L’ULTIMO ATTO (PER ORA) di Giellegi, 4 gen

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1. L’ultimo discorso del presdelarep prima di quello trasmesso a fine anno ha confermato quanto detto in Conflitti e Strategie (e da me) da ormai non so quanto tempo. Il tutto è iniziato con la svolta della strategia americana che ha trovato in Italia particolare incidenza già dal 2010, ma è divenuta incisiva l’anno successivo, in particolare all’epoca della sedicente “primavera” araba. L’allora premier Berlusconi, mostrando quanto poco nerbo abbia quale uomo politico (in particolare “di Stato”) tradì di fatto l’“amico” Gheddafi, ricevuto appena un anno prima con tutti gli onori a Roma; e facendo ammenda in quell’occasione delle ripetute aggressioni alla Libia compiute dal nostro paese molto ma molto tempo prima. Era evidente che il “nano” non aveva molta voglia di seguire Francia e Inghilterra in quanto sicari degli Usa nell’attacco alla Libia (tutti si scordano sempre della prima salva di alcune decine di missili lanciati da navi americane per distruggere una serie di basi libiche e facilitare dunque l’opera degli accoliti). Di fronte ad alcune esitazioni dell’allora premier italiano, intervenne esplicitamente Napolitano ricordando che non si potevano non rispettare i patti di alleanza; ma la Nato non aveva deciso ufficialmente di intervenire, Inghilterra e Francia stavano forzando la mano (su spinta dei “mandanti”).

Verso la fine di quell’anno iniziò tutta la pantomima sullo spread crescente e sulla grave crisi finanziaria che tale indice segnalava. Tutti fecero finta di crederci, salvo tre anni dopo raccontare la verità: che era stata una balla per poter sostituire il governo e dare inizio ad una complessa “transizione” senza subito consultare l’elettorato. Non che sia un patito di simile concetto di “democrazia”, ma segnalo il fatto perché comunque anche coloro che se ne riempiono la bocca ci credono quanto me. Berlusconi (e i giornali del centro-destra) fecero alcuni brontolii per l’attacco alla loro parte, ma di fatto il cambio con Monti non trovò sufficienti opposizioni, dato che il berlusca ne fu complice mascherato. Non mi soffermo su tutto quello che è seguito – Letta, le elezioni, la rielezione impropria di Napolitano, ecc. – e che vide tale sostanziale complicità, sempre meno nascosta, del “nano” con le operazioni dei rappresentanti Usa, che si situavano principalmente nel centro-sinistra come al solito. Il premier dimissionario è stato poi anche oggetto di appropriate operazioni giudiziarie per tenerlo meglio quale ostaggio, in modo che non gli venissero più idee improprie in testa. Difficile dire se tali operazioni siano state soprattutto gli ultimi colpi di coda del vecchio antiberlusconismo (e dello schieramento “sinistro” che l’ha supportato per oltre vent’anni) o invece consapevoli manovre, di fatto accettate dall’oggetto delle stesse, per mascherare la connivenza di quest’ultimo e non fargli perdere ogni presa sul suo elettorato. Credo di più a questa seconda versione; tanto più che all’apparente durezza delle condanne non è seguita una reale messa in mora dell’attività del condannato, utile al controllo del suo partito.

La nomina di Renzi a premier rappresenta in un certo senso la conclusione della “transizione” suddetta; e le elezioni europee, caratterizzate dall’enorme astensionismo (in specie del centro-destra sbandato dagli atteggiamenti berlusconiani) hanno dato al nuovo premier quasi carta bianca per fare chiacchiere a volontà senza concludere nulla di quanto dichiarato come riforma di questo e di quello. La transizione non si è conclusa in modo perfetto; e lo stesso centrodestra ha dovuto alzare un po’ la voce per non essere completamente esautorato da altri schieramenti che si situano in opposizione più netta a Renzi. Non è però un caso che Berlusconi abbia apprezzato in fondo il discorso di Napolitano, che ha indicato con precisione quale dovrebbe essere il percorso da seguire ormai per fare dell’Italia un perfetto esecutore dei comandi statunitensi. Si è predicata con una certa chiarezza la necessità di finirla con l’ossessione del berlusconismo quale Male assoluto; ormai il suo ascendente si è ridotto a pedina di secondo rango, che va usata in quanto “leale opposizione”, cioè reale complicità con l’accentuato filo-americanismo di cui il nostro paese deve divenire campione indiscusso. Le opposizioni più accentuate (tipo Lega) devono smettere di fare “antipolitica”; il che mostra appunto che la politica per questi segugi degli Usa è solo obbedire al paese predominante. Anche i mugugni interni al Pd o certe bizze sindacali (limitate alla CGIL) devono pian piano rientrare nell’ambito di una discussione “pacata”, che significa accettazione delle (non) scelte dell’esecutivo filo-americano. Si pretende insomma che il paese sia perfettamente normalizzato e uniformato ad un’unica voce di comando: quella del governo, ma solo perché parla la lingua degli Usa. A Renzi non ci sono alternative, se non il diluvio, la catastrofe, ecc.

 

2. Questa transizione si è conclusa dunque con successo? Apparentemente no, poiché – al di là di sondaggi che credo del tutto manipolati – non mi sembra di sentire in giro una qualche stima e soddisfazione per il nuovo PD renziano. Tuttavia, non si vede una reale opposizione. Mugugni tanti, denunce di carattere giudiziario e morale, nessuna politica alternativa, malumori contro l’euro e contro l’europeismo ma perché subordinato, secondo i critici, alla Germania. Quest’ultima, non osando prendere direttamente di petto gli Usa (e facendo concessioni alla lotta contro la Russia, in quanto principale polo possibile di opposizione agli Stati Uniti), di fatto prende di petto una serie di paesi europei, ma in particolare il nostro considerato pedina pedissequa rispetto ai giochi statunitensi. Così, però, il Governo tedesco rischia di alienarsi le simpatie di intere popolazioni (ad es. quella italiana), favorendo dunque i suddetti giochi. L’ostpolitik tedesca va avanti di soppiatto – mediante l’azione di grandi imprese che trattano con ambienti russi, fingendo di farlo segretamente e contro i voleri governativi – ma così si creano divisioni che danneggiano possibili forze politiche favorevoli ad una maggiore autonomia rispetto agli Stati Uniti in altri paesi europei, dove gruppi apparentemente e falsamente critici dell’europeismo agitano la bandiera dell’antigermanesimo scordando del tutto il vero nemico decisivo.

Gli Stati Uniti, con la nuova Amministrazione Obama che ha dato spazio ad altri centri strategici, sono andati incontro, secondo alcuni (sempre falsamente critici degli americani per meglio favorirli subdolamente), ad una serie di fallimenti a partire dalla “primavera araba”. In realtà, tale paese ha applicato la strategia del caos, atta a creare una situazione di “liquidità melmosa” in aree – come l’Africa del nord, il Medioriente, le zone ai confini est e sud-est della Russia – ritenute importanti proprio per creare difficoltà a quest’ultima, ma ancor più a produrre contrasti in Europa (e l’astio antigermanico di vasti settori europei è indice del successo di tale operazione) onde impedire, appunto, il rafforzarsi di spinte autonomiste e indipendentiste rispetto all’oltreatlantico. Una strategia siffatta mette in conto che date situazioni sfuggano parzialmente di mano. Il suo intento è di creare un pantano, in cui tutti restano invischiati; ma chi ha maggiore potenza da sviluppare e applicare riesce ad avvantaggiarsi. E gli Usa si sono avvantaggiati: sia nei confronti della Russia, sia in Europa rendendo più difficile l’emergere di forze indipendentiste antiamericane mentre, lo ripeto, il livore (anche delle popolazioni) è stato facilmente indirizzato contro la Germania: sia da filo-atlantici aperti sia da finti critici delle organizzazioni comunitarie europee.

La potenza statunitense è assistita da un sistema produttivo tecnologicamente assai avanzato e dal possesso di armamenti decisamente superiori a quelli di ogni altro avversario, capaci di uso rapido in ogni parte del mondo. Importante la creazione di gruppi speciali (e spesso segreti) di “pronto intervento” per ogni occasione specifica in cui sia possibile mettere in difficoltà i competitori. Non parliamo della struttura dei Servizi, che influenzano decisamente molti altri; in particolare quelli europei, e perfino il Mossad israeliano, sono fortemente infiltrati da quelli americani e in genere non sono controllati adeguatamente dai governi da cui dovrebbero dipendere. La Nato e la UE sono apparati largamente responsabili della prevalente influenza statunitense in aree decisive per la politica mondiale. E mettersi sulla strada della sovranità “nazionale” – cioè in contrasto con il predominio della potenza preminente nelle aree di massima influenza di quest’ultima – comporta gravi rischi, perfino personali, per chi effettua tentativi tesi a tale sovranità.

Nel nostro paese – come già detto, pedina rilevante per il controllo d’Europa – si è applicata, specie in questi ultimi anni, una versione di tale strategia adatta al caso. Essa è stata meno “caotica” che altrove. Con la garanzia dell’“uomo del ‘78” (intendo parlare del viaggio “culturale” negli Stati Uniti, uno dei passaggi chiave del cambio di campo del Pci con tutto quello che ne è seguito e di cui ho parlato spesso) si è attuata la “transizione” già considerata. Il punto finale (al momento) ha ottenuto un solo vero risultato piuttosto stabile; un risultato comunque rilevante per i suoi effetti che perdureranno facilmente per l’attuale legislatura e potrebbero perfino protrarla fino al termine naturale nel 2018. La mossa chiave di tale strategia è stata il reale imprigionamento (non carcerario, ben altra cosa) di Berlusconi, rendendolo ostaggio e complice sostanziale della “transizione” verso la cosiddetta rottamazione del personale politico della “Repubblica uno e mezzo” (mai si è effettivamente passati alla seconda perché ne sono venuti a mancare i presupposti), dopo essersene serviti per un ventennio.

Tale periodo è servito a liquidare ogni vestigia della prima Repubblica, ivi compresi i resti di un’industria, di cui il carattere giuridico pubblico ha oscurato il suo effettivo significato di strumento di possibili politiche un po’ meno succubi rispetto agli Usa grazie alla presenza di grandi imprese in settori di carattere strategico (sistemi elettronici, energia, ecc.). La struttura industriale si è avviata verso la tipologia “cotoniera”, complementare al sistema dominante; gli interessi dei settori di questo tipo sono stati favoriti e sono divenuti fattore rilevante per la loro “integrazione” del tutto subordinata ai dominanti statunitensi. Nello stesso tempo è stata ulteriormente e definitivamente disgregata ogni residua rimanenza del vecchio personale politico (perfino di quello postpiciista, ormai da tempo asservito alla potenza d’oltreatlantico). E qui bisogna essere chiari.

Perfino settori critici dell’attuale congiuntura politico-economica in Italia, alcuni (pochi) forse in buona fede, continuano a fare battage contro il nuovo personale occupante gli apparati politici e le istituzioni del paese, sostenendo la loro subalternità ai sedicenti “poteri forti”: economici e in particolare finanziari. Molti poi criticano fortemente l’organizzazione europea attuale, sostenendo che è subordinata agli interessi tedeschi. Così agendo si nasconde alla popolazione la realtà dei fatti. L’apparato politico è succube dei “poteri forti” economici, che sono quelli integrati, in posizione subordinata (i “cotonieri”) al sistema economico predominante; e quest’ultimo è strumento della potenza statunitense (un elemento non spiegabile in termini esclusivamente economicistici) e della sua supremazia mondiale. Non assoluta, sempre più contestata ma certo non ancora intaccata a fondo. In definitiva, il nostro apparato (e personale) politico è succube dei “poteri forti” (e questa volta il termine è esatto) che risiedono negli Usa; e che non vanno per nulla ridotti ai soli agenti dominanti nella sfera economica (e tanto meno a quelli di tipo finanziario).

La supremazia del paese ancora preminente si è esercitata in Italia cercando un risultato primario: impedire che si formi una opposizione reale agli attuali accoliti (di centrosinistra in prevalenza, con la complicità dei berlusconiani). Al governo sta una accozzaglia di inetti chiacchieroni che portano gradualmente all’indebolimento del paese per subordinarlo viepiù. All’opposizione vi sono deboli alternative e pasticcioni inconcludenti, nel mentre la principale è solo nominale e sostanzialmente connivente. Nella sfera degli apparati ideologici (e nella intellettualità che li occupa) ci si divide tra settori che appoggiano, pur talvolta con tiepide e devianti riserve, il governo e voci critiche che, come sopra rilevato, fanno can can contro la moneta unica e la UE così com’è, secondo loro, asservita agli interessi tedeschi (e nessuno esclude che la Germania approfitti della situazione, anche perché il suo Governo non è certo un esempio preclaro di lotta alla supremazia statunitense).

La situazione è dunque pessima. Il caos (strategico) si manifesta nell’incapacità manifesta della sfera politica di fornire soluzioni dotate di senso e stabilità. Potrebbe però scapparci perfino una debole e transitoria “ripresina”, legata ai ben appoggiati interessi dei “cotonieri”, con qualche impulso ricevuto dai loro settori grazie alla subordinazione agli Usa; rendendo però il nostro paese ancora più debole e poco rilevante in termini di politica mondiale. Il risultato più cospicuo conseguito è la creata difficoltà di mettere in piedi una opposizione efficace e dotata di programmi alternativi. In questo consiste la specificità della strategia Usa del caos applicata al nostro paese; e che lo condurrà a quella condizione di semplice pedina americana per ostacolare ogni reale nascita di spinte realmente autonomiste in alcuni paesi europei. Spinte che, data la situazione geografico-economica, non possono che guardare ad est verso la Russia; e ciò spiega quindi l’accanimento anti-russo degli Stati Uniti. E quel paese deve d’altronde agire con tanta prudenza, in vista dell’accumulazione di una potenza molto maggiore dell’attuale, ancora insufficiente a far fronte alle varie sfide che gli vengono lanciate.

Entriamo in una fase che sarà alquanto tormentosa (e tormentata); e dovremo fare molta attenzione quasi più ai critici che agli apologeti dell’attuale Governo italiano. Questi ultimi non dovrebbero attecchire molto, perché la confusione e disgregazione sociale provocata da simili incapaci creerà sempre maggiore stanchezza e disaffezione alla politica. Potrebbero essere aiutati dall’eventuale “ripresina”; tutt’altro che sicura e che comunque, pur se si verificasse, non migliorerà gran che le condizioni dei più, favorirà delle minoranze e per un periodo abbastanza limitato. Tuttavia, sono proprio i “critici” che più sono utili ai “reali poteri forti” (statunitensi); perché accresceranno l’incomprensione della fase attuale da parte della stragrande maggioranza della popolazione. Dobbiamo afferrare la rinnovata, e direi accresciuta, distorsione dei processi storici in atto. All’inizio, sarà un compito svolto da infime minoranze; come sempre avviene, del resto. Se poi la consapevolezza si diffonderà in qualche modo dipende pure, anzi soprattutto, da condizioni di disagio accentuato e dal conflitto che la prossima (non immediata) epoca di acuto conflitto policentrico provocherà sicuramente.