LUI E’ PEGGIO DI ME di G.P.

Tra Berluschini di serie “B” e nipotini di Togliatti di serie “C” volano gli stracci e gli strali. Botta e risposta tra una sorta di finanziere che usa la politica per farsi gli affari suoi ed una sottospecie di tirannosauro politico interessato alla finanza e alle banche. Stiamo ovviamente parlando della diatriba al fulmicotone tra De Benedetti, ex tessera n.1 del Pd e noto rifilatore di bidoni allo Stato, e “Maximo” D’Alema ex compagno spezzaferro ed attuale “assaltabanche” a tradimento, nonché bombarolo antislavo di “mandamento” americano.
Il film è della serie “Lui è peggio di me” con scambio di accuse vicendevoli che si attaccano perfettamente alla coda impagliata di entrambi i protagonisti, i quali ci forniscono così un’autorappresentazione dettagliata delle nefandezze di cui sono capaci. Lascia che due uomini si insultino e verrà fuori la verità su ciò che fanno. L’uno giudice dell’altro e tutti e due di testa nel fango.
Partiamo da De Benedetti. Senza andare a scandagliare troppo nelle vecchie storie, nelle commesse regalategli dallo Stato e nei tentativi di comprare a quattro lire gruppi nazionali che valevano almeno dieci volte tanto, l’uomo che ha sempre detto di non occuparsi di politica, come riporta un articolo di Geronimo del 2009, tentò nel ’91 in coppia con Agnelli – un vero sodalizio biblico  quello degli agnelli-(de)benedetti – di farsi un governo chiedendo allo stesso Pomicino di diventarne ministro. E perché Carletto il finanziere voleva farsi un esecutivo à la carte? Forse per poter meglio razziare i gioielli pubblici in un momento di difficoltà economica generale? Purtroppo per lui, la gioiosa macchina da guerra che doveva favorirne gli interessi si era inceppata sul più bello, tutto per colpa di un Cavaliere nero che si era messo in testa di scendere nell'agone politico per evitare di fare la fine del Cinghialone, suo mentore e predecessore. Ma nel palazzo c’era ancora chi voleva del bene all’indomito ingegnere e prima di sloggiare dal potere costui (Ciampi) ebbe il tempo di far prevalere “Sua telescrivente obsoleta” in una gara  per assurgere al ruolo di secondo gestore di telefonini in Italia. Questa licenza gli fece presto ottenere un altro beneficio, quello della rete telefonica ferroviaria, già assegnata alla Telecom pubblica e poi “stornata” alla Omnitel per un prezzo più basso grazie all’intercessione di Giuliano Amato. Così concludeva vantaggiosamente gli affari l’ingegner De Benedetti, gran costruttore di fortune proprie grazie agli appoggi in alto loco.
Sempre come riporta Geronimo, la rete telefonica ferroviaria per la quale la Telecom avrebbe dovuto sborsare 1.100 mld di lire fu appunto venduta alla Omnitel per 750 mld con pagamento rateizzato in 14 anni. Omnitel-Infostrada, con in pancia tutto questo bendidio, sarà di lì a breve ceduta ai tedeschi della Mannesmann per 14 mila mld di lire, ovviamente cash e non spalmati su diversi lustri, per il gaudio del duo Colaninno-De Benedetti, due veri cittadini del mondo, due indomabili capitani coraggiosi senza remore nazionalistiche e sentimentalismi patriottici.
Certo che solo ai coglioni di sinistra poteva venire in mente di accogliere e di considerare alla stregua di un padre della patria un affarista “apolide” di tal fatta. Eppure De Benedetti già negli anni ’80 e ’90 aveva fatto capire di che materiali vili era impastato il suo carattere: dal Banco Ambrosiano dalla Olivetti. Anche qui dopo aver fatto danni e saccheggi si tirò fuori con le tasche piene di soldi. Davvero uno che ha costruito molto distruggendo però altrettanto, se non di più.
Passiamo a D’Alema. Delle sue giravolte politico-ideologiche è inutile dire. Ma dei suoi legami con personaggi loschi della finanza si può fare qualche ripasso veloce. Chi si ricorda della Banca del Salento e di quel suo pupillo, tale De Bustis, che inventava prodotti finanziari ad altissimo rischio ma con nomi rassicuranti (Btp-tel o Btp-index) che mandarono in fumo i risparmi di tanti pugliesi ignari? Fu lo stesso baffetto sovrano di Gallipoli a presentarlo al mondo come uno dei manager più promettenti della nuova era finanziaria. Quello ricambiò sostenendo la campagna elettorale dei Ds nel Salento e fece bene perché fu poi salvato proprio dal “lider” benemerito allorché la già citata banca ormai fallita venne
caritativamente rilevata dal MPS. De Bustis, dunque, invece di andare in galera finì sulla poltrona di DG dello stesso Monte dei Paschi, caso unico al mondo di istituto inglobante che si  mette nelle mani dell’Ad della banca inglobata. Secondo voi a chi sarà venuta la bella idea?  
E poi c’è il caso dell’Unipol e di quel Consorte che chiamava al telefono la trimurti Latorre-Fassino-D’Alema per solleticarne i sogni di banchieri del "popolo". I tre, eccitati come bambini, gli replicavano gagliardamente e gaglioffamente “o la banca o la vita”. Andò male, ma solo per un pelo, quel pelo che oggi è rimasto sullo stomaco del dirigente abruzzese, il quale, prontamente scaricato dalle divinità sinistre, minaccia ora di pregare su altri altari e di far scorrere sangue sacrificale.
D’Alema ha tuttavia raggiunto il massimo del ridicolo quando, in queste ultime ore, per ribattere a De Benedetti che lo accusava di non aver mai costruito niente, ha affermato che nessuno oserebbe rimproverare Sorkozy di essere soltanto un politico di professione. Eh già, quest’uomo è proprio senza pudore come gli ha ricordato giustamente Guzzanti: “Sarkozy infatti abita all’Eliseo, mentre D’Alema può vantarsi, come massimo risultato, di essere stato accompagnato per mano da Francesco Cossiga a Palazzo Chigi allo scopo di aiutare gli americani nella guerra contro la Serbia (vedi le memorie di Carlo Scognamiglio che di D’Alema fu Ministro della Difesa) e di aver fatto dire da Guido Rossi del suo Governo che era l’unica merchant bank in cui non si parlasse inglese”.
“Zero tituli, zero cummenti”.