LOTTA ANTIEGEMONICA E RAFFORZAMENTO DEL SISTEMA-PAESE, di GLG
Dipinto di P. Audia, Potenze in conflitto per la supremazia
1.In tutti i paesi non centrali di quella che ho da molto tempo definita formazione sociale dei funzionari del capitale, per distinguerla dal capitalismo borghese analizzato da Marx con riferimento all’Inghilterra, i (sub)dominanti – nel loro intreccio di agenti strategici economico-finanziari e politici, coadiuvati da gruppi di intellettuali – mettono in opera le loro strategie per la preminenza in conflitto fra loro (anche con varie forme di collaborazione in funzione del conflitto), soprattutto mediante l’ormai ben collaudata azione tesa al divide et impera. Quanto appena detto ha una valenza del tutto particolare in Italia, con i suoi più di sei milioni di lavoratori autonomi (le “partite Iva”). Vediamo di chiarirci un po’ le idee.
Molti critici del capitalismo sono convinti ancor oggi che la vera politica di dominio si fondi sull’omologazione della popolazione in base a certi modelli di consumo (il “consumismo”). Tale omologazione è in realtà più superficiale e apparente di quanto si sostiene; ad affermare simili tesi sono in genere cerchie di presunti intellettuali, che semplicemente considerano il capitalismo una gigantesca macchina in grado di produrre beni in quantità così enormi da provocare una sorta di “indigestione sociale”. Sfruttamento ed esaurimento del fondo naturale (e quindi ecologia come corrente che si pensa radicalmente alternativa alle presenti forme sociali e politiche), consumismo (e quindi lotta al presunto superfluo), onnipotenza dell’informazione (e quindi contestazione del dominio massmediatico): questi sono i tre fondamentali pilastri di un atteggiamento che si crede rappresenti un moderno atteggiamento di attacco alla società capitalistica.
Non si tratta di negare un qualsiasi significato ad un siffatto tipo di critica. Essa non coglie tuttavia le linee di frattura interne alla dominanza del capitale, provocate appunto dal conflitto tra paesi per la supremazia e dal loro sviluppo ineguale, più volte da me ricordato, con il conseguente alternarsi di fasi mono e policentriche implicanti strategie diverse di predominio, e dunque anche di opposizione allo stesso. Consumismo, pervasività massmediatica, esaurimento del fondo naturale, diffondono sulla complessiva formazione sociale capitalistica un colore grigiastro che tutto confonde, impedendo di distinguere le differenziazioni; invece fondamentali in politica, poiché stanno alla base delle distinzioni tattico-strategiche che la caratterizzano. Se poi ci si riferisce in particolare al preteso consumismo, un simile atteggiamento di preteso anticapitalismo ha ben poca efficacia, perché non credo che i modelli di consumo dei vip e quelli dei più bassi gradini della scala sociale, con l’innumerevole serie di livelli intermedi tra gli uni e gli altri, siano poi così omologati e omologabili come si crede da più parti.
Personalmente, punterei invece proprio su di un altro aspetto del dominio, sul divide et impera di cui sopra, perché si affronta così, anche se ancora per “classificazioni” a grana fin troppo grossa, il problema decisivo dei blocchi sociali. Non è un caso che mentre il concreto elettorato viene distinto in “destra” e “sinistra” assai confusamente – nel senso che in ognuno dei due “ammassi” di votanti si trovano imprenditori di varia taglia, professionisti, manager, tecnici, lavoratori salariati (anche operai), precari, ecc. – i due schieramenti politici, soprattutto alcuni loro gruppi dirigenti e altri di tipo intellettuale e giornalistico, volevano fino a qualche anno fa meglio qualificare la “destra” come forza di difesa del blocco costituito dal “ceto medio”, in realtà dalla piccola imprenditoria, dal lavoro autonomo individuale, dalle professioni liberali, ecc.; e la sinistra come paladina del lavoro salariato, soprattutto di fabbrica, ivi compreso quello già in pensione. Per di più, sembrava che certa “sinistra” volesse difendere uno “Stato sociale” ormai sempre più eroso. Oggi, tutto questo non esiste più. L’unica differenza tra i due schieramenti è l’atteggiamento di difesa di certe tradizioni o di adesione a costumi detti nuovi e più aperti ad ogni possibile novità. La questione sessuale e di “genere” è finita in primo piano, dimenticando ogni altro problema essenziale sia di politica interna che internazionale.
Tale nuovo gioco dovrà essere messo in mora, se vogliamo uscire dalla cloaca in cui ci siamo immersi. Alla divisione per “linee longitudinali” – dove in ogni raggruppamento andrebbero riuniti i più disparati strati sociali disposti in verticale – dovrebbe essere sostituita quella per “latitudine”, riferendosi cioè a differenti fasce o livelli di reddito; senza troppa attenzione alla fonte di quest’ultimo, senza cioè contrapporre i salariati agli “altri” (una congerie assai variegata di ceti sociali). Non entro nei particolari, ma credo risulti evidente a chiunque come nascano le diffidenze reciproche tra autonomi e dipendenti (salariati). Ci si metta nei panni di uno di questi ultimi e si pensi a quali rancori egli possa nutrire nei confronti di certi bottegai o professionisti o agenti immobiliari, ecc; soprattutto per quanto concerne il pagamento delle imposte. Poi, ci s’immagini d’essere un lavoratore autonomo e si viva la diffidenza (eufemismo) che può provare nei confronti di certi dipendenti pubblici o comunque di quelli che timbrano il cartellino e all’ora data “staccano”, cascasse il mondo.
Questi sentimenti vanno compresi, ma combattuti, perché favoriscono il potere di chi veramente lo ha, di chi veramente decide delle sorti sia dell’autonomo che del salariato. Poiché la gran massa di entrambe queste figure lavorative si addensa verso i bassi e medio-bassi livelli di reddito, è ovvio che l’opera di chiarificazione politica, di individuazione dei reali agenti dominanti, di demistificazione e svelamento delle loro pratiche di dominio – fra cui quelle di tipo ideologico-culturale – va rivolta con particolare energia in direzione di tali “inferiori” strati sociali. Essi rappresentano la possibile base di massa di una nuova forza che si erga contro il gioco della “destra” e della “sinistra”, tutto teso ad ingannare il corpo elettorale, a dividersi il voto e a sviluppare, con modalità differenti, una politica di subordinazione della gran massa della popolazione ai gruppi di vertice.
2.Non credo comunque che il primo compito di una nuova organizzazione politica, ove potesse formarsi, sarebbe quello di cercare, tramite scorciatoie ed escamotages, di costituirsi quale partecipante al gioco elettorale, che la vedrebbe necessariamente minoritaria; ed entrerebbe poi anch’essa negli squallidi giochetti delle forze politiche e dei gruppi di agenti dominanti attuali. Non per purezza ideologica, quindi, tanto meno per ragioni etiche, è necessario pensare alla costruzione di una forza critica radicale, che conduca la lotta sul piano prevalentemente politico-culturale, illuminando il più possibile tutte le malefatte e la povertà, soprattutto strategica, dei subdominanti italiani (ed europei) e dei loro “sicari” politici e ideologici. Tuttavia, non ci si può limitare a predicare in favore delle “masse” e tanto meno dei soli lavoratori dipendenti (salariati).
E’ indispensabile attaccare a fondo, certamente, la politica del divide et impera, non accettando inutili campagne (sempre ricorrenti ogni secondo momento) contro l’evasione fiscale, che colpiscono solo i piccoli e lasciano salvi i grandi capitali all’estero, nei paradisi fiscali; e anche all’interno, grazie a stuoli di straricchi commercialisti e avvocati che studiano tutti i marchingegni possibili con fusioni, scorpori, gonfiamento dei costi, riduzione dei ricavi, ecc. Non si deve nemmeno accettare semplicemente la polemica contro l’inefficienza e scarsa produttività dell’apparato pubblico, che esiste nei fatti, ma va attribuita fondamentalmente all’alta burocrazia, completamente immersa nel gioco della “destra” e della “sinistra”, soprattutto grazie al più che tollerato e praticato spoil system, che premia la fedeltà ai politicanti e non affatto la capacità di organizzare e dirigere.
Non è però sufficiente limitarsi a cercare il consenso di quella che, lo ribadisco, dovrebbe essere la “naturale” base di una nuova forza: l’insieme delle fasce medio-basse del lavoro dipendente e di quello autonomo. E’ indispensabile – per un’intera fase storica caratterizzata soprattutto da una lotta antiegemonica (di fatto anti-Usa) sul piano internazionale – propagandare e appoggiare la politica di rafforzamento di tutti i vari ambiti in grado di promuovere un accrescimento di potenza: ricerca scientifico-tecnica, grande imprenditoria (non importa se pubblica o privata) capace di dare impulso alle innovazioni di processo e di prodotto (dell’ultima epoca dell’industrializzazione), “guerra economica”, Intelligence e diplomazia, alleanze (ed eventuali rotture delle stesse) in grado di ottenere i migliori risultati per il sistema-paese nel suo complesso, ecc.
La politica del consenso diretta agli strati lavorativi già indicati non può trasformarsi in generica agitazione populistica, in appoggio sempre e comunque alle lotte di ogni settore del lavoro; ancor più negativo sarebbe l’indiscriminato sostegno al solo lavoro salariato esecutivo. Bisogna armonizzare strategie a volte in contraddizione fra loro: sia di difesa del lavoro sia di rafforzamento del sistema-paese e, dunque, di quei settori che a tal fine sono indispensabili. E bisogna andare del tutto oltre gli ambiti concertativi, luogo di mediazioni al ribasso tra capitalisti solo bisognosi di finanziamenti statali e dirigenti opportunisti degli apparati che raggruppano i lavoratori salariati, rendendoli docili strumenti al servizio di politiche propagandate come utili al “mondo del lavoro” mentre alimentano in realtà lo sperpero di risorse da parte di tutti questi parassiti che ci turlupinano.
Bisognerebbe impostare una efficiente “educazione di massa” circa l’imbroglio della falsa democrazia elettorale, per dirigere i metodi della politica verso altri lidi, che tuttavia debbono essere pensati e analizzati con molta ponderazione per non ricadere in altre forme di populismo – tipo i vari nazionalismi di altri tempi – di cui valutare adeguatamente i pericoli. Quando sostengo che bisogna andare contro “destra” e “sinistra”, questo autentico “gioco degli specchi” di chi ci domina, sia chiaro che non propongo certo di rivalutare il vecchio piciismo statalista (quello che è stato fatto passare per comunismo) né il fascismo nazionalista d’antan. Sarebbe veramente indispensabile trovare nuove vie; certo con qualche ricaduta, con qualche impurità o ambiguità, ma restando al proposito sempre vigili, senza abbassare la guardia. La bussola dovrebbe orientarsi essenzialmente all’eliminazione dell’infame gioco (degli specchi appunto) che ci vuol bloccare in posizione subordinata e ci paralizza.
3. Sia chiaro che mi rendo ben conto dell’impossibilità di dar vita in tempi brevi ad una nuova forza. Il riferimento a essa serve solo per fissare alcune direttrici di marcia nella critica dell’attuale società; consci però del fallito esperimento di superarla dando vita ad una formazione socialista (che nessuno ancora capisce che “bestia” fosse in realtà). L’importante è fissare, almeno approssimativamente una serie di punti qualificanti.
Una nuova organizzazione o movimento politico non si dovrebbe semplicemente aggiungere a quelli indicati come “destra” e “sinistra” (con le varianti di centrodestra e centrosinistra). Si dovrebbe trattare invece di una corrente capace di porsi quale loro alternativa, considerandole nemici da abbattere, non avversari con cui competere per avere un po’ di voti. Poiché tale forza non esiste, e nemmeno si può contare sull’enuclearsi a breve di condizioni che la rendano possibile, la discussione sull’argomento servirebbe solo a fissare i punti generali (e al momento certo generici) di una politica da attuarsi per imprimere nuovo sviluppo – e autonomo, indipendente da paesi invece oggi predominanti – all’Italia. Una politica, soprattutto, che spazzi via l’autentico marciume odierno e prepari le condizioni per modificazioni profonde degli stessi rapporti sociali, delle forme del dominio attualmente presenti, in sede internazionale come all’interno del paese.
Sempre però con la consapevolezza delle enormi difficoltà di ribaltare gli attuali assetti di potere in assenza di una (geo)politica tesa a contrastare l’egemonia altrui, nonché a conseguire un ragionevole tasso di sviluppo della propria potenza (in unione ad altri). Puntare, ad es., le carte sul conflitto capitale/lavoro, attuando di fatto una mera politica redistributiva, può condurre nella direzione opposta a quella voluta; direzione non a caso presa da apparati che si erigono (falsamente) a rappresentanti del lavoro (salariato) e di fatto sono oligarchie (sub)dominanti legate al carro principale dei (pre)dominanti. Questi apparati sono nemici e, almeno come intenzione di fondo, da annientare senza mezzi termini.
Bisognerebbe smetterla di flirtare con la dizione di “destra” e di “sinistra”. Sarebbe utile indicarle con linguaggio neutro: ad esempio, schieramento D e schieramento S. La maggior parte degli agenti (sub)dominanti politici (professionali), con anche la stragrande maggioranza degli agenti ideologici, è situata al presente nello schieramento S. L’operazione mani pulite – sulle cui condizioni di realizzazione ho già scritto altre volte in passato, e adesso non mi ripeto – ha ulteriormente selezionato, al peggio, tale personale, l’ha reso ancora più servile, meno autonomo rispetto ai (pre)dominanti (statunitensi). Nello stesso tempo, soprattutto nel nostro paese, questo insieme di agenti politico-ideologici è stato distillato per esaltare le pessime qualità della “democrazia” meramente elettorale (quindi falsa) al servizio dei centri strategici, che distribuiscono i compiti internazionali; con netto predominio, appunto, di quelli statunitensi.
Nello schieramento S sono passati tutti i peggiori (e ormai scadenti) ex Dc, ex Pci, ex Psi, ecc. (in genere professionisti della politica), che hanno preparato il terreno ai settori governativi e di maggioranza odierni, formati da incredibili incompetenti. Dall’altra parte, sta un’accozzaglia di gente, che sembra molto impreparata ad esercitare una vera opposizione; e spesso è inoltre pronta a passare con chi assicura posti di potere (anche minimo, anche locale). Di conseguenza, il personale dello schieramento S non ha rivali nella “democrazia” fondata sul gioco elettorale e sull’addomesticato dibattito massmediatico tra “posizioni diverse” (e tutte complici in una direzione di subordinazione). Non si può quindi al presente mantenere un’equidistanza tra i due schieramenti. Se il peggio sta quasi completamente nello schieramento S, sia a livello di ceto politico che di quello intellettuale, ritengo che ci possano essere brevi (e cauti) atteggiamenti di carattere tattico. Parlando sotto metafora, diciamo che si potrebbe a volte stare con il cancro ai polmoni piuttosto che con quello al pancreas; consapevoli, però, che si è pur sempre in presenza di un cancro e che la “soluzione finale” dovrebbe essere l’asportazione chirurgica di entrambi. Altrimenti andremo in metastasi con quel che seguirà.
Ormai mi sembrano poco sopportabili i “critici” (“supercritici”) che abbiamo in questo paese (e dappertutto in Europa, per la verità). Soprattutto negativi, da non seguire, sono quelli che si dilettano con i più “alti teoremi” della “critica” di tipo economico, quelli della preminenza dei centri finanziari transnazionali. Poi esistono i neokeynesiani (o supposti tali), che ancora credono a un possibile nuovo Welfare. Poi ancora quelli che propugnano una politica di trasformazione dei rapporti sociali in direzione della cooperazione, del miglioramento dell’ambiente, del contenimento dello “spreco consumistico” ecc. Diciamolo senza mezzi termini: oggi il compito di gran lunga prioritario è la conquista di una vera autonomia, in specie dagli Usa.
In questa lotta antiegemonica (che sia veramente continua, anche se con fasi di differente accentuazione) si accenderanno alleanze, che possono essere fra pari o invece tra (pre)dominanti e (sub)dominanti. Naturalmente, le varie posizioni possono mutare d’epoca in epoca in seguito al già rilevato sviluppo ineguale dei capitalismi. La finanza serve senz’altro da strumento in questo conflitto; e in esso può assumere, a seconda della configurazione geopolitica dei pre e dei subdominanti, una funzione propulsiva a livello dell’industria più innovativa e delle già considerate svariate pratiche per acquisire potenza, oppure può porre “il tutto” alle dipendenze dei (pre)dominanti, dietro congrua cointeressenza. E’ esattamente quello che si sta verificando da noi, dove ogni mossa degli agenti (sub)dominanti danneggia l’italianità di pezzi dell’economia, inneggiando alla globalizzazione e al “libero” mercato. In pratica, questi subdominanti sono in realtà puri servi e punta di lancia dei (pre)dominanti statunitensi anche con riguardo al resto dell’Europa.
4. Coloro che propugnano la nascita (difficilissima, lo ripeto) di una nuova forza, debbono rendersi conto che la politica da seguire sarà ostacolata da esigenze contraddittorie. Chi si pone entro il perverso gioco tra schieramento D e schieramento S – accettando, ad esempio, la funzione di imbrigliare il lavoro salariato, cui dare saltuariamente qualche contentino di tipo redistributivo, onde farne massa di manovra all’interno del conflitto tra gruppi di agenti dominanti per la supremazia – ha compiti relativamente facili. Basta far riferimento al conflitto capitale/lavoro: i riformisti moderati per ottenere il contentino di cui sopra, i finti rivoluzionari per recitare bene la loro parte di irriducibili oppositori, per poi gradualmente passare, a gruppi e a ondate, dalla parte dei primi. Anzi, alzare la voce, tuonare con “terribile” radicalità, è estremamente utile a questi mentitori, che si vendono al meglio.
Chi vuol veramente mutare le cose, sa che deve utilizzare “gli opposti” senza farne la sintesi, facendoli invece rimanere in campo nella loro acuta contraddizione. E’ indispensabile che, sul piano geopolitico globale, si partecipi alla lotta tra “predoni”, e si prendano le misure adatte a sviluppare la propria potenza. In ogni caso, in Italia è necessario difendere quelle poche grandi imprese che agiscono in settori di punta, tecnologici ed energetici. Senza smembrare l’ENI malgrado certi piani esiziali vengano presentati come un suo rafforzamento; senza urlare contro la Finmeccanica perché produce quegli “arnesi” che fanno impazzire i pacifisti scemi. Ecc. ecc. In certi casi, bisogna anche sapersi opporre ai conflitti capitale/lavoro, se questi hanno prevalenti effetti fortemente negativi in tema di lotta antiegemonica.
Nel contempo, deve essere curato il problema della creazione di un blocco sociale che appoggi la politica di autonomia e indipendenza, e di potenziamento del proprio sistema-paese. Bisogna quindi senza dubbio colpire soprattutto i grandi interessi laddove questi sono solo ricchezza indirizzata a meri consumi opulenti; colpire la finanza laddove questa agisce in combutta con i dominanti centrali, alimentando la deformazione della struttura del nostro sistema-paese nel senso del puro mantenimento (ma per quanto tempo ancora?) di un’aurea mediocrità da paese dipendente “di lusso”. Debbono essere individuati i metodi, le ideologie opportune, l’orientamento degli interessi pensato (e voluto) come comune, al fine di abbattere quel muro di antipatie e diffidenze che separa i lavoratori autonomi dai dipendenti, unendo invece gli strati medio-bassi dei due raggruppamenti, entrambi costituiti da molti spezzoni sociali diversificati.
E’ necessario, per quanto possibile, difendere questi strati medio-bassi da tosature inutili e fatte passare per necessarie in omaggio ai miti alimentati da ambienti (anche internazionali) servili nei confronti di quelli del paese centrale; quindi nessuna indulgenza per una UE del tipo di quella che ci ritroviamo, con le sue fisime sul debito pubblico e il rapporto deficit/Pil. Nemmeno però alcuna condiscendenza per politiche che poi, contraddittoriamente, predicano lo sviluppo dal lato della domanda. Nessuna accettazione di uno statalismo di principio, affermato in generale, che potrebbe coprire gli interessi dei gruppi facenti parte del complesso (sub)dominante, fra loro in conflitto per conquistare la “supremazia” nella subordinazione ai (pre)dominanti centrali. Nessuna simpatia per un neoliberismo predicatore del “libero mercato”, il principale impedimento all’espansione di tutti i settori decisivi per l’autonomia e l’indipendenza – che resterebbero principalmente concentrati nel paese preminente – mentre fiorirebbero da noi quelli della dipendenza nell’“aurea mediocrità”, del tutto fragile ed esposta alle “scosse telluriche” (politiche ed economiche) provenienti dal centro.
Bisogna riuscire ad unire gli strati medio-bassi in questione in una visione di sviluppo del sistema–paese, per preparare successivamente trasformazioni radicali dei suoi assetti di potere politico. Non certo, per carità, con le “libere elezioni democratiche”; non sarà comunque facile, me ne rendo conto, trovare nuovi forti impulsi per una popolazione così fortemente impoverita di energie – intellettuali, morali, psichiche e…. di qualsiasi genere insomma – com’è quella italiana. Eppure, dovranno infine essere individuati se non vogliamo decadere sempre più.
Le esigenze sopra esposte, pur assai sommariamente, sono e saranno spesso in contrasto fra loro; e sarà tassativo non tentare di armonizzarle con compromessi che non fanno conseguire né maggiore forza antiegemonica né più alta coesione sociale; peggio ancora se volessimo occultare le contraddizioni con menzogne ideologiche che porrebbero le basi per un “crollo” successivo. Non credo sia però utile mettersi adesso a rimuginare su come gestire gli attriti che sorgerebbero nella fortunata ipotesi della (molto) futura affermazione di un’effettiva nuova forza; non voliamo fin da subito nel mondo dei sogni. Indichiamo solo il problema. Molto pressante però.