“L’ITALIA SI E’ ROTTA”
La frase del titolo può essere interpretata in più sensi, e ognuno va bene. So che purtroppo non s’è ancora “rotta” a sufficienza, affinché si verifichino quei “bruschi cambiamenti” che sarebbero necessari; ma forse siamo sulla buona strada, che non sarà però brevissima.
Non ho intenzione di enfatizzare il dissenso espresso dagli operai a Mirafiori, in una riunione “blindata”, le cui notizie sono filtrate attraverso i partecipanti. Mi interessa solo il quadro che “dipinge”: un vero pezzo di “socialismo reale” – e se ancora in molti non capiscono che quel processo storico non conduceva, nemmeno nelle intenzioni, al socialismo e comunismo, non so proprio cosa si possa dire e fare – estremamente indicativo del tipo di “democrazia” propugnato dalla “sinistra progressista”. In ogni caso, ci sono stati i fischi che Angeletti negava spudoratamente al TG4, ammettendo solo qualche disagio e contestazione. I “si” vinceranno grazie a riunioni in cui non è consentita alcuna vera organizzazione della protesta (anche i dirigenti della FIOM, alla fin fine, mi sembra si stiano comportando maluccio, coprendo di fatto la spudoratezza dei vertici sindacali) e al voto dei pensionati (52% degli iscritti alla CGIL e 50% di quelli della CISL); ma anche perché ormai la cosiddetta base operaia non ha più alcuna voce in capitolo ed è dunque disorientata, depressa, incazzata ma sfiduciata, priva di una qualsiasi rappresentanza effettiva.
Per tornare ad averla, sarebbe necessario un intervento di forza che sciogliesse gli attuali sindacati, ne presidiasse a tempo indeterminato le sedi per impedire la loro riapertura e, nel contempo, lasciasse piena liberta di associazione alle varie categorie di lavoratori, con elezione (e sempre possibile revoca in ogni momento) dei loro rappresentanti, pagati integralmente dalla “base” senza il benché minimo sostegno dello Stato. I sindacati oggi esistenti sono infatti apparati di Stato fra i più reazionari e corrotti, con dirigenti di vertice inamovibili (fino a quando non vengano cooptati nelle altre Istituzioni centrali e locali dell’amministrazione pubblica), e gestiti con singolare ottusità burocratica da uno sciame di funzionari inetti e solo interessati alla “carriera”.
Nel mondo politico, con totale insensibilità e arroganza abituale, continua sempre più vorticosamente la commedia delle parti. I ministri e parlamentari della sedicente “cosa rossa” (che, giorno dopo giorno, è “lavata con Omo” e appare ancor più bianca di qualsiasi bianco) sono di rara meschinità e pochezza intellettuale, individui attaccati alle loro poltrone per mantenere le quali manovrano confusamente e senza alcuna idea, con battute estemporanee al posto della manifestazione di idee; essi giocano al buonismo e al progressismo che ormai non risolvono un solo problema di un paese allo sbando più totale. Del Premier e dei suoi complici governativi, della sinistra ora “riformista” ora “moderata” ora “liberaldemocratica”, delle primarie per eleggere il capo di un Partito che più antidemocratico e elitario di così non potrebbe nascere, è inutile parlare perché non c’è molto da dire. Non esistono programmi, solo (giri di) parole vuote, un continuo tramare pestando però acqua nel mortaio. Una inconcludenza completa, tutto sommato coperta, sia pure con frasi di scontento e mugugni, da parte delle inutili Autorità europee.
Dell’opposizione non si sa se provare commiserazione o spernacchiarla. Berlusconi si dimostra sempre più un omuncolo dal punto di vista politico. E’ patetico nel suo sfornare sondaggi (che possono rovesciarsi in pochi mesi, come dimostra l’Inghilterra, dove i conservatori sono passati dal 12% di vantaggio all’11% di svantaggio nei confronti dei laburisti), aspetta l’implosione dell’avversario (un bel modo per dimostrare che non ha alcuna idea nella “zucca”), parlotta ora con Dini, ora con Mastella, ora con altri minori, senza capire che quelli fanno i loro giochi, ma sempre entro coordinate precise che escludono di far cadere il Governo per andare ad elezioni di vero azzardo per tutti. Un vero incapace “a bischero sciolto”. Ma certo se uno vede e ascolta i rincalzi (Fini, Casini, ecc.), capisce che “lui” resta il famoso “orbo Re nella terra dei ciechi”.
Bossi, con il suo avventurismo casereccio e un po’ ridicolo, fa cadere le braccia. Uno non minaccia sempre a parole, senza mai fatti, che il Lombardo-Veneto partirà alla conquista “armata” del-
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l’intera Italia. Detto così, già si capisce che si tratta di trombonate; fra l’altro, i lombardo-veneti sono sicuramente fra i più incazzati della situazione, ma stanno ancora complessivamente benino; nessuno rischia grosso quando ha da perdere qualcosa o anche più di qualcosa. Inoltre, non si organizzano bande armate per promuovere “brusche precipitazioni”, se non si prepara il terreno con i corpi speciali “in armi” (che sono addestrati ad usarle e hanno mezzi ed organizzazione adeguati all’uso). Altrimenti, bastano “due carri armati”, qualche mitragliatrice o lanciafiamme, al massimo uno-due aerei (e forse è già troppo) per disperdere una marmaglia scalcinata, che ha solo in testa interessi “regionali”; una forza che voglia veramente una “brusca precipitazione” deve avere come minimo un respiro nazionale.
Infine, abbiamo le classi dirigenti industriali e finanziarie che, da decenni e non da oggi, sono fra le più inette e parassite e sfatte di tutto il mondo capitalistico “avanzato” (ormai siamo nettamente indietro anche rispetto alla Spagna). Non è disgraziatamente possibile spazzarle via in un battibaleno. La prima mossa dovrebbe essere quella di scompaginare e disperdere le loro rappresentanze politiche, approfittando del disgusto montante nei confronti di queste ultime da parte di un numero crescente di italiani. Tuttavia, per ottenere un simile risultato non è sufficiente la semplice antipolitica e il malcontento generico per quanto acuto. Tali stati d’animo servono come base, per far crescere il disordine e il disorientamento più completi, che alla fine richiederebbero però un intervento d’ordine.
Perché questa è in fondo la rivoluzione (adesso non discuto dei suoi contenuti e di chi essa fa gli interessi), che non è mai il semplice caos, ma l’evento che da quest’ultimo nasce come sua soluzione e passaggio ad un nuovo ordine (sempre tralasciando al momento i contenuti dello stesso). Non a caso, le rivoluzioni si conducono a buon esito finale non semplicemente con le masse in movimento disordinato che magari “assaltano la Bastiglia”; e nemmeno con quelle più organizzate che “prendono il Palazzo d’inverno”. L’inveramento della rivoluzione è nella sua fase finale, poiché essa consiste, in senso proprio e definitivo, nell’instaurare, con brusco salto in altra dimensione (storico-sociale e però anche istituzionale), il nuovo ordine.
Ovviamente, siamo lontani da simili prospettive; le ricordo soltanto per coloro che a volte sparano parole come se fossero pallottole, mentre in realtà semplicemente partecipano al Festival delle c…..te, cui si dedicano in molti, sia a destra che a sinistra. E’ ormai necessario pensare ad un sobrio attacco sistematico ad entrambi questi schieramenti che dimostrano ogni giorno di più la loro inutilità, la loro incapacità di afferrare veramente la gravità della situazione (interna e internazionale), di cui siamo appena agli albori (malgrado duri da una quindicina d’anni almeno), e che sono convinto andrà incancrenendosi con ritmo via via accelerato nei prossimi anni e decenni.
Non vengo a raccontare che ho idee ben precise in merito alle possibili soluzioni; nessuno dimostra di averle, e meno che meno quelli che ci governano attualmente nonché gli “altri” che smaniano per sostituirli alla direzione (si fa per dire, nessuno dirige più nulla) del paese. Non posso, come singolo individuo, sopperire al vuoto totale creato in Italia dalle classi dette dirigenti (in realtà solo dominanti con protervia e cieca sopraffazione). C’è solo da iniziare un lavoro sistematico, che sia di denuncia, di messa in luce del disastro provocato dall’azione di questi dominanti; e si può anche delucidare, nel meno peggiore dei modi possibili, il quadro interno e internazionale in cui dobbiamo abituarci a muoverci nei prossimi tempi. Incominciamo, per quanto sta nelle nostre possibilità; e al più presto.
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