LO STATO E I SUOI CORPI di A. Berlendis

 

1. Nel suo utilissimo ‘Breviario dei politici’ del 1684 il cardinale Mazzarino, a proposito del come metter fuori causa l’accusato, raccomandava “Deve sommamente badarsi, che in niun conto penetri, essergli stata fatta da te la spia, né in qual genere. Ma fa in maniera, che gli si scarichi addosso il fulmine prima che ne scorga il lampo; il che suol abbattere anche gli avvezzi a simili repentagli.”
Il che esprimeva la consapevolezza dell’essere l’azione giudiziaria un campo conflittuale regolato da rapporti di forza opportunamente dissimulati. Caratteristica dell’odierna forma dell’ideologia dominante è la invece la rappresentazione dello Stato quale organo meramente amministrativo giacché entità al di fuori ed al di sopra delle parti. Conseguentemente, gli stessi lineamenti   sono attribuiti anche ai suoi apparati che tendono a mostrarsi, ed appaiono, come semplici organi amministrativi di regolazione imparziale tra le diverse parti. Non deve quindi sorprendere che durante un conflitto politico che si sta svolgendo dietro il tema della giustizia, l’organo della GF&ID abbia pubblicato un editoriale in cui si enucleano i requisiti deontologici dell’attività giudiziaria. Il magistrato poiché rappresentante dell’apparato giudiziario dovrebbe sempre agire avendo presente i seguenti “cinque basilari elementi” formulati da Adolfo Beria d’Argentine, che fu per lungo tempo procuratore generale di Milano: “Presa di coscienza della complessità sociale, tensione a conservare sempre testa fredda, amministrare e non fare giustizia, saper coltivare la terzietà, blindare la riservatezza sul proprio lavoro”. Diversi sono i rilievi da muovere a questo pentalogo. In primo luogo, l’idea che l’agire giudiziario consista nell’atto di amministrare, ed amministrare collocandosi al di sopra delle parti coadiuva l’ideologia dominante oscurando ciò che dovrebbe essere consolidato da lunga data: nella formulazione del Trasimaco platonico “che il giusto non è altro che l’utile del più forte”.  In secondo luogo, la giustapposizione del dover essere fondato su norme ideali a fronte di azioni che regolarmente sono di tipo contrario a quelle prescrizioni, rappresenta una rimozione idealistica dell’effettiva realtà relativa agli apparati statali, alle loro funzioni ed al loro agire. In terzo luogo, l’utilizzo di un discorso di tipo generale nel mezzo del conflitto interno al Pdl sulla questione della giustizia indica la presa di posizione contro la strategia di Berlusconi circa la valenza politica unilaterale dell’azione degli apparati giudiziari, e quindi a favore di Fini che ha scelto questo tema come terreno di scontro. Infine, ma non per importanza, il carattere generale del discorso dissimula il carattere eminentemente politico dello scontro, ma come ha ribadito frequentemente La Grassa, uno scontro in cui l’oggetto del contendere ed il vero carattere politico non contingente, non si vuol fare emergere da parte di nessuno dei protagonisti dello stesso. All’interno stesso dell’ideologia dominante, molto meglio del defunto magistrato milanese, il giurista tedesco Ernst Forsthoff delineò nel 1933 il significato che per i dominanti hanno la legalità e le funzioni dell’apparato che la persegue : “Chi ha lo Stato, fa le leggi e,cosa non meno importante, le interpreta. Egli stabilisce che cosa è legale. Poiché la produzione del diritto, come lo Stato in generale, è formalizzata e non ha più nessuna relazione essenziale con i principi materiali del diritto e della giustizia o con ordinamenti intoccabili, anche la produzione del diritto può entrare al servizio di qualsiasi scopo politico. La legalità è quindi qualcosa di puramente formale e non significa altro se non che la volontà di un qualsiasi partito (…)è diventata disposizione di legge (…). La legalità è il mezzo con cui colpire il nemico politico : dichiarandolo illegale, ponendolo fuori dalla legge, squalificandolo dal punto di vista morale e consegnandolo all’eliminazione per mezzo dell’ apparato statale (…). In particolare il campo discrezionale che le leggi devono lasciare aperto all’azione statale permette di volgere quest’azione contro il nemico politico.” 

 
2. Entrando più direttamente sul terreno dello scontro, il finiano professor Campi ha ammonito che “se il Pdl non accetta il discrimine etico-politico della legalità, pagandone il costo in termini di uomini, al centro come in periferia, la sua crisi è destinata ad essere definitiva e irreversibile, semplice preludio di una ben più grave crisi di regime che già si annuncia da molti segnali.” Per chiarire cosa ciò significhi si è riferito all’operazione Mani pulite quale massima incarnazione di tale legalità. A tal proposito ha definito spregiativamente come ‘Dottrina Cicchitto’ quella “secondo la quale la transizione traumatica dalla Prima alla Seconda Repubblica più che il frutto di un collasso interno al vecchio sistema politico-partitico, minato da una profonda corruzione ed incapace di auto-riformarsi, sarebbe stato il risultato di una sorta di colpo di Stato legale operato dai settori più politicizzati della magistratura italiana in concorso con i poteri economici cosiddetti forti e con centrali politiche e di intelligence straniere.” In realtà l’interpretazione del colpo di Stato giudiziario di Mani pulite di Cicchitto non trae conclusioni circa i mandanti esteri, ad esempio nella sua ultima versione afferma che “nell’intreccio fra Mani pulite e Tangentopoli (nel ’92-’94), si è arrivati alla distruzione, unico caso in Europa, di cinque partiti tradizionalmente anti-comunisti e democratici (la DC, il PSI, i partiti laici) ad opera di un “circo mediatico-giudiziario” che ha avuto per protagonisti da un lato il partito post-comunista, il PDS, – malgrado che il PCI fosse organicamente partecipe del finanziamento irregolare dei partiti, (con i suoi strumenti autonomi e “diversi” quali le cooperative rosse, che si sono sommati fino agli anni ’80 al finanziamento sovietico), dall’altro lato alcune procure e alcuni quotidiani (Repubblica, Corriere della Sera in prima fila) di proprietà di gruppi finanziari che contemporaneamente volevano “superare” il sistema di Tangentopoli diventato antieconomico […] e far scomparire le tracce della loro organica corresponsabilità al sistema delle tangenti che era pari a quella dei gruppi dirigenti dei partiti e smontare la partitocrazia. Bisogna aggiungere che per certi aspetti il PDS, per non essere travolto si “inserì” in modo subalterno in questa operazione a cui però diede una piena copertura politica.” Più avanti nella giusta direzione dell’individuazione ed esplicitazione dei mandanti politici dei quella operazione giudiziaria si è spinto Cirino Pomicino che nella sua ultima ricostruzione puntuale inizia raccontando che "Anzitutto Berlusconi tentò invano di convincere nel ‘93 la DC di Martinazzoli a prendere le distanze dalla sinistra e a porsi come sua alternativa, prometten
dole un sostegno finanziario ed elettorale del tipo di quello che aveva dato al PSI di Bettino Craxi. Dinanzi al diniego di Martinazzoli, Berlusconi scese in campo per difendere se stesso e la sua azienda da quella sacra cordata tra la “noblesse oblige” del salotto buono, il PCI di Occhetto che voleva “rubargli” l’azienda televisiva come annunciò il suo leader maximo (“vorrò vedere Berlusconi chiedere l’elemosina all’angolo delle strade”), e la Mediobanca di Cuccia che tentò di ripetere con Fininvest la stessa identica operazione che aveva fatto sulla finanziaria della famiglia Ferruzzi (Ferfin) sollecitando le banche a chiuderle i rubinetti trasformando così i propri crediti in capitale della stessa Ferfin. Nel caso di Berlusconi, la Comit di Bruno e Fausti e la Banca di Roma di Geronzi non seguirono Cuccia come invece avevano fatto nel caso di Ferruzzi la quale fu per l’appunto scippata al suo storico proprietario dalla professionalità di un uomo già eletto al Senato nelle file del PCI, e cioè quel Guido Rossi sempre al centro delle più strane vicende imprenditoriali
."  Giunto al termine della sua ricostruzione  puntualizza che "E’ saggio nel raccontare storie complicate come questa, fermarsi ogni tanto e ricapitolare non le opinioni ma i dati certi sin qui acclarati. C’erano, dunque, due forze profondamente diverse tra loro per comportamento, moralità e qualità intellettuali (la mafia e l’intreccio politico-finanziario tra il vecchio PCI, il salotto buono e alcuni giornali) che avevano: a) un comune obiettivo, cioè cacciare chi era alla guida del Paese e sostituirli con altri; b) gli stessi nemici politici: Craxi e il PSI anzitutto, ma anche tutta quella DC che non apparteneva alla sinistra cattolica a cominciare da Andreotti e che, guarda caso, nella sua azione tra il 1989 e il 1992, fece norme durissime contro la mafia e contro il riciclaggio dei colletti bianchi; c) gli stessi nemici  dentro la magistratura (quel Giovanni Falcone che la mafia voleva uccidere e la sinistra non voleva dargli la  direzione nazionale antimafia mentre il governo lo chiamò ai vertici ministeriali). Tre strane ma documentate coincidenze  che sono ancora indizi"  Unitamente ad altri scritti l’autore indica gli attori (i piciisti), i committenti interni (la ‘borghesia azionista’) ed i mandanti esteri (la ormai famosa ‘manina d’oltreoceano’) unitamente al disegno politico che perseguono dagli inizi degli anni ’90 del secolo scorso. Il problema comincia con il fatto che analisi come quella dell’esponente ex-Dc non solo non sono diventate parte della cultura politica di parti significative del Pdl (né ai vertici né, tantomeno della sua base sociale) e quindi non hanno dato atto ad un progetto politico con un minimo di chiarezza e coerenza che da tali analisi sarebbe potuto conseguire. Anche coloro che sono sintonici con le analisi suddette, non nominano l’effettivo nemico, perché se lo individuassero come tale si troverebbero davanti il problema di chiarire perché gli è nemico, perché li combatte, quali sono gli obiettivi che persegue e quindi, per differenza, quali sono quelli delle forze interne che vengono combattute da questo nemico esterno tramite le  sue propaggini nazionali. In questo conflitto si dovrebbe, o potrebbe esplicitare o formare, il progetto politico, che pur se differente potrebbe venir perseguito con possibilità di un qualche successo man mano si intensificherà il multipolarismo. La forma sorda della resistenza interna espressa da dati settori non è detto sia pagante ancora con il divenire della situazione. Il punto sta nella differenza tra il margine di azione autonoma entro il campo atlantico durante il conflitto bipolare dell’epoca ormai trascorsa, ed il margine di azione autonoma sempre entro il campo atlantico—ma meno coeso e coordinato dagli Usa—andando verso una situazione multipolare. Berlusconi è stato sì l’espressione contingente e causale, e non del tutto organica, di quella resistenza sorda, ma per non venire sconfitti e privati di ogni base materiale che consenta, il mantenimento e l’eventuale ampliamento di margini d’azione autonoma occorre un altro passo ed un’altra capacità d’azione. In merito alla battaglia in corso, nascosta dietro la legalità, sarebbe opportuna aver ben chiaro con Carl Schimtt  la funzione  che la legalità ha per i dominanti : “La legalità diventa l’arma avvelenata con la quale si colpisce alle spalle l’avversario politico. In un romanzo di Bertold Brecht alla fine il capo dei gangster comanda ai suoi seguaci : il lavoro deve  essere legale. La legalità finisce qui come parola d’ordine di un gangster.”  Quindi dovrebbe agire risolutamente verso la resa dei conti. Ma evidentemente la debolezza di Berlusconi sta nel fatto che non controlla né ha sponde significative negli apparati statali decisivi (repressivi):  né nell’apparato militare (i sempre citati leniniani ‘distaccamenti di uomini in armi’), né evidentemente nell’apparato giudiziario, né negli apparati di sicurezza interni (le varie diramazioni dei servizi segreti). Da buon democratico all’americana ha creduto di poter contare sull’apparato statale in realtà meno incidente, il Parlamento, e sulle risultanze a lui favorevoli delle cosiddette ed osannate procedure democratiche (ho volutamente omesso il Governo perché appare ormai chiaro che è luogo di defatiganti mediazioni al ribasso sino alla paralisi).

 
3. Riguardo la sopraccitata reticenza di Berlusconi, ipotizzo l’accostamento con un altro evento, richiamato alla luce da un recente fatto di cronaca. Va infatti rilevato che nel dare la notizia della scomparsa della vedova di Aldo Moro il solo Corriere della sera si è soffermato su di un punto che nessun altro quotidiano ha sottolineato: “la signora Moro ha ripercorso varie volte la tragedia di quei giorni raccontando che suo marito aveva a volte percepito minacce e pericoli per la sua vita. In particolare una volta, dopo un incontro con il segretario di Stato americano Henry Kissinger, il presidente della Democrazia cristiana si era sentito male e venne soccorso dal suo medico personale. Ciò fu dovuto, secondo la vedova, al fatto che Kissinger lo aveva minacciato, dicendogli in modo molto rude che gli Stati Uniti non gradivano affatto la sua politica di apertura verso i comunisti. «Provo a ricordare le esatte parole che mio marito mi riferì— disse la signora Eleonora ai giudici —. Disse che Kissinger lo aveva ammonito pesantemente: o lei la smette di corteggiare i comunisti o la pagherà cara».  Questa ricostruzione è stata però sempre smentita dall’ex presidente della Repubblica Francesco Cossiga e da Giulio Andreotti.” Per essere ancora più precisi, la vedova Moro "parlò esplicitamente in Corte d'Assise di minacce ricevute dal marito da parte del Segretario di Stato americano Henry Kissinger; da parte sua Corrado Guerzoni, collaboratore di Moro, precisò davanti alla Commissione parlamentare stragi luoghi e momenti particolari di tali minacce ricevute dal presidente italiano durante la visita di stato compiuta a Washington. […] Poi Franco Mazzola,che all'epoca del caso Moro era sottosegretario con delega ai servizi segreti, scrisse un libro in cui evoca uno scenario non tanto da contrasti est ovest, ma diciamo nord sud, con relativo conflitto arabo-israeliano, questione mediorientale e del petrolio e tende
nze politiche di Moro considerate filo-arabe
"
Un altro giornalista investigativo appuntò in proposito: “Brandt avverte Moro che negli Usa sono decisi a fargli cambiare la linea filo-araba e filo-Pci, si incontra con un agente dei servizi Usa che lo avverte di stare attento.” Ma se il Pci si era ormai inserito in modo subalterno nella sfera politica italiana ed in quel periodo esplicitava la sua occidentalizzazione, l’ostilità americana non sarebbe relativa ad esso (tanto che l’ingresso nel governo ci fu, al di là dei formalismi del carattere indiretto delle formule usate—‘governo delle astensioni’), ma alla linea politica filo-araba perseguita. A proposito genesi di tale linea è opportuno rammentare con altra fonte giornalistica che “Fanfani di ritorno dagli Stati Uniti convocò suo fratello e gli disse di non acquistare più petrolio dalla Russia. «In quella circostanza – spiegò al giudice Italo Mattei – mio fratello fu molto chiaro e disse a Fanfani che dal quel momento gli avrebbe tolto ogni appoggio politico, appoggio che avrebbe dato con tutta la sua forza all’onorevole Moro ritenendo costui uomo di maggior capacità e indipendenza». La politica di Mattei nel Mediterraneo, tradizionalmente filo-araba, avrà con Moro una particolare accentuazione filo-palestinese ed è possibile che questo abbia provocato irritazioni nei confronti del nostro Paese. L’atteggiamento dell’uomo politico italiano, …, nascondeva un duplice obiettivo: da una parte, aprire nuovi spazi per l’espansione economica italiana e salvaguardare i nostri interessi nel Mediterraneo; dall’altra, tenere il più possibile l’Italia al riparto del terrorismo islamico.” In questa chiave l’esito della vicenda Moro, e quindi la sua rievocazione, potrebbe rappresentare un segnale (con l’appropriato ed opportuno linguaggio cifrato degli avvertimenti)  agli attuali agenti politici su che cosa li aspetti nel caso portino avanti progetti che, nel perseguire gli interessi propri di gruppo, perseguano anche—consapevolemente o meno, non è qui rilevante—anche interessi nazionali italiani in parziale contrasto con progetti e assetti egemonici promossi e graditi dagli Usa.
 
Quindi se Geronimo ci ha avvertito che “In giro ci sono ancora parecchi traditori della Repubblica.” allora, e sempre più nell’epoca multipolare che avanza, varrà la regola (geo)politica sintetizzata da  Don Vito Corleone nel film Il padrino: “Gli amici tienitili stretti ma i nemici ancora di più. I nemici sono dappertutto … anche io potrei essere un tuo nemico.”