LUI RENZI E NOI POVERI CAPPONI
Quando ho sentito Matteo Renzi gracchiare e ringraziare il cielo, durante la trasmissione Ballarò, per averci dato Monti, perché quest’ultimo ci avrebbe restituito la perduta credibilità internazionale, mi è venuta subito in mente la favola di Fedro, le Rane, al punto in cui però il serpente ha già cominciato a divorare gli abitanti del pantano italiano per conto degli Dei oltreoceanici della finanza mondiale. Renzi, il mister Bean che viene dopo Monster B., è una specie di sadico che si diverte a vedere i suoi connazionali accettati (nel senso di fatti a pezzi) dalla Comunità internazionale, al prezzo di una povertà incipiente e della negazione di qualsiasi speranza nel futuro o di un futuro di speranze. Ed ormai cominciano a costarci care anche queste se non agiamo per concretizzarle. Non credo che agli italiani interessi molto questa fiducia estera se poi coincide con il loro suicidio economico o la cessione di ulteriore sovranità e, di certo, non cambieranno idea perché a sostenere tali amenità è un giovane che porta in giro, come esclusivo vessillo di rinnovamento politico, la sua bella faccia senza rughe la quale, tuttavia, non pare nemmeno il ritratto dell’intelligenza. Non siamo lombrosiani ma non occorre appartenere a questa scuola di pensiero per distinguere tra un genio ed un lombrico. Ovviamente, non è l’età a poter certificare il cambiamento, non l’anagrafe a stabilire la forza delle novità. Sono invece le idee, il coraggio e la capacità di leggere i fenomeni storici che possono rompere il quadro antico di un desolante panorama istituzionale, esauritosi nell’indegnità generale di una classe dirigente corrotta e succube dei dominanti atlantici. Col nuovismo si fanno forse le rottamazioni o le campagne elettorali ma non si rilancia lo sviluppo di una nazione, né si definiscono le strategie geopolitiche di riemersione, in un’epoca in cui principalmente la geopolitica influenza l’indirizzo degli Stati. Sotto questo aspetto dalla bocca di Renzi non è uscito nulla di diverso rispetto alla solita litania proeuropeista e filo-americana, da qui il suo montismo cieco e bieco. C’è chi sostiene che il sindaco di Firenze sia un Berlusconi di sinistra con qualità superiori al Cavaliere perché moralmente più sobrio, specularmente liberista ma meno libertino, ugualmente divertente ma non sconcio e per questo piacente anche agli avversari di partito. Insomma, una copia meglio venuta dell’originale ma pur sempre una copia. Renzi è una specie di Don Matteo passato dalla Ruota della fortuna, un po’ facile predicatore e un po’ concorrente televisivo, ovvero un Berlusconi senza eccessi e senza difetti, quindi un qualunquista con scatti di conformismo. Dal predellino del porco alla predella del parco. Se questa è la strada che porta alla rottamazione quasi quasi è meglio stare sulla vecchia via perché su quella nuova già sappiamo quello che non si prende e non si trova. In ogni caso essere il doppio, benché migliorato, di uno che ha già fallito al massimo porterà ad un duplice disastro con tanti complimenti da parte dei circuiti planetari che lo stanno sostenendo e che ci stanno azzannando. Non rideranno di noi in Europa e nel mondo ma si faranno lo stesso beffe dell’Italietta servetta. La sua riunione con i banchieri è stata l’antipasto di quel che accadrà, o, forse, perfino l’ultima cena del Belpaese che proprio non vuole modificare la sua rotta prima del diluvio universale, il cristorante da Renzi dove la Penisola finisce in croce, come e peggio di prima. Lui Renzi e noi i poveri capponi che cadono nella pentola. Se questo è il nuovo che avanza resteranno per terra solo rottami. Ecco perché lo chiamano il rottamatore, non tanto del suo partito ma dell’intera nazione.