Mario, ti Draghi?
Ieri, su Il Fatto Quotidiano, è stato pubblicato il discorso tenuto dell’allora Direttore Generale del Tesoro, Mario Draghi, sul Panfilo Britannia, nel 1992. Dopo quell’incontro alcuni “pezzi grossi” dell’industria pubblica nazionale verranno svenduti ai privati e alla finanza internazionale che muoveva i fili anche dietro gli investitori italiani. Fu un passaggio d’epoca decisivo composto da un puzzle di eventi tra i quali ricordiamo la svalutazione della lira e il terremoto “tangentizio” che spazzò via l’intero arco costituzionale, con l’eccezione di Msi e PCI (quest’ultimo partito fu risparmiato dalle mannaia giudiziaria, non perché innocente, ma, come rivelò Tiziana Parenti, solo perché il pool di Milano decise che non si poteva inquisire tutti). In realtà, si colpirono gli uomini che avrebbero potuto opporsi al golpe straniero e si lasciarono “in vita” i peggiori sicofanti utili allo scopo (tra i primi, i piccisti metamorfosati in democratici ma anche i democristiani di sinistra), mentre ai mafiosi fu appaltata la violenza bombarola per aggiugere caos a caos. More solito.
Il contesto estero era, appunto, in subbuglio a causa della implosione dell’Unione sovietica che spalancava le porte al monocentrismo americano il quale estendeva la sua potenza all’intero globo, con un mutamento strategico che avrebbe avuto ripercussioni sull’intera Europa e sul nostro Paese in particolare. Sono certo che il giornale di Travaglio si stia prestando ad una operazione di riaccreditamento della figura istituzionale del già presidente della BCE, in vista dell’elezione del nuovo presidente della Repubblica, prevista per l’anno prossimo. Tale azione di lustrazione si rende necessaria perché Mario Draghi è sempre quel: “… vile affarista, non si può nominare Presidente del Consiglio dei Ministri [tanto meno presdelrep] chi è stato socio della Goldman & Sachs, grande banca d’affari americana… E’ il liquidatore, dopo la famosa crociera sul Britannia, dell’industria pubblica, la svendita dell’industria pubblica italiana, quand’era Direttore Generale del Tesoro, e immaginarsi cosa farebbe da Presidente del Consiglio dei Ministri, svenderebbe quel che rimane, finmeccanica, l’enel, l’eni ai suoi comparuzzi di Goldman Sachs ”. Cossiga dixit.
Ora, senza essere complottisti, basta raccogliere i vari punti della relazione di Draghi, per trarre conclusioni sulla sua filibusteria. La nave anglosassone, in questo senso, gli calzava a pennello. Lui, dipendente statale, che si prestava ad un discorso di liquidazione pubblica a favore di soggetti estranei al Belpaese, perorando soluzioni politiche a questioni economiche. Perché la scelta di vendere importanti asset pubblici non può essere demandata ad un dirigente tecnico il quale è tenuto a fare gli interessi dello Stato, non quelli dei privati o di amministrazioni straniere. Le previsioni di Draghi, nel discorso di fronte ai poteri forti, per legittimare le privatizzazioni, si sono rivelate errate. Costui ha fatto un bel casino e solo per questo, per manifesta incapacità, dovrebbe essere escluso da altri incarichi. Tuttavia, non è lecito concedergli la manifesta incompetenza perché si trattò di vero e proprio tradimento. Di quel che sosteneva Draghi non si è verificato nulla, le privatizzazioni hanno solo indebolito il sistema e lo hanno reso preda facile dei pescecani mondiali. La riduzione del debito, sempre tirata in ballo quando si tratta di rovinare le nazioni, da questi economisti del piffero, si è dimostrata un pretesto. Il debito è aumentato. Non è il solo pronostico di Draghi andato fuori bersaglio. La difesa dei piccoli azionisti che lui presagiva è stata un’altra balla, se la prendono sempre in saccoccia i più deboli ieri come oggi. Guardate ai fallimenti bancari degli ultimi anni. I fondi pensione non sono mai decollati e comunque non risultano all’altezza di quelli di altri contesti, i nostri mercati restano minuscoli, abbiamo pochissime multinazionali e le grandi imprese private sono ancora le partecipate. Il welfare è stato guastato e ci costa anche di più. Molte garanzie sociali si sono volatilizzate e i privati non hanno saputo sopperire. L’unica cosa ottenuta è stata la maggiore sottomissione della Penisola ai mercati finanziari dove spadroneggiano americani e pochi altri. Politicamente non esistiamo più perché abbiamo perso le forze economiche e psicologiche. Grazie a Draghi e altri come lui. Leggete sotto il suo “rapporto” nero su bianco. Non ne ha presa una e ora piuttosto gli Italiani dovrebbero prendere lui ma a schiaffi. Se ne torni in America dai suoi comparuzzi della Goldman Sachs, noi non ne sentiremo la mancanza.
“Un’ampia privatizzazione è una grande– direi straordinaria – decisione politica, che scuote le fondamenta dell’ordinesocio-economico, riscrive confini trapubblico e privato che non sono statimessi in discussione per quasi cinquant’anni, induce un ampio processodi deregolamentazione, indebolisce unsistema economico in cui i sussidi alle famiglie e alle imprese hanno ancora unruolo importante. In altre parole, la decisione sulla privatizzazione è un’importante decisione politica che va oltre le decisioni sui singoli enti da privatizzare. Pertanto, può essere presa solo da un esecutivo che ha ricevuto un mandato preciso e stabile.
Gli incassi delle privatizzazioni dovrebbero andare alla riduzione del debito, non alla riduzione del deficit. Quando un governo vende un asset profittevole, perde tutti i dividendi futuri, ma può ridurre il suo debito complessivo e il servizio del debito. Quindi, la privatizzazione cambia il profilo temporale degli attivi e dei passivi, ma non può essere presentata come una riduzione del deficit, solo come il suo finanziamento. i mercati finanziari italiani sono piccoli perché sono istituzionalmente piccoli, ma anche perché – forse in modo connesso – gli investitori italiani vogliono che siano piccoli. Le privatizzazioni porteranno molte nuove azioni in questi mercati. L’implicazione politica è che dovremmo vedere le privatizzazioni come un’opportunità per approvare leggi e generare cambiamenti istituzionali per potenziare l’efficienza e le dimensioni dei nostri mercati finanziari. privatizzazioni e crescita. (In molti casi) vediamo le privatizzazioni come uno strumento per aumentare la crescita. Nella maggior parte dei casi la privatizzazione porterà a un aumento della produttività, con una gestione migliore o più indipendente, e a una struttura più competitiva del mercato. In alcuni casi, per trarre beneficio dai vantaggi di un aumento della concorrenza derivante dalla privatizzazione, potrebbe essere necessaria un’ampia deregolamentazione. Questo processo, se da una parte di minuisce le inefficienze e le rendite delle imprese pubbliche, dall’altra parte indebolisce la capacità del governo di perseguire alcuni obiettivi non di mercato, come la riduzione della disoccupazione e la promozione dello sviluppo regionale. Tuttavia, consideriamo questo processo – privatizzazione accompagnata da deregolamentazione –inevitabile perché innescato dall’aumento dell’integrazio –
ne europea. L’Italia può promuoverlo da sé, oppure essere obbligata dalla legislazione europea. a) un grande rilievo verrà dato all’analisi della struttura industriale che emergerà dopo le privatizzazioni, e soprattutto a capire se assicurino prezzi più bassi e una migliore qualità dei servizi prodotti; b) nei casi rilevanti la deregolamentazione dovrà accompagnare la decisione di privatizzare, e un’attenzione speciale sarà data ai requisiti delle norme comunitarie; c) dovranno essere trovati mezzi alternativi per perseguire obiettivi non di mercato, quando saranno considerati essenziali.Un ultimo aspetto attraente della privatizzazione è che è percepita come uno strumento per limitare l’interferenza politica nella gestione quotidiana delle aziende pubbliche. Questo è certamente vero e sbarazzarsi di questo fenomeno è un obiettivo lodevole. Tuttavia, dobbiamo essere certi che dopo le privatizzazioni non affronteremo lo stesso problema, col proprietario privato che interferisce nella gestione ordinaria dell’impresa. Qui l’implicazione politica immediata è l’esigenza di accompagnare la privatizzazione con una legislazione in grado di proteggere gli azionisti di minoranza e di tracciare linee chiare di separazione tra gli azionisti di controllo e il management, tra decisioni societarie ordinarie e straordinarie. il pensiero va subito alla creazione di fondi pensione ma, di nuovo, i fondi pensione sono alimentati dal risparmio privato che da ultimo deve essere accompagnato dal sistema di sicurezza sociale nazionale verso i fondi pensione. Ma un ammanco dei contributi di sicurezza sociale allo schema nazionale implicherebbe di per sé un deficit più elevato. Questo ci porta a una conclusione di policy sui fondi pensione: possono essere creati su una base veramente ampia solo se il sistema nazionale di sicurezza sociale è riformato nella direzione di un sistema meglio finanziato o più equilibrato rispetto a quello odierno. La conclusione generale è che la privatizzazione è una delle poche riforme nella vita di un paese che ha assolutamente bisogno del contesto macroeconomico giusto per avere successo. Lasciatemi sottolineare ancora che non dobbiamo fare prima le principali riforme e poi le privatizzazioni. Dovremmo realizzarle insieme. i mercati vedono le privatizzazioni in Italia come la cartina di tornasole della dipendenza del nostro governo dai mercati stessi, dal loro buon funzionamento come principale strada per riportare la crescita. Poiché le privatizzazioni sono così cruciali nello sforzo riformatore del Paese, i mercati le vedono come il test di credibilità del nostro sforzo di consolidamento fiscale. E i mercati sono pronti a ricompensare l’Italia, come hanno fatto in altre occasioni, per l’azione in questa direzione. I benefici indiretti delle privatizzazioni, in termini di accresciuta credibilità -delle nostre politiche, sono secondo noi così significativi da giocare un ruolo fondamentale nel ridurre in modo considerevole il costo dell’aggiustamento fiscale che ci attende nei prossimi cinque anni”.