L'ITALIA COME IL BENELUX? di G.P.
Nell'epoca post-bipolare l’Italia non riveste più un ruolo dinamico e non ha grandi possibilità di fare le sue piccole mosse sullo scacchiere internazionale. Nella precedente fase storica ci eravamo guadagnati, con astuzia e intelligenza tattica, dei margini di manovra, pur entro precisi “limiti atlantici”, che avevano garantito rapporti privilegiati col mondo arabo e qualche altro paese non allineato. Con la caduta del blocco sovietico anche questo spazio angusto si è ulteriormente ristretto, fino a rientrare nelle competenze piene dello Zio Sam il quale ha deciso di modificare il suo atteggiamento verso di noi e verso il mondo in generale, oramai considerato come l'ultima frontiera da conquistare e portare nella propria orbita egemonica.
Per questa ragione il nostro paese, compresso sotto l’egida statunitense sin dal II dopoguerra e dipendente dall’ingombrante alleato tanto per le sue scelte di politica interna che per quelle di politica estera[1], si è trovato nella condizione di dover opzionare una strada alternativa, contando esclusivamente sulle proprie scarne energie e avendo cognizione della sua atavica debolezza geostrategica, aggravatasi in decenni di esercizio di una mera "sovranità condizionata" .
Si tratta dello stesso pensiero espresso da Cossiga nel suo ultimo libro-intervista. Costui ricorda, non a caso, quale fu l’atteggiamento di un uomo delle istituzioni, scaltro e causticamente ironico, come Andreotti di fronte alla sorte della Germania dopo gli eventi del 1989. Dirà l’ex “pluripresidente” del consiglio democristiano: “Amo così tanto la Germania che vorrei vederne due”. In sostanza, Andreotti aveva ben intuito che da quel momento in avanti gli equilibri in Europa sarebbero radicalmente cambiati con un inevitabile spostamento dell’asse delle “simpatie” americane dai contesti nazionali precedentemente in prima linea sul fronte anticomunista – vedi l’Italia, alla quale occorreva garantire un appoggio costante anche per limitare la diffusione tra la popolazione dell’ideologia “rossa” – al cuore del vecchio continente e agli stati della nuova Europa, quelli cioè che stavano staccandosi dalla sfera dominante di Mosca con l’aiuto degli acerrimi nemici di un tempo.
I timori di Andreotti si trasformeranno repentinamente in realtà e gli Usa, prima di retrocedere il nostro paese ad appendice pleonastica dell’Impero (ma comunque tenuta sotto il tallone di ferro dell’Ovest), si assicureranno che il vecchio ceto dirigente DC-PSI fosse quasi completamente annichilito. Washington difatti non poteva rischiare di trovarsi tra i piedi un paese recalcitrante agli ideali americanocentrici del nuovo secolo in dispiegamento, soprattutto laddove era prevedibile che il ceto politico italiano della vecchia generazione si sarebbe di certo messo di traverso ad ulteriori deleghe di potere sovrano senza la garanzia degli antichi vantaggi.
Tangentopoli, come più volte ribadito, nasce da questa esigenza storica di riconfigurazione geopolitica della superpotenza uscita vincitrice dalla Guerra Fredda, anche se il complesso disegno messo a punto dagli yankees (con la connivenza dei poteri forti nostrani e della magistratura politicizzata) non ha, fortunatamente per noi, prodotto tutti gli effetti scientemente perseguiti e auspicati dai suoi "disegnatori".
Ma ancora più interessante è quello che dice Cossiga (e che noi abbiamo intuito da lunga pezza) sul ruolo delle nostre imprese energetiche e sulla loro proiezione espansiva verso i mercati dell’est, del mediterraneo, dell’Africa ed anche dell’America Latina. Il Senatore a vita sostiene apoditticamente che considerata la fiacchezza economica della nazione, il lillipuzianismo del nostro tessuto industriale e la spossatezza di tutta la sua classe dirigente – tenuta per le palle dal potere banco-industriale (a sua volta supino a logiche capitalistiche forgiate sul modello della società dei funzionari del capitale di matrice USA) – se non avessimo avuto grandi players nei settori centrali di questa fase, come l’Eni o l’Enel, adesso saremmo uno Stato senza nemmeno la parvenza di una politica estera. Berlusconi ha saputo dunque sfruttare la forza ancora dirompente di dette imprese d’avanguardia scampate alla messa in liquidazione del “Bazar Italia” stile anni ‘90. Questo non solo e non tanto perché gli interessi di tali gruppi industriali hanno coinciso con gli interessi personali del Cavaliere (elemento che ovviamente pure ha contato) ma perché il suo governo aveva bisogno di una legittimazione reale all’interno e all’esterno dei confini territoriali e si è trovato in mano soltanto lo “strumento” energetico per dimostrare che l’Italia esisteva ancora nella trama mondiale della lotta tra gli Stati. Dice sul punto Cossiga; “…l’amicizia personale tra Putin e Berlusconi non c’entra nulla: è che al netto dei non certo marginali interesse energetici, il governo italiano intendeva e intende trovare un suo spazio sulla scena internazionale in funzione delle proprie ovvie esigenze di politica interna. Nasce così il ruolo dell’Italia mediatrice tra Russia e Usa: un modo per giustificare la nostra presenza nell’Unione Europea senza appiattirci del tutto sugli Stati Uniti… Qualcosa di simile a quel che fecero Fanfani, Moro, Andreotti e Craxi con la loro politica filoaraba: ritagliarsi uno spazio di autonomia nelle pieghe di una politica concretamente fedele alla linea atlantica”. Quindi le scelte estere di Berlusconi hanno avuto, secondo il Presidente Cossiga, due esigenze primarie. In primo luogo quella di non permettere l'obnubilamento dell'Italia dietro l’ombra dei grandi che si stavano disputando le sorti del pianeta e, in seconda battuta, quella di esibire al popolo italiano un ruolo ed una presenza internazionale di alto profilo che rafforzasse l'immagine stessa dell'esecutivo e allentasse i problemi in "casa". Sia come sia c’è da dire che questa combinazione storico-personalistica ha impedito all’Italia di diventare la Cenerentola d’Europa lasciando qualche speranza anche per il futuro; futuro nel quale però si dovrà finalmente smettere di giocare d'azzardo per elaborare una visione più lungimirante e strategica della propria collocazione nel mondo multipolare. A tal proposito, tuttavia, le previsioni del Gattosardo non sono ottimistiche perchè molto grave è stato il nostro arretramento: “Politicamente siamo al livello del Benelux e dal punto di vista militare siamo sotto la Svizzera al pari dell’Austria…senza una politica di difesa è impensabile avere una politica estera seria. E un paese privo di credibilità internazionale è debole anche all’interno dei propri confini". Parole dure ma veritiere che dovrebbero essere conficcate come chiodi nella mente di tutti quei politici pacifisti, quasi tutti di sinistra, che oggi lamentano un non adeguato taglio alle spese militari per via della crisi sistemica globale mentre, al contempo, sbraitano per conservare i loro privilegi parlamentari.
Non confidiamo di certo su questa classe dirigente ma abbiamo ben presente che c’è un male peggiore del quale occorre sbarazzarsi ,in tutta rapidità ,per evitare il pieno incancrenimento del nostro Stato. Questi inverecondi traditori de
lla nazione continuano a seminare dubbi e critiche sui rapporti di amicizia tra Italia e Russia o sulle le iniziative distensive con la Libia di Gheddafi, rivendicano l'adesione alla linea globalista statunitense, si fanno portavoce delle banche e delle inestinguibili famiglie industriali nostrane che hanno speculato sulla collettività per lustri. Ancora ieri (13 giungo) la Stampa ironizzava sulle parole di Miller, numero uno di Gazprom, il quale si è permesso di far notare l'inutilità degli investimenti nelle energie rinnovabili, laddove il gas è ancora disponibile in quantità abbondanti, richiede spese infrastrutturali non così onerose ed è a buon mercato. Il giornalista del quotidiano torinese invece di cimentarsi nella diatriba, magari opponendo dati che smentissero le posizioni di Miller, si è limitato ad insinuare che il leader di Gazprom vorrebbe stringere un collare di tubi al collo dell'Europa per iugulare la sua indipendenza. Che poi guarda caso coinciderebbe con la realizzabilità del progetto alternativo, sponsorizzato dagli Usa, chiamato Nabucco. Ma Nabucco non sa dove andare a prendere il gas da far passare nei propri dotti. Si tratta di un dettaglio? Solo per chi vuole gabbare il prossimo convincendolo che essere un servo è sempre un gran privilegio.
[1] Cossiga racconta in “Fotti il potere” che su determinate tematiche, come il paventato coinvolgimento dei comunisti nel governo (in epoca di compromesso storico) o nella scelta di esponenti politici nei posti chiave di alcuni ministeri (vedi quello della difesa o degli esteri), il veto americano diventava inappellabile e quasi inaggirabile. Tuttavia, l’ingerenza americana dimostrava una certa flessibilità, anche per ragioni di collocazione geografica del nostro paese, in alcuni settori internazionali dove agli italiani veniva permesso di coltivare un approccio "friendly" oltre la linea ufficiale (per esempio con i paesi arabi). Cossiga rammenta che nelle “pieghe” della Guerra Fredda, sebbene l’Italia fosse indiscutibilmente posta sotto l’ombrello della Nato e “protetta” dalle spalle larghe dell’amministrazione Usa, la classe dirigente democristiana seppe comunque coltivare i propri interessi ricavandosi uno raggio di autonomia che non inficiava il disegno complessivo del suo maggiore alleato. Un paese a “sovranità limitata” ma ancora in grado di valutare l'opportunità di un proprio percorso preferenziale tra i due blocchi egemoni.