più o meno razionale – fu oggetto di numerose critiche. Pensatori marxisti delle più diverse correnti posero in questione e confutarono quest’opera. Da parte nostra, assumemmo come un’esigenza della militanza antimperialista dedicare del tempo prezioso a scrivere un piccolo libro destinato a ribattere alle tesi centrali di Impero, e a cercare di contribuire a neutralizzare la profonda confusione ideologica nella quale, a causa delle stesse, erano caduti i movimenti dell’alterglobalizzazione. Il fatto è che, in linea con il discorso predominante del neoliberismo, e sotto una retorica di sinistra, il libro di Hardt e Negri andava contro, con una insopportabile mescola di ignoranza e superbia, tutta l’evidenza empirica prodotta da numerosi studi sulla dominazione imperialista e le sue conseguenze. A parte l’assurda tesi centrale: un impero senza relazioni imperialiste di dominazione, saccheggio e sfruttamento, si affermava anche che l’impero manca di un centro, non ha un "quartier generale" né un posto di comando, e neanche si fissa su alcuna base territoriale; ancor meno si può dire che conti sull’appoggio dello stato-nazione. Per Hardt e Negri l’impero è una benevola costellazione di poteri multipli sintetizzati in un regime globale di sovranità, permanentemente messa in scacco da una fantasmagorica "moltitudine": una vaporosa o liquida, per dirla con Zigmunt Bauman, aggregazione altamente instabile e cangiante di soggetti che, per un incomprensibile paradosso, erano i veri creatori dell’impero e potevano essere i suoi finali seppellitori se per miracolo riuscivano a guarire dalla schizofrenia che li aveva condotti a costruire qualcosa che li opprimeva e che, al tempo stesso, volevano distruggere.


Per tutto ciò poche immagini potrebbero essere altrettanto gradite al governo degli Stati Uniti e alle classi dominanti di questo paese e dei suoi alleati in tutto il mondo che questa visione abbellita delle sue quotidiane aggressioni, crimini, abusi e il genocidio che lentamente e silenziosamente praticano giorno dopo giorno nei quattri angoli della terra, e specialmente nel terzo mondo. Poche, inoltre, avrebbero potuto essere più opportune in momenti in cui gli Stati Uniti si erano trasformati nella potenza imperialista più aggressiva e poderosa della storia dell’umanità, e nello stato nazione imprescindibile e insostituibile per sostenere con la sua formidabile macchina militare, la sua enorme gravitazione economico-finanziaria e il fenomenale potere della sua industria culturale (da Holliwood alle sue università, passando per i suoi think tank e i mezzi di comunicazione di massa e, last but not least, i suo controllo strategico di Internet, non condiviso neanche dalla UE e dal Giappone) tutta l’architettura del sistema imperialista mondiale.

 

Poco prima dell’apparizione di Impero Thomas Friedman scrisse una nota nella quale diceva, senza alcuno scrupolo, che "la mano invisibile del mercato globale non opera mai senza il pugno invisibile. E il pugno invisibile che mantiene sicuro il mondo per il fiorire delle tecnologie della Silicon Valley si chiama Esercito degli Stati Uniti, Marina degli Stati Uniti, Aviazione degli Stati Uniti, corpo dei Marines degli Stati Uniti (con l’aiuto, incidentalmente, delle istituzioni globali come le Nazioni Unite e il fondo monetario internazionale… per questo quando sento un manager che dice ‘non siamo una compagnia statunitense. Siamo IBM-USA, o IBM-Canada, o IBM-Australia, o IBM-Cina’, gli dico ‘ah si? bene, allora la prossima volta che avete un problema in Cina chiamate Li Peng perché vi aiuti. E la prossima volta che il Congresso liquida una base militare in Asia – e voi dite che non vi riguarda, perché non vi interessa quello che fa Washington – chiamate la marina di Microsoft perché assicuri le rotte marittime dell’Asia. E la prossima volta che un congressista repubblicano principiante chiede di chiudere più ambasciate statunitensi, chiami America-On-Line quando perde il passaporto’ ". Questo è l’"impero realmente esistente", e lo "sceriffo solitario" di cui parla Huntington, con l’onnipresenza degli stati metropolitani, e soprattutto dello stato fondamentale per la preservazione della struttura imperialista mondiale: gli Stati Uniti; con la proliferazione delle grandi imprese "nazionali" a proiezione globale appoggiate dai loro stati (gli stessi che nella loro candida fantasticheria Hardt e Negri credevano scomparsi) e con la decisiva componente militare che caratterizza questa epoca – nella quale si dice che i popoli stanno raccogliendo i dividendi della ‘pace mondiale’, una volta implosa la vecchia URSS, causa dell’equilibrio del terrore atomico degli anni della Guerra Fredda – nella quale, paradossalmente, fiorisce la dottrina della "guerra infinita", interminabile e contro tutti, proclamata da George W. Bush.