Luisa Muraro: utero in affitto, mercato delle donne
Chiedo che venga pubblicata questa intervista a Luisa Muraro, una delle madri del pensiero femminile della differenza italiana ( e non solo) sull’utero in affitto, apparsa prima dell’attuale superficiale pseudo dibattito sulla questione.
La Muraro è stata una delle prime voci sensate al riguardo, pertanto ne chiedo la pubblicazione soprattutto per l’importanza di due questioni:
La prima : la relazione madre figlio/a;
La seconda: l’americanizzazione della vita sociale e culturale dell’Italia e dell’Europa.
Luigi Longo
Luisa Muraro: utero in affitto, mercato delle donne
Intervista di Lucia Bellaspiga a Luisa Muraro in Avvenire 4 novembre 2015
«La tratta e la schiavitù sono già un crimine riconosciuto e condannato a livello internazionale, invece contro l’utero in affitto, la forma più odiosa di sfruttamento del corpo delle donne, bisogna combattere. Siamo ancora in tempo». Luisa Muraro, filosofa e figura di riferimento del femminismo italiano, fondatrice a Milano nel 1975 della Libreria delle Donne, è persona difficile da circoscrivere: «Figura storica del femminismo? No, ho cominciato prima del femminismo, con il Comitato per la pace nel Vietnam, che fu iniziazione politica di molta gente della mia generazione, prima ancora del Sessantotto. Poi fondai un piccolo circolo dissidente dedicaito a Bernanos per il suo documento sulla guerra di Spagna. Infine l’incontro con femministe davvero storiche come Lia Cigarini e Carla Lonzi, e la nascita della Libreria delle Donne…».
D. Libreria delle Donne che non ha mai evitato gli argomenti scomodi. Oggi persino un tema poco esplorato o abilmente evitato dai più, come l’utero in affitto.
R. «Io ho sempre dato come scontata per i Paesi europei, almeno per quelli più antichi, una posizione di civiltà acquisita. Ora invece nulla è più scontato, a causa di questo fenomeno per cui si inventano “diritti” di tutti i tipi. Non esiste un diritto di avere figli a tutti i costi, eppure ce lo vogliono far credere: finito il tempo delle grandi aggregazioni e dei partiti, è un nuovo modo di fare politica cercando consensi. L’utero in affitto si innesta in questa tendenza, anche se è nato prima, negli Usa, con gli effetti che sappiamo. È la strada attuale per lo sfruttamento del corpo delle donne».
D. Ha fatto scalpore l’intervista della femminista francese Sylviane Agacinski (Avvenire del 29 ottobre), che senza mezzi termini ha accostato i «ventri affittati» alla prostituzione.
R. «È esattamente così. Per combattere la prostituzione la legge Merlin funzionò benissimo fino a quando l’immigrazione dai Paesi poveri non diede il via alla massiccia importazione di donne, allettate con l’inganno proprio a causa della loro povertà. Allo stesso modo la pratica dell’utero in affitto prospera solo dove c’è miseria. La Francia – lo ha scritto anche Le Monde – risente molto di questo vero e proprio ritorno al colonialismo, con un movimento di francesi che si recano nelle ex colonie. È un colonialismo particolarmente inaccettabile, perché dalla vendita del suo corpo chi non trae alcun vantaggio è la donna».
D. Il 2 febbraio, ha annunciato la Agacinski, il Parlamento francese ospiterà una mobilitazione per l’abolizione universale di questa barbarie.
R. «Ero e resto convinta che, se la popolazione europea si esprimesse, sarebbe assolutamente contraria all’utero in affitto. Soprattutto se fosse portata a conoscenza di come avviene e delle condizioni di schiavitù cui è sottoposta la vittima. A rischio però sono i nostri giovanissimi, portati a vederlo come un’espressione di libertà, “se quelle donne lo vogliono perché impedirglielo?”… A parte che non è mai una libera scelta, inoltre c’è un approfondimento che solo la vita e l’età portano, e che riguarda la riservatezza di sé, la dignità e la bellezza dei legami che attraverso il corpo si costituiscono. Primo tra tutti quello tra madre e figlio».
D. La nostra è una società attenta a rispettare alcuni diritti, in particolare della donna, eppure inspiegabilmente sorda di fronte a una forma di sfruttamento che rappresenta un evidente ritorno al passato. Perché non scatta questa indignazione? Perché anche chi è conscio della gravità preferisce tacere? Perché tanta paura a esprimersi?
R. «La causa è un neoliberismo – non economico ma culturale – che predica la totale disponibilità del proprio corpo. Il che poi era la parola d’ordine nel passato di alcune femministe con quell’“io sono mia”, slogan poco sensato al quale non ho mai aderito (la vita l’abbiamo avuta in dono, prima di tutto da una madre, dunque è un dono da ricambiare con altre persone). Per questo micidiale neoliberismo tutto deve tradursi in merce, tutto si compra e si vende. Non è solo un business, è una cultura, una tendenza generale a farci ragionare in questi termini. Poi però è vero che dietro ogni falso diritto c’è sempre un business che lo rafforza. I popoli europei sarebbero molto lontani dagli eccessi di questo capitalismo statunitense, ma è difficile svincolarsi dalle leggi del mercato globalizzato. Oggi combattere davvero per la libertà significa riuscire a gestire con saggezza la potenza tecnoscientifica e soprattutto difendersi dal mercato, che non è più progresso, è una macchina che stritola la gente. Dobbiamo dirlo ai
giovani».
D. Fino a tempi recentissimi, solo la Chiesa si è battuta in assoluta solitudine. Di recente anche il mondo femminista più attento ha smascherato l’inganno dell’utero in affitto come scelta libera, raccontando l’orrore e sposando le battaglie del mondo cristiano.
R. «Sebbene su tante cose la mia morale non coincida con quella cattolica, noi femministe dobbiamo avere il coraggio di dire che l’etica cristiana non è contro le donne. E non dobbiamo avere paura di coincidere nelle parole e nelle azioni, quando coincidono le nostre buone ragioni. Dobbiamo avere la semplicità di farlo. Quando dalle due parti ci si comporta con lealtà e coerenza, e le posizioni sono giustificate, non fanatiche, ci si aiuta in modo importante».
D. Che cosa risponde a chi, come Elton John, accusa di omofobia chi si oppone all’utero in affitto?
R. «Omofobia? E perché mai? Rispondo tre cose. Primo, la legge civile non ha da seguire pedissequamente i progressi tecnologici. Secondo, ci sono progressi tecnologici che sono costosissimi e rispondono alle esigenze di una esigua minoranza, e anche questa ingiustizia fa parte dell’iniqua distribuzione dei beni sulla terra. Ma soprattutto rispondo che non si può avere tutto, ci sono dei limiti dovuti alla realtà delle cose. La coppia omosessuale maschile è una coppia sterile per natura. I tentativi passati di impiantare uteri nei loro corpi sono ridicoli e mostruosi. L’invidia dell’uomo, già nota alla psicanalisi, verso la fertilità femminile va analizzata e superata. Semmai quello che io vedrei come possibilità nelle legislazioni è che, se uno dei due è diventato padre e ha già l’affidamento dei figli, magari perché vedovo, possa farlo adottare anche dall’altro. La possibilità, però, non il diritto, lo dico e lo ripeto. I diritti non sono privilegi, tanto meno privilegi per soli ricchi».
D. Prima della strage di Parigi,“Charlie Hebdo” aveva pubblicato una vignetta in cui due abbienti gay passeggiavano con una schiava nera e incinta al guinzaglio.
R. «È troppo spinto, ci sono argomenti che non si prestano alla caricatura e questo è uno. Inoltre nella piaga dell’utero in affitto la questione della schiavitù viene dopo, la prima istanza è relazionale: tra una donna incinta e la sua creatura che va formandosi c’è una relazione che è uno dei valori più alti (Nietzsche, «tutto nella donna è un mistero e tutto nella donna ha una soluzione: essa si chiama gravidanza »). Così la schiavizzazione comporta proprio che le si tolga il figlio. Perché infatti avviene solo nei Paesi poveri? Perché negli Usa, dove sarebbe lecito farlo, alla madre che tornasse sui suoi passi e pretendesse suo figlio i giudici darebbero ragione. Nella miseria di quei Paesi lontani, invece, non c’è nessuno che difenderebbe quelle donne, nemmeno le loro stesse famiglie, i genitori e i mariti, che campano sul loro ventre venduto.