LO STATO DELL’ARTE di R.D.

La morte di Bin Laden è già notizia vecchia. Tuttavia essa rappresenta un “punto e a capo” utile all’avvio di una riflessione.

L’eliminazione di questo personaggio, ha rappresentato un colpo propagandistico assai più che un’operazione strategico – militare. La situazione sul campo resta sostanzialmente la stessa. L’obiettivo era ed è, l’acquisizione di un vantaggio decisivo nei conflitti interni alla politica statunitense.

Nelle dinamiche della lotta politica USA, la possibilità di usufruire a proprio tornaconto di una risorsa comune, è segno di forza e di un' importante preponderanza tattica. Acquisita (e riconosciuta anche dagli avversari interni) da uno dei contendenti, in riferimento ai rapporti con le forze esterne alla nazione; alleati, vassalli o avversari che siano. Ovvio che le principali possibilità operative, siano ad appannaggio di chi controlla la Presidenza. Tuttavia la loro messa a frutto, è ipotizzabile solo in un contesto di rapporto di forze (interne) sufficientemente stabilizzato. Tale stabilizzazione può essere un dato di fatto solo nella prevalenza (temporanea) di una delle forze in campo sull’altra (o sulle altre).

L’azione segnala ed evidenzia questa condizione, sia all’interno che all’esterno. Di qui il suo principale significato propagandistico e comunicativo. Segue la fase della gestione del colpo, non meno importante del colpo stesso.

Sotto certi aspetti, persino la guerra in Afganistan, come quella in Iraq, la loro attivazione e la loro conduzione, debbono essere lette sotto la lente di una lotta per la preminenza di un gruppo di dominanti sull’altro, all’interno della principale potenza del pianeta in questa fase storica. Non si tratta di sovrapporre alla lotta politica, l’arte della propaganda, ma di ben valutare l’importante funzione di quest’ultima come “termoregolatore” dei conflitti tra forze interne, atto ad impedire il raggiungimento di una “temperatura di fusione”, con eventuali scontri all’ultimo sangue, estremamente destabilizzanti e pericolosi.

Il significato propagandistico di un’operazione come quella su Bin Laden, correlata come detto, anche alla capacità della sua gestione “post editing”, sta nella messa a valore dell’opzione che definirei di “penetrazione mirata”, caratteristica della presidenza Obama. Concorrenziale, anche se non pienamente contrapposta, a quella della “guerra preventiva” della precedente gestione. E’ un segnale di forza interno ed una indicazione di direzione verso l’esterno, almeno per l’immediato futuro. Va da sé che considero la possibilità di un colpo su Bin Laden una “risorsa comune”, a disposizione sia dell’una che dell’altra opzione, in quanto assolutamente convinto che l’ubicazione del suo nascondiglio, non sia stata affatto una scoperta recente.

Come detto, non mi aspetto da questo evento, particolari ricadute nello scenario strategico complessivo, salvo forse un incrudimento dei rapporti con il Pakistan, il quale resta tuttavia pur sempre, uno stato satellite. Credo semmai che il settore della scacchiera su cui vanno giocandosi assetti presenti e futuri, anche di medio periodo, sia quello nord africano e più in generale, mediorientale. Naturalmente, sotto questo aspetto, la situazione libica è quella che attira al momento la maggiore attenzione. L’attacco a Gheddafi segnala l’attuazione di un cambio della guardia, o se vogliamo, una rottura di rapporti di forza tra elementi europei. In particolare si può parlare di un regolamento di conti tra Francia e Italia, nel quale la Francia ha palesemente mirato a sostituirsi all’Italia nella veste di partner privilegiato della Libia. Questa azione ostile da parte francese, ha avuto il beneplacito, anzi, il palese appoggio, della potenza americana.

Sotto il profilo di un colpo decisivo inferto alle residue velleità di autonomia in politica estera dell’Italia, l’operazione ha ottenuto pieno successo ed un definitivo suggello. Quale che sia lo sviluppo della situazione libica. Sia che Gheddafi resista o che venga alla fine defenestrato, l’Italia non potrà che avere in Libia, un ruolo del tutto subalterno a quello di altre nazioni. Allo stato attuale, non si danno possibilità terze.

Se il popolo italiano fosse un popolo, anziché un conglomerato di romano-padano-siculo-napoletani, forse di questa cosa dovremmo preoccuparci. Ma fin tanto che continuiamo a galleggiare… chi se ne frega! Tengo a precisare che secondo me nella Storia non è la “somma che fa il totale”, ma la massa critica. Italiani più che degni, ce ne sono molti, anche se minoranza ed io intendo ragionare con questi e provare con questi, a mutare il rapporto di forze. Con quali reali possibilità davvero non so, ma in ogni caso sento il dovere di osare. Non fosse altro per coloro che hanno tentato prima di noi e per coloro che comunque tenteranno dopo.

Credo che la guerra libica, al contrario di ciò che se ne potrebbe pensare, rientri pur sempre nello schema strategico della “penetrazione mirata” di fonte statunitense. Il principale impegno politico-militare, perlomeno in apparenza, è di matrice europea e non americana. Gli Stati Uniti, sembrano esercitare un controllo a distanza, da potenza dominante che lascia lavorare gli altri al servizio dei propri interessi. Negli ultimi tempi si è data una tirata decisa al cappio stretto attorno al collo del colonnello libico al fine di accelerarne la caduta. Come detto dal punto di vista italiano la questione è ormai (purtroppo) del tutto indifferente, nonostante tutti i tentativi di far credere l’opposto da parte del nostro piccolo ministro degli Esteri. Al contrario, dal punto di vista statunitense, l’eventuale tenuta di Gheddafi rappresenterebbe un serio problema. Sarebbe il segnale che è possibile resistere e vincere, sia pure a caro prezzo. La conseguenza assai probabile, sarebbe l’ingresso della Russia e/o della Cina nel pieno del contesto mediterraneo. Esito questo assolutamente da evitare (per gli Stati Uniti). Va detto però che anche queste due ultime entità non sembrano mostrare, al momento, alcuna velleità di penetrazione in un’area così ad occidente. Ritengo la Cina attualmente del tutto fuori da questo tipo di giochi. La sua strategia è semmai più orientata sul versante della penetrazione economica che non politica. Quanto alla Russia, credo concentri i suoi interessi soprattutto in Medio Oriente, e particolarmente in Siria e che sia soprattutto la situazione di quel paese a preoccuparla ed a consigliarle di mantenere un profilo tanto basso da sembrare quasi assente. Del resto, tanto la persistenza di una fortissima tensione all’interno di quel paese, quanto la preventiva rinuncia a qualsivoglia intervento militare da parte dell’occidente, segnalano una consistenza assai diversa dello scontro tra potenze rispetto all’area libica, benché sia stata quest’ultima, negli ultimi tempi, ad essere maggiormente sotto i riflettori. La Siria divide i suoi confini con Israele ed è questo il cuore dei problemi con il mondo islamico ed in particolare con quello arabo. Qui si giocano in misura decisiva, la possibilità di successo dell'attuale conduzione strategica USA. A mio parere, nonostante il fumo di questo giorni, siamo tuttora in
una fase di studio preliminare, in cui i contendenti saggiano le rispettive condizioni di forza. Si tratta di una situazione assai complicata e per certi versi, indecifrabile, a causa del magmatico andare e venire di alleanze, rotture, accordi e tradimenti tra soggetti spesso anche strettamente collegati tra di loro.

Mi pare evidente comunque, il tentativo dell'attuale amministrazione americana, di liberare almeno in parte, la propria azione politica dall'abbraccio fin troppo stretto con lo Stato di Israele. Tentativo a mio avviso irrealizzabile senza una decisa “esportazione di democrazia” nei paesi limitrofi e più in generale nell'area araba. Di qui l'apertura del “Vaso di Pandora” mediorientale di questi ultimi mesi.

E' interessante notare il tentativo italiano di inserimento nella scia della nuova politica americana. Il Presidente della nostra Repubblica, in visita in Israele, ha dichiarato l’intenzione di aprire un ambasciata palestinese a Roma. Non una semplice rappresentanza diplomatica, ma una vera e propria ambasciata. Pochi giorni dopo si è avuta la storica (apparentemente) dichiarazione del Presidente USA circa la creazione di uno Stato palestinese (demilitarizzato) entro i confini del 1967. Al di là della reale consistenza di queste due mosse, ritengo chiaro il tentativo da parte italiana, per tramite del suo effettivo Capo di Governo, di rendere noto il suo pieno inquadramento all’interno della politica estera americana, addirittura anticipandone i contenuti di fondo al fine di dimostrarsi si subalterni verso “l’Alleato”, ma non del tutto passivi.

Va riconosciuto in ogni caso che, in questo senso, la dignità di “potenze” come Francia e Gran Bretagna non è certo superiore a quella italiana.

A mio avviso, la dichiarazione di Napolitano, associata all’assenza di qualunque reazione sensibile da parte del nostro “esecutivo ufficiale”, segnala, assai più degli esiti elettorali in corso, il vero esaurirsi della parentesi berlusconiana e quindi la defenestrazione del soggetto che per quindici anni l’ha incarnata e denominata.

Specifico ancora una volta che non considero Berlusconi un reale protagonista della vita politica italiana. Ritengo questo personaggio un ologramma dell’effettivo conflitto per il dominio dell’Italia, maturato a partire dalla caduta del Muro di Berlino, tra Vaticano e USA. Data la natura estensiva e non aperta di questo conflitto, la figura che ne ha incarnato il punto di equilibrio (instabile), non poteva che essere contorta, contraddittoria e soprattutto, intrinsecamente debole. L’impazzimento della cosiddetta “sinistra” italiana, sta appunto nella chiara percezione della pochezza del personaggio, sempre però sovrastata dal suo “inspiegabile” successo e dalla sua ancor più “inspiegabile” durata. Inspiegabile però solo a patto di chiudere entrambe gli occhi dinnanzi al dato di fatto che l’Italia è, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, un paese a libertà estremamente limitata. Stretta nella morsa di una lotta per la supremazia, in cui essa ed il suo “popolo”, non sono altro che il pegno.

Come detto, questa lotta si è acuita ed è sfociata in effettivo conflitto, a partire dalla fine del socialismo reale all’est. Ora tuttavia, questa lotta sta volgendo al termine. In questi ultimi anni, il Vaticano ha subito duri colpi. Il riproporsi a scadenze sempre più ravvicinate ed approfondite degli “scandali” sui suoi preti pedofili sono a mio avviso, il segnale chiaro di questa vulnerabilità e progressivo indebolimento. La Chiesa non è il monolite che cerca di apparire. Il pesante appoggio della stragrande maggioranza dei vescovi e del clero italiani a Berlusconi, è sempre stato sempre fortemente osteggiato dalla parte di cattolici più impegnata nel sociale. Ciononostante, gli indubbi vantaggi portati al Vaticano dall’accondiscendenza berlusconiana, dall’apertura (ben remunerata) alla Russia di Putin, fino al caso Englaro, tanto per citare degli esempi, hanno fatto pendere il piatto della bilancia decisamente dalla parte dei primi. Ora anche questi cominciano a ritirarsi.

L’evento più eclatante agli occhi del pubblico passa, com’è ovvio, per gli appuntamenti elettorali. Il primo turno per le elezioni al Comune di Milano (ma anche per quelle al Comune di Napoli) , ha già segnato uno spartiacque. Se, come credo, il risultato dei ballottaggi manterrà sostanzialmente lo stesso segno, allora potremo dire che l’epoca dell’utilità berlusconiana è definitivamente giunta al termine.

Una fase della lotta per il dominio dell’area italiana si è conclusa ed il Vaticano ne esce, se non del tutto sconfitto, certamente ridimensionato. Nell’epoca multipolare, la Chiesa di Roma non può aspirare al ruolo di “potenza autonoma”. Del resto in Europa nessuno lo può fare, ad eccezione (forse) dalla rinata Germania. Ma dell’Europa come (inesistente) potenza unitaria, si dovrà parlare un’altra volta.

R.D.

Roma 28/5/2011