L’INTERNAZIONALE POPULISTA DI BANNON (di A. Terrenzio)
In questi giorni Steve Bannon e’ sicuramente il personaggio che sta facendo parlare piu’ di se’ negli ambienti sovranisti
L’ex chief strategist di Trump e’ salito agli onori delle cronache per aver inaugurato “the Mouvement”, il movimento appunto, che dovrebbe essere collettore di tutti i partiti sovranisti d’Europa, da Marine Le Pen a all’FPO austriaco, da Victor Orban a Matteo Salvini.
L’idea del consigliere di Trump e’ quella di creare una sorta di fondazione in grado di sostenere finaziariamente tutti i partiti populisti d’Europa. L’obiettivo dichiarato dallo stesso fondatore e’ quello di creare una organizzazione in grado di far fronte all’Open Society di George Soros che ha nel tempo finanziato con 32 miliardi di dollari, Ong, associazioni che promuovono l’immigrazione, la liberta’ in temi bio/etici come aborto e eutanasia, lega LGBT ecc. La creazione di un movimento Anti-Davos, in grado di organizzare le forze identitarie di tutta l’Europa le elite’ cosmopolite e suoi valori progressisti.
Alle soglie delle elezioni europee del prossimo maggio, una “coalizione delle destre” concorrera’ per prendersi un terzo del parlamento europeo.
In campo quindi sembrano esserci due fazioni, una di stampo globalista, legata ai partiti di sinistra e alla finanza sorosiana; l’altra, un raggruppamento di tutti partiti nazionalisti d’Europa.
Questo il quadro generale.
Quello che in questa sede ci interessa capire e’ se l’inziativa di Bannon rappresenti una opportunita’ o riservi dei rischi, che cercheremo di analizzare.
In una intervista rilasciata all’inviato del Giornale.it Sebastiano Caputo, il leader dell’Alt Right americana, traccia su un foglietto I nomi di tre paesi: Turchia, Iran e Cina. “Sono loro i nostri nemici” dai quali l’Occidente deve difendersi. Per fare cio,’ e’ necessario inglobare la Russia nel blocco occidentale e non piu’ vederla come “nemico”.
Dietro questi intenti distensivi di Bannon, le parole di elogio di Trump alla Russia di Putin, l’impegno comune contro il terrorismo, riemergerebbe il solito progetto di tagliare i ponti alla Russia attraverso dei “choke points” in Asia Centrale, dove come sempre, si gioca la partita eurosiatica.
Ankara, Theran e Pechino, sono indicati come nemici principali, solo perche’ la strategia delle amministrazioni americane precendenti hanno fallito, per cui, seguendo quel detto orientale “se non puoi uccidere il tuo menico, abbraccialo”, la nuova strategia americana e’ in realta’ una rivisitazione della vecchia dottrina Brezinski, che mira solo apparentemente ad armonizzare i rapporti con la Russia ma sempre creadole terra bruciata intorno, di modo da impedire la formazione del grande blocco euroasiatico.
Come ricorda Caputo, per la formazione di una “green Belt” attorno alla potenza ex sovietica, e’ necessario coinvolgere Arabia Saudita, l’India, Pakistan, Egitto ed ovviamente Israele, soggetto quest’ultimo, su cui ritorneremo per comprendere meglio anche la figura di Bannon.
In Europa poi, l’alleato-nemico di sempre, e’ la Germania. La sua indipendenza economica, la riluttanza a certi dettami americani, come la contrarieta’ elle sanzioni all’Iran e il proggetto di un raddoppio del gasdotto North stream, stanno portando al pettine diversi nodi irrisolti tra Washington e Berlino.
Non a caso la rivoluzione giallo-verde e’ stata caldeggiata e promossa dagli States, con grande entusiasmo mostrato sia da Bannon che da Trump, proprio per indebolire la Germania. Ed è stata appunto l’Italia quel laboratorio socio-politico che ha visto emergere il “popolo contro le elites” e che sta avendo riverberi su tutto il continente.
I pericoli ,come accennavamo, sono rappresentati dalla possibilita’ che gli identitarismi europei possano essere fagocitati da un paradigma neocoservatore, che riadattato ai tempi correnti, con nuovi miti e linguaggi, risulti funzionale alle strategie di dominio americano.
I valori della l’open Society”, il “dirittoumanismo”, la volatilizzazione dell’economia, non sono piu’ gli strumenti adatti, per gestire questa epoca di transizione. Ecco perche’ probabilmente i “think tank” del Pentagono (che sono poi i reali decisori di ogni partita che si gioca negli Usa), hanno marginalizzato “Wall street”.
Necessario puntare su un capitalismo “illuminato”, piu’ attento ai bisogni della gente e a modelli reali di sviluppo.
Cio’ che ci interessa capire, e’ quanto l’interesse degli Usa per i populismi europei, sia strumentale al rilancio di una politica di potenza americana, considerando la retorica millenaristica che fa Bannon ed i paesi che designa come nemici.
L’ossessione per l’Iran, l’abbraccio al Re Saud e soprattutto il legame con Israele e Bibi Netanyahu, troppo convergenti alla tradizione di un certo neoconservatorismo americano.
Il vero volto del redattore di Braibhart, insomma, non sarebbe altro che quello di un neocon, ammantato da un nuovo linguaggio populista. Ultilizzare i populismi per spaccare ed indebolire la UE ed al limite per “agganciarli” al nuovo corso della politica americana.
Come sembra plausibile, sono diversi i fattori che fanno sorgere molti dubbi sul consigliere di Trump e l’autenticita’ del suo progetto di una ”internazionale di destra”. Cavalcare l’onda populista, quindi, ma stando sempre attenti agli attori che cercano addomesticarla ad interessi strategici, che e’ bene ricordarlo, sono sempre quelli di Washington.