LUNGA VITA AL PRESIDENTE

RUSSIAN PRESIDENT VLADIMIR PUTIN VISITS CHINA

 

RUSSIAN PRESIDENT VLADIMIR PUTIN VISITS CHINAVladimir Putin è diventato il presidente più bersagliato dai circoli atlantici dominanti e dal circo mediatico occidentale (supporto ideologico alle menzogne della nazione predominante americana), i quali non perdono occasione per stigmatizzarlo nei modi più abietti e disprezzabili. I due epiteti maggiormente utilizzati sono egualmente quelli più usurati quando si tratta di marchiare a fuoco nemici poco inclini all’arrendevolezza e all’inchino geopolitico: pazzo e tiranno. Filosoficamente si parla di reductio ad hitlerum, ma più prosaicamente siamo in presenza di un pregiudizio da servi privi di nozioni storiche e di fantasia. Per conquistarsi i galloni del liberticida, folle e sanguinario, non serve far passare per la forca centinaia e centinaia di inermi cittadini, bastano, in verità, un contesto mondiale sfavorevole e due o tre inutili oppositori, spesso autentici farabutti in odor di mafia, finanza o giornalismo corrotto, trapassati in circostanze disgraziate (collegate con la vita che conducevano). Su quei decessi si avventano generalmente come vampiri i pennivendoli del complottismo giornalistico internazionale, che puntano subito il dito sui vertici dello Stato, i quali sono sicuramente colpevoli perché fuorilegge secondo lo stato di diritto riconosciuto dalla comunità internazionale. Quanti ne abbiamo visti finire male per queste ragioni? Da Milosevic a Gheddafi si sprecano gli atti barbarici, non dei despoti ma dei democratici che quando decidono di far cacare sangue al renitente non badano a spese e non contano i corpi. Quanti, invece, ne abbiamo visti restare ben saldi al proprio posto, nonostante la follia omicida, seduti e pasciuti su montagne di ossa e brandelli di carne resi invisibili dall’amicizia con Washington che tutto redime e perdona? Chi tiene la contabilità dei cadaveri nelle nostre grandi civiltà non fa altro che truccare i bilanci per nascondere le proprie responsabilità, sin dal 1492.
Perché, dunque, ce l’hanno tanto con Putin e con tutto ciò che egli rappresenta, anche nell’immaginario collettivo del suo popolo, il quale mostra di approvare le sue scelte con vette di consenso inimmaginabili per un capo occidentale? Come scrivevo su una rivista qualche anno fa, gli Stati Uniti credevano di essersi sgravati di un peso con la caduta dell’URSS ma hanno compreso di essersi sbagliati allorché sono riapparsi, dalle rovine di quella collettività depredata, dei gruppi strategici nazionali, rispetto ai quali Putin rappresenta il terminale decisionale, che hanno invertito la rotta dei traditori vendutisi alla Casa Bianca, riconducendo le infatuazioni liberiste dell’immediata fase post-sovietica nell’alveo di una più cauta modernizzazione sinergicamente funzionale al modello politico-economico dirigista, costituente la caratteristica più originale della Russia contemporanea. Nel fare questo hanno anche ripristinato la capacità militare del Paese per garantirsi almeno una proiezione regionale, a tutela dei loro interessi strategici e del loro spazio vitale, dopo essere precipitati troppo velocemente dal piedistallo di potenza globale.
Molti commentatori, anche preparati, non colgono le specificità dell’attuale fase storica in Russia e provano a spiegare, con troppa superficialità, molte delle scelte delle sue attuali classi dirigenti che vengono impropriamente collegate ad un passato troppo remoto, così lontano nel tempo da non essere nemmeno veritiero. E nel compiere questo volo pindarico quasi cancellano un periodo storico davvero significativo, quello che va dal 1917 al 1991, nel quale, invece, sono emerse le autentiche caratteristiche della odierna potenza russa. Quest’epoca storica è stata gestativa di un “parto sociale” lungo e tribolato i cui effetti si stanno palesando oggi. Ciò che la Russia rappresenta attualmente è il risultato, storicamente non preventivabile, di un processo di palingenesi sociale iniziato proprio nel ’17. Dopo il naufragio dell’utopia del socialismo in un solo paese, sono venuti alla luce gli effetti autentici di quella trasfigurazione sociale (non più coperti dalle schermature ideologiche del comunismo) che hanno fatto della formazione russa, benché anch’essa imperniata sui capisaldi dell’impresa e del mercato, un sistema politico in grado di produrre “potenza” e di scontrarsi con chi ha interessi contrapposti ai suoi. Scrive in proposito La Grassa:
“La formazione detta socialista compì in realtà una accelerata accumulazione originaria sulla base di ‘strutture’ tipiche della sfera economica capitalistica, impresa e mercato, compresse e soffocate ma non invece trasformate dal potere centrale convinto di ‘costruire il socialismo’ – prima con metodi duri e violenti, poi attenuati, infine supposti democratici con Gorbaciov che invece liquidò il tutto, ecc. – come comprese nella sostanza Bettelheim, pur cedendo poi anche lui all’illusione gorbacioviana … Cadute le ‘strutture’ della sfera politico-ideologica presunta ‘socialista’ (in quanto pretesa ‘prima fase’ del comunismo), e passato un periodo (non credo ancora del tutto superato) di burrascoso arretramento e poi assestamento, ci avviamo adesso in direzione di una nuova formazione sociale, tutta da studiare – del resto è ancora da conoscere a fondo quella dei funzionari del capitale, la ‘sostituta’ del capitalismo borghese – che sarà un intreccio particolare tra ‘strutture’ economiche di tipo capitalistico e quelle soprattutto politiche di tipo dirigistico. Una formazione che gli ideologi dei dominanti ‘occidentali’ pensano transitoria, perché sono ancora convinti di poter imporre, con le finanziate ‘rivoluzioni colorate’, la loro ‘democrazia’; seguita nelle nuove formazioni da minoranze, pericolose ma destinate a rimanere tali e a deperire man mano che diminuirà la prevalenza politico-militare del centro (Usa) del capitalismo più ‘tradizionale’ e ci si immetterà, tramite un periodo di transizione caratterizzato dallo sviluppo ineguale, verso una fase policentrica”.
Alla luce di questa lezione lagrassiana appaiono troppo approssimative le affermazioni di un Lucio Caracciolo che continua a spiegare la popolarità di Putin con la “prevalente inclinazione di un popolo che tende a seguire il suo Cesare”. Questo errore è molto comune tra gli analisti “soggettivisti” che ricorrono alle inclinazioni metastoriche degli individui – come l’istinto del popolo russo che troverebbe più facile sottoporsi alla decisioni coercitive di uomini forti in presenza di crescenti tensioni sociali – per risolvere problematiche che sfuggono alle loro comprensione. Sembra quasi che per i russi il governo autoritario sia un destino teleologico. Quella di Caracciolo è chiaramente una visione “etnocentrica” che va, se non rigettata, almeno calmierata con gli aspetti più “oggettivi” introdotti dalla disamina di La Grassa. Il vizio di forma di queste valutazioni nasce dal senso di superiorità, nemmeno tanto velato, che questi commentatori accordano al proprio punto di osservazione, cioè alla formazione sociale americanizzata della quale fanno parte e che per loro resta un modello di quasi perfezione al quale tutte le altre devono tendere o adattarsi.
Se vogliamo essere un minimo obiettivi dobbiamo dire che in 14 anni Putin e gli uomini che lavorano alle sue spalle hanno tirato fuori la Russia da una situazione catastrofica. Prima di loro il Paese era in rovina, il tessuto sociale era in preda alle convulsioni e lo Stato era diventato un covo di malviventi. Ora la Russia è nuovamente una collettività vitale che ha ritrovato la speranza e la fiducia nei suoi mezzi. Chi critica Putin per questo è in malafede avendo come pietra di paragone la banda di lestofanti elciniana che gettò la patria nel bordello liberale degli anni ’90.
Qualcuno sostiene che ora Putin sarebbe stato messo alle strette dal mondo libero per alcune scelte azzardate, come la guerra in Ucraina. Sanzioni e campagne denigratorie non stanno scalfendo le vette raggiunte dal suo consenso nell’opinione pubblica russa, dal 84% al 88% di gradimento popolare a seconda dei sondaggi, ma i nostri narratori filoamericani sono convinti che l’illusione putiniana si scioglierà come neve al sole nel volgere di breve tempo. Lo dicono da tre lustri. Quanti chiromanti affollano le pagine dei nostri giornali, sanno fare tutto, anche prevedere il futuro, ma non sanno fare il loro mestiere che dovrebbe consistere nel raccontare di più di quello che vedono e di meno quello che prevedono (sbagliando). Recentemente, a causa di 10 giorni di buio in cui il Presidente è rimasto lontano dai riflettori, gli aruspici della stampa, raccogliendo informazioni false come solo loro sanno fare, lo hanno dato per morto, sepolto, deposto, torturato, fuggito, rapito dagli alieni. Poi Putin è riapparso come la Madonna ma a piangere sono stati i giornalisti, ancora una volta smentiti nelle loro bugie. Fonti russe hanno sostenuto, ma prendiamo queste notizie col beneficio dell’inventario, che l’assenza di Putin dai palcoscenici ufficiali sia stata la conseguenza di un’improvvisa emergenza nazionale. Un piano di allerta nucleare sarebbe scattato allorché esperti informatici russi, avrebbero individuato un tentativo della NSA americana di violare i codici e sistemi militari di Mosca. Per questo sarebbero stati attivati i protocolli di sicurezza per la salvaguardia della vita del Presidente e del suo entourage. Da qui l’uscita di scena temporanea di Putin diventata un caso internazionale. Comunque, lo zar, avrebbe ormai le settimane contate. Qualcuno sarebbe insoddisfatto della maniera in cui ha gestito l’affare ucraino. Come scrive George Friedman di Stratfor la Russia si è fatta trovare impreparata dal golpe di Majdan. Mosca ha bisogno di tutta l’Ucraina per sentirsi sicura nei suoi confini ed aver preservato una fetta di territorio non troppo vasta (Crimea, Donetsk e Lugansk) potrebbe essere non sufficiente allo scopo. Quello che dice Friedman è plausibile. Tuttavia, anche se Putin verrà attaccato tanto dai nazionalisti, i quali hanno trovato troppo debole la sua risposta militare dopo i fatti ucraini, che dalle élite occidentalizzate, timorose di perdere le loro relazioni privilegiate con Usa ed Ue, le armi nelle sue mani sono abbastanza efficaci per rintuzzare tali assalti. Per questo è meglio lasciare stare le profezie di sventura che nascono da fantasie personali senza evidenze cocncrete. Putin ha dei nemici proprio come ne ha ogni leader e gruppo dirigente, in ogni angolo del pianeta, perché la storia è storia del conflitto strategico tra drappelli di potere che mirano a conquistare la predominanza nella sfera politica. Al momento, il raggruppamento di cui Putin è espressione sembra ben saldo al suo posto, anche in virtù di scelte interne ed esterne ben oculate che hanno esposto meno pericolosamente di altri contesti la Russia alla crisi economica e ai rischi del multipolarismo. I liberali hanno già dimostrato in passato di essere degli incapaci, portando il paese sull’orlo del baratro e saccheggiandolo per proprio tornaconto le casse statali, i cosiddetti nazionalisti, invece, non ispirano quel senso di fiducia di cui la gente ha bisogno per continuare a rimboccarsi le maniche e prosperare, come accade felicemente da anni. Tutti i numeri e gli indici economici sono dalla parte di Putin e dei suoi “collaboratori”. Reddito interno, salari reali, inflazione, bilanci ecc. ecc., Putin ha messo a posto i conti pubblici e migliorato il reddito delle famiglie. Ha ridotto la disoccupazione, risollevato le grandi aziende strategiche e l’apparato militare, ha obbligato i capitali nazionali ad investire nell’industria locale, ha messo la museruola alla speculazione finanziaria, ha ridato dignità al lavoro e ha ripristinato le protezioni sociali dei lavoratori. Ha ristrutturato scuole, ospedali, infrastrutture, reti di trasporto ecc. ecc. Ma, più di ogni altra cosa, la Russia è tornata a rappresentare un argine alla prepotenza americana, almeno nella sua orbita d’influenza. Questo è l’affronto che fa di Putin un nemico imperdonabile per gli Usa e i suoi alleati. Per questo lo vogliono eliminare e non esistono altre ragioni. Chi si nasconde dietro al carattere illiberale di Putin per giustificare le sue critiche al regime è un buffone che non conosce la situazione o, peggio ancora, è pagato per mistificare gli eventi. Chi motiva il suo antiputinismo invocando la violazione dei diritti civili, dei diritti degli omossessuali, delle donne, degli immigrati ecc. ecc., da parte del legislatore russo, non ha la minima idea di come la condizione di tali minoranze e di altri soggetti deboli sia migliorata in Russia, non solo dagli anni ’90, ma persino dall’epoca sovietica. In realtà, l’antiputinismo è solo la maschera indossata dai russofobi per celare il loro razzismo. Questo sono oggi i nemici della Russia, xenofobi travesti da checche isteriche, femen impazzite e pussy riot pervertite. Dietro queste figure folkloristiche si nascondo ancora i guerrafondai d’oltreatlantico coi loro missili puntati sul Cremlino, pronti ad usare ogni mezzo di distruzione di massa per affermare il loro imperio. Alla faccia della democrazia globale!

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