MARASMA CONTINUO
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(14 DIC. 2008)
Nei giorni scorsi abbiamo riportato alcuni articoli, soprattutto di Caldarola (uno che se ne intende), riguardanti lo scombiccheramento esistente a sinistra. Secondo me, questo continuerà e potrà perfino aggravarsi. Tuttavia, anche se lo stare al Governo per il momento copre le magagne, esiste un quasi eguale caos nella destra. Sulla riforma della scuola, in effetti sembra che la marcia indietro governativa sia stata in parte inventata dalla sinistra; ancor di più dai media controllati dalla GFeID che, pur essendo quest’ultima al momento disunita e in gramaglie per la grave crisi che incombe, continua nella sua sottile opera di disgregazione, a danno dell’intero paese, nel tentativo di resistere alla diminuzione del suo peso che si sta avvertendo in questo frangente. Essa accentua pure la sua subordinazione rispetto agli Usa; questi sono però in crisi non proprio leggera e non semplicemente economica (e finanziaria), poiché certamente il cambio di presidenza potrebbe rappresentare il fenomeno di superficie di un necessario adeguamento tattico-strategico (verrà perseguito? E’ tutto da vedere e da giocare).
Resta in ogni caso vero il rinvio di un anno della cosiddetta riforma Gelmini; e quindi un cedimento si è verificato. Altrettanto deve dirsi, ad esempio, per quanto concerne l’intervento sulla giustizia che, a causa dell’atteggiamento della Lega, entra in frizione con il federalismo. Naturalmente, si cerca di mediare, ma è del tutto evidente che Bossi frena sulla giustizia per portare a casa, senza troppo urtarsi con l’opposizione, il “suo” federalismo. Nessuno ha il coraggio di dire con nettezza che mentre è effettivamente urgente la prima riforma – perché potrebbe mettere termine alla sostituzione, in atto da 15 anni, della politica con l’azione giudiziaria; un comportamento abnorme, che sta degradando l’intero assetto istituzionale del paese – è assai dubbio che sia positiva la seconda. Intanto, credo poco al fatto che il federalismo consenta la diminuzione della spesa pubblica; penso sia più facile il contrario. Del resto, la netta resistenza leghista alle proposte (in fondo maggioritarie) di soppressione delle province – non so quanto sarebbe l’effettivo risparmio, ma sono abbastanza convinto che si tratti di enti piuttosto inutili, la cui eliminazione persino snellirebbe un po’ l’inefficientissimo apparato pubblico italiano – mi sembra dimostrare che con il federalismo non si persegua affatto una maggiore efficienza né alcuna riduzione di spesa. E’ solo una questione di distribuzione del potere locale nelle diverse regioni del paese; distribuzione che indebolirà molto facilmente la sua unità nazionale.
Dove però le divergenze interne alla maggioranza sono nette, pur se ancora coperte, è nel campo della politica estera. Il Premier, Frattini, Tremonti e forse pochi altri perseguono intendimenti che in qualche modo ricordano la politica DC-PSI ai tempi di “quel regime”. Adesso sappiamo che in definitiva, malgrado li accusassimo di essere “servi” degli americani, democristiani e socialisti attuavano una politica “flessibile” verso est e soprattutto verso il mondo arabo, con contrasti (nascosti) con Usa e Israele (e ritorsioni su cui ha rivelato cose tremende Cossiga, senza la più piccola smentita, e stendendo un velo di silenzio sulle sue dichiarazioni). E’ per me abbastanza chiaro che, crollati socialismo reale e Urss e venuta quindi meno la funzione dell’Italia nella Nato quale baluardo estremo verso l’ “Impero del Male”, ambienti Usa tramite una loro longa manus in ambienti giudiziari italiani abbiano distrutto “quel regime” e tentato di stabilire un accordo con i rinnegati del Pci, graziati mentre quasi tutti i loro “commilitoni” nel mondo naufragavano. Tale accordo non permise egualmente di conseguire lo scopo voluto per l’intervento in politica di Berlusconi, il quale semplicemente approfittò di una “piccola dimenticanza” degli organizzatori del “colpo basso” giudiziario: la stragrande maggioranza degli elettori diccì e piessei non aveva alcuna intenzione di votare gli ex piciisti con alcune frange di “traditori” democristi e socialisti (anch’essi graziati ed entrati nell’accordo).
Ho volutamente dimenticato, per parlarne a parte, uno dei pilastri di quell’accordo: certi ambienti confindustriali guidati dal loro più prestigioso rappresentante, la cui famiglia fu sempre simpatizzante degli Usa, anche durante il fascismo e poi la guerra. Si è trattato di gruppi imprenditoriali dei settori industriali e finanziari privati (da me definiti GFeID: grande finanza e industria decotta) che,
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fin da allora, avevano perso quella funzione propulsiva svolta durante il boom di alcuni decenni prima ed erano (e sono) particolarmente parassiti e dunque molto sensibili agli interessi americani. In più, promuovendo il “colpo di mano” giudiziario, prendevano i classici “due piccioni con una fava”: legarsi più strettamente a quelli che apparivano ormai i “padroni del mondo” (si pensava apertamente a gran parte del secolo XXI come all’epoca dell’Impero americano) e impadronirsi, tramite le privatizzazioni, dell’industria (e finanza) di Stato, vera roccaforte di Dc (soprattutto) e Psi (in subordine).
Si parla di un decisivo incontro che sarebbe avvenuto (nulla può ovviamente essere dato per certo in questi casi) sul panfilo Britannia (proprietà di Elisabetta II) il 2 giugno 1992, con partecipazione di Ciampi (allora Governatore della Banca d’Italia), di Draghi (attuale Governatore e allora alla Direzione del Tesoro) e di tutti i maggiori esponenti dell’industria e finanza italiane; l’incontro sarebbe stato dominato da alcuni rappresentanti della finanza mondiale (è tanto azzardato supporre che l’apparato politico statunitense fosse di netto appoggio?), che avrebbero impartito le loro “istruzioni” (si potevano rifiutare?) sulla privatizzazione dell’apparato industrial-finanziario italiano. E’ facile immaginare che Dc e Psi non abbiano accettato di fare harakiri. Subito è così scattata l’operazione di “moralità” contro la corruzione “dilagante” (da quanto tempo? Mezzo secolo o poco meno?) dei politici democristiani e socialisti. Quelli del Pci, e i loro improvvisati alleati minori appartenenti ai due suddetti partiti allora al Governo, erano invece delle “mammolette”; nemmeno sapevano cosa fossero le “tangenti”! Di una moralità veramente superiore!! Un’operazione, invece, di grande immoralità e ipocrisia, accettata da un’opinione pubblica frastornata (ma nello stesso tempo composta di “sepolcri imbiancati”). E ricordo che pure allora Bossi e Fini furono di fatto d’accordo con questa sporca manovra, sicuri di poterne essere, almeno in buona parte, i beneficiari.
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Adesso siamo alle solite. La situazione ha somiglianze con quella di allora. L’“amerikano” per eccellenza, con alcuni suoi (pochi) alleati, svolge una politica estera tesa ad un minimo di indipendenza. Lo fa per suoi interessi? Questa è finta preoccupazione solo degli ipocriti e dei mascalzoni di turno (come quelli del 1992-93). In ogni caso, non è chi non capisca che dietro c’è anche la politica dell’Eni, gli importanti accordi con la Gazprom (e l’algerina Sonatrach e la libica Noc), ecc. E senz’altro ci sono altri interessi, più complessivi del paese, da giocarsi nelle zone che sono a noi vicine e in cui abbiamo addentellati: mondo arabo, Nord Africa, Iran, certi paesi dell’est e sud-est (non solo europeo), ecc.
I rinnegati dell’ex Pci non possono smentirsi rispetto al loro losco passato. D’altra parte, chi sono “i due galli nel pollaio”? Veltroni sostiene di non essere mai stato comunista e di aver anzi sempre ammirato i “democratici” statunitensi (fra i più aggressivi nel mondo: ci scordiamo Kennedy, la “baia dei porci”, l’inizio della guerra in Vietnam? E ci scordiamo che la fine di quest’ultima con il ritiro degli Usa porta la firma del “guerrafondaio” repubblicano Nixon? Come sono diverse le parti reali da quelle raccontate dagli affabulatori di sinistra!). Quanto a D’Alema, è il bombardatore della Serbia (che era ancora Jugoslavia, pur ormai “spennata”) al seguito degli aggressori statunitensi, avallando la vergogna del presunto genocidio dei kosovari smontato nell’autunno del 1999 dal rapporto dell’Osce. Cossiga, come al solito mai smentito, sostiene di averlo fatto diventare Premier nel 1998, defenestrando Prodi, proprio per favorire il successivo accordo di guerra con gli Usa. Può un individuo simile mettersi oggi contro gli Stati Uniti? No, nessuno dei rinnegati del Pci, graziati a suo tempo, può dare dispiaceri a chi ha concesso la grazia.
Alla guida di tutti questi sta però il più scalmanato, quello che più si agitò già all’epoca di mani pulite; un uomo di “destra” (per quel che valgono ormai simili etichette) coadiuvato dai peggiori “figuri” di una presunta sinistra “estrema” (i già “girotondini”), pericolosi demagoghi che, gridando al fascismo, potrebbero rappresentare i futuri “manipoli” di forze eversive, oggettivamente e rigorosamente filoamericane. Tutto dipende dalle nuove (o invece stantie) strategie che gli Usa vorranno
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seguire da qui in avanti dopo le “sorprese” degli ultimi anni (prima fra tutte, la rinascita della Russia), che hanno indicato come sia assai poco probabile un secolo XXI quale età dell’Impero americano.
Quanto alla sinistra detta “radicale” o “estrema”, ormai alla frutta, essa mantiene, per finta e per ingannare alcuni “poveri cristi” in buona fede, un atteggiamento antiamericano (e filoarabo, in antitesi ad Israele), ma appoggia l’altra sinistra e soprattutto l’Idv, in nome della lotta sedicente antifascista condotta contro Berlusconi e a favore del “lavoro”; quindi, volente o nolente, gioca una parte del tutto filoamericana (e dunque filoisraeliana). Non parliamo di Bossi e Fini (un personaggio che può dare la mano ai suoi simili dell’ex Pci; ed infatti fa “cicì e ciciò” con D’Alema e Veltroni), che brontolano di fronte alle dichiarazioni di politica estera del Premier (coadiuvato, lo ripeto, da Frattini e Tremonti e…..non so da chi altro). Berlusconi ha attaccato la Georgia e dato ragione alla Russia, ha or ora condannato i bombardamenti sulla Serbia, ha smentito La Russa (An appunto) che parlava di invio di altri 600 nostri militari in Afghanistan. Non mi dilungo su tutto ciò che ha fatto per coadiuvare l’Eni nei suoi importanti rapporti esteri (fin dalla visita di Putin in Sardegna nel 2003).
Non mi lancerò nemmeno, fino a quando la situazione non sarà più chiara, in paragoni con quanto succede in Grecia; mi limito solo a ricordare che il “destro” Karamanlis ha condannato anche lui la Georgia, ha stipulato importanti accordi con la Russia, fra cui quello della partecipazione al progetto del gasdotto South Stream (i cui principali partner sono Gazprom ed Eni), che è in aspra concorrenza con il Nabucco, progetto americano appoggiato da alcuni paesi est-europei (antirussi). Vedremo cosa farà il Governo greco, scosso da sommosse di “sinistra” (anche lì moderata e anarcoide insieme). Certamente, in Italia, alcuni settori di “destra” e la “sinistra” in toto perseguono la fine dell’anomalia berlusconiana. Non però nel senso usuale assegnato a tale termine, bensì facendo riferimento ad un “amerikano” che si sta concedendo troppe libertà nei confronti dei “padroni”; questa è l’anomalia intollerabile per la GFeID con i suoi scherani dell’intera sinistra. L’Idv è l’avanguardia di chi tenta di farlo cadere; e di nuovo si vorrebbe tentare l’uso giudiziario che tuttavia, in questo momento, sembra agire da boomerang. Vedremo cos’altro la sinistra – assieme alle “quinte colonne” finiane e leghiste – si inventerà per bloccarlo, corroderlo e infine rovesciarlo.
Entrambi gli schieramenti sono in questo momento slabbrati e indeboliti da interne divisioni. Per fortuna, la Classe di tradizionale riferimento della sinistra – quando però la sua più grossa e organizzata forza politica non era di sinistra, ma si richiamava al comunismo (pur non essendo comunista bensì piciista) – l’ha di fatto abbandonata, salvo settori di pensionati, vecchi “compagni” sicuramente in buona fede ma ormai rintontoniti e del tutto incapaci di comprendere in che mondo vivono. La sinistra odierna (nemmeno più piciista, ormai degenerata e marcia), in specie quella anarcoide e sentimentalmente eversiva, è costituita da un “ceto medio” semicolto, stupido e ignorante, del tutto prepolitico (intende la lotta politica quale semplice antiberlusconismo, una autentica aberrazione mentale e intellettuale), che vive dei nuovi mille, e spesso inutili, mestieri, che alligna nel mondo dei “nani e ballerine” (e degli scrittorucoli con grandi arie da geni, presi per tali persino dai dementi della “destra” più incolta); tale ceto è, direttamente o indirettamente, alimentato da una spesa pubblica che, in specie nel settore dell’istruzione, ma anche in quello sanitario e dell’“assistenza sociale” o “multiculturale” (una vera cloaca di parassiti), si disperde in mille rivoli di spreco e di puro clientelismo, per prestazioni di pessima qualità che assorbono una quantità abnorme e mostruosa di risorse.
Tale marmaglia, la cui sopravvivenza sarebbe resa impossibile da un autentico governo con intenti unitari e di efficienza del sistema, sta creando, al seguito del solito agente provocatore che agisce da 15 anni a questa parte, una situazione caotica e di disgregazione sociale; è evidente che i suoi “capi” sperano di essere loro a “pescare nel torbido”. Questi “finti colti”, invece “nuovi barbari”, sono l’equivalente di quel ceto “piccolo-borghese”, che negli anni ’20 del secolo scorso alimentò i disordini in Italia per poi innescare la richiesta d’ordine. Solo che adesso tutto avviene a parti “invertite”. Sono gli “antifascisti” a gridare “al lupo fascista” (Berlusconi”) per provocare i disordini e
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la disgregazione del tessuto sociale; la via principale che seguono è il finto buonismo e lassismo, l’opposizione ad ogni richiesta di efficienza e meritocrazia. La debolezza dell’attuale esecutivo è fin troppo evidente; che non sia per nulla fascista è chiaro a quei pochi che hanno il cervello in testa. Anzi, è lampante che Berlusconi non ha curato – o non è riuscito a curare – i necessari rapporti con alcuni “corpi speciali”, il cui appoggio è sempre necessario nei momenti in cui si volesse fare appello ad un minimo d’ordine, dopo lo sfascio provocato dalla sinistra; con il sotterraneo appoggio, a mio avviso assai miope, delle “quinte colonne” di “destra” già segnalate. Per cui sono altri – e proprio i settori che si fingono “antifascisti” e di “estrema” sinistra, con alla testa l’agente provocatore di cui già detto – che sperano di riuscire a rispondere agli appelli all’ordine quando, o prima o poi, questi saliranno da una “società civile” frastornata e magari bastonata (al 70% almeno) dalla crisi.
Una buona fetta di ceti popolari, e di “operai”, non vede di buon occhio queste manovre “sinistre” (nel doppio senso del termine); ma cede spesso alle lusinghe di una forza politica di tipologia regionale come la Lega: ciò non può che condurre “dalla padella nella brace”. Si può andare verso la disunione nazionale che indebolirebbe ancor di più il paese, favorendo nuovi processi disgregativi, sia pure d’ordine diverso ma in fondo convergenti con i precedenti. Tanto più che – va riconosciuto – il sud sta facendo di tutto per alimentare sentimenti di divisione nel paese. L’Italia è quindi fortemente “infetta” e non è facile guarisca. Non scordiamoci, del resto, che il vero veicolo d’infezione sta nella tante volte nominata GFeID. Essa è indebolita, non più così unita, la crisi potrebbe renderla vulnerabile. Tuttavia, tiene in questo momento un atteggiamento di piena ipocrisia e falsità, di carattere tattico, nei confronti dell’esecutivo e di Berlusconi in particolare, ma non rinuncerà alle sue manovre, anche di divisione delle forze di “destra”, per protrarre il suo parassitismo, il suo vivere alle spalle del paese intero, che la rende inoltre particolarmente succube dello “straniero” (gli Usa).
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Qui si inserisce un altro elemento di ambiguità e di instabilità (e dunque di difficile prevedibilità). Escluso che Obama rinunci ai progetti di dominazione mondiale statunitense – basta vedere di quali consiglieri si è circondato! – è però evidente che potrebbero esserci non inessenziali adattamenti e mutamenti tattico-strategici. Inoltre, anche l’impatto della crisi sugli Usa non è adesso prevedibile con certezza, che lasciamo ai vari e sciocchi (o più probabilmente mascalzoni pagati per mentire) “guru” dell’economia. E’ dunque difficile capire per il momento se i legami tra Usa e nostra GFeID resteranno quelli del – da tutti creduto e citato – incontro sul Britannia nel 1992, e continuati fino ad ora; oppure se si verificheranno cambiamenti tali da indebolire ancor di più i nostri parassiti. Per il momento siamo in stallo, in equilibrio su di uno stretto crinale; si può “cadere di qua o di là”. Non possiamo esimerci dall’osservare; e chiunque creda di poter agire subito, è in grave e irrimediabile errore.
Un altro elemento di debolezza della situazione italiana – presunto, però, perché non sappiamo nulla di quel che bolle nelle “alte sfere” – sembra essere l’atteggiamento del management strategico di certi settori di punta, che avrebbero una funzione propulsiva al contrario di quelli parassitari della GFeID; tale management sembra dimenticare che i settori in oggetto hanno una sede nazionale e che questo è decisivo. Oggi, finalmente, tutti capiscono e parlano del cosiddetto “ritorno degli Stati nazionali”: in realtà mai spariti, ma solo “dimentichi” delle loro precipue funzioni nel periodo di supina accettazione della netta preminenza statunitense. I parassiti industrial-finanziari italiani vorrebbero perpetuare, per il loro vantaggio, quel periodo; i settori di punta sembrano interessati a sviluppare solo una loro politica “estera”, non affrontando il cruciale problema del cambiamento di indirizzo strategico da parte del paese in cui sono insediati. C’è da sperare che si tratti semplicemente di un’impressione di chi, come noi, non conosce le decisioni “segrete”.
In sintesi: abbiamo una sinistra in toto orientata dal grande capitale più arretrato e subordinato allo “straniero”; per di più manovrata da un preciso suo settore di provocazione nel senso dello sfa-
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scio e del disordine crescenti onde poi cercare di manipolare la situazione. Abbiamo una destra, con gravi crepe (e “quinte colonne”) al suo interno, che procede a singhiozzo e non affronta i problemi strategici centrali. Fra i quali, decisivo è quello della costituzione di un vero blocco sociale nella direzione di cui ho già parlato in un mio recentissimo lungo intervento (che è anche nel sito). Vi è una crisi che, con molte probabilità, diverrà la più grave del dopoguerra (inutile adesso spendersi in previsioni certe, che sono appannaggio degli scriteriati). Dobbiamo uscire da questa crisi nelle meno peggiori condizioni possibili. Dunque, solo gli irresponsabili possono pensare che, in simile situazione, diventi obiettivo prioritario una presunta rivolta (o addirittura rivoluzione) del lavoro dipendente. Chi ne parla è perché spera di diventare “manipolo” o “squadraccia” al servizio di coloro (la GFeID) che intendono tutto sfasciare per assumere un potere incontrollato, fra l’altro subordinato agli interessi geopolitici degli Usa.
I nostri “corpi speciali in armi” non si capisce bene quale ruolo potrebbero giocare in tutto ciò. Infine, non si vede al presente un impegno dei settori più avanzati al fine di favorire la crescita di una nuova forza politica che si batta contro entrambi gli schieramenti attuali – deboli e divisi, e di facile manovrabilità da parte di provocatori e avventuristi legati agli ambienti predetti – per ridare slancio ad una reale e coesa politica “nazionale”. Questa è una “fotografia” – ovviamente pur sempre basata su ipotesi da verificare e modificare con il succedersi degli avvenimenti – della configurazione politico-sociale dell’Italia in questo specifico momento. E’ un’ipotesi, certo di larga massima e con contorni assai fluidi, che tuttavia a me sembra necessaria per iniziare ad orientarsi nella sempre più pericolosa vicenda italiana dei nostri giorni. E seguirei la vicenda greca; potrebbe essere un fatto del tutto autonomo, o forse invece istruttivo anche per noi.
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