L’oro nero dell’America Latina di g.rèpaci
In America Latina, durante la seconda metà degli anni ‘90, il settore dell’energia è stato caratterizzato da intensi processi di privatizzazione dell’industria elettrica e liberalizzazione di quella petrolifera, allo scopo di attrarre nuovi investimenti privati. Tale tendenza però, si è attenuata negli ultimi anni, quando la nuova classe dirigente di alcuni dei principali paesi produttori di petrolio, particolarmente il Venezuela di Hugo Chàvez, ha operato un’inversione di rotta, reintroducendo un forte controllo governativo nella gestione delle imprese del petrolio e limitando l’afflusso di capitali esteri nel settore. I Caraibi costituiscono un importante centro di raffinazione del petrolio: le principali raffinerie, collocate in particolar modo nelle Antille Olandesi e a Trinidad e Tobago, servono sia il mercato locale sia quello estero. Le possibilità di incrementare le esportazioni verso mercati extra-regionali sta producendo imponeneti cambiamenti nel settore petrolifero latino-americano, orientato all’efficienza ed a economie di scala.
Anche la domanda interna di energia risulta in aumento (si stima che duplicherà prima del 2020) ed il commercio inter-regionale sta conoscendo una rapida espansione. Nessuna zona del globo è rimasta immune ai cambiamenti che ci sono stati nel settore e alle loro conseguenze economiche e geopolitiche. In America Latina, dove gli Stati Uniti giocano un ruolo importante in termini di sicurezza energetica e dove
Il progetto vede la costruzione di un gasdotto per portare il gas naturale da Camisea, in Perù, attraverso le Ande in Cile, dove dovrebbe collegarsi alla rete di gasdotti Brasiliana e Argentina, rifornendo così tutto il sud del continente. Ciò vedrà la realizzazione di uno dei piani dell’Alternativa bolivariana per l’America e i Caraibi (Alba) che nata da un’iniziativa cubano-venezuelana, ha visto l’adesione della Bolivia di Evo Morales e l’interessamento del Nicaragua di Daniel Ortega e dell’Ecuador di Raffael Correa. Lo scopo dei governi in questione è mirare all’autosufficienza economica sudamericana (cosa che non può essere digerita facilmente dalla Zio Sam) . Secondo le prime stime dello stato, il gasdotto sarà operativo dal 2012, e trasporterà circa 150 milioni di metri cubi di gas venezuelano e creerà più di un milione e mezzo di posti di lavoro. Per realizzare il gasdotto servirà un investimento di almeno 2 miliardi di dollari. Se l’operazione avrà successo, sarà un passo in avanti importante per l’integrazione energetica del Cono sud. L’intero piano di lavoro darà corpo al progetto di Petrosur e Petroandina. L’obiettivo finale è la costituzione dell’Opegasur (Organizzazione dei paesi esportatori e produttori di gas del Sud America), che dovrebbe, analogamente all’Opec, regolamentare, stimolare e difendere l’erogazione di energia sicura per il continente. Chàvez ha affermato che il Venezuela possiede la riserva di gas più grande del continente, a cui prima o poi tutti i paesi saranno costretti ad attingere. Il progetto, considerato l’infrastruttura più ambiziosa del Sudamerica, comprende il tracciato, i costi, i finanziamenti, la produzione e la fornitura di gas, oltre agli allacciamenti ed alle condotte già esistenti. Prevede inoltre il trasporto di gas dai giacimenti dei Caraibi del Sud e della costa atlantica del Venezuela verso il Brasile e l’Argentina, con un percorso stimato tra i 7000 ed i
L’idea del Presidente Chàvez è di coinvolgere