MARX NON ERA IDEALISTA, MARX NON ERA UN FILOSOFO.
Karl Marx non era idealista, checche’ ne abbiano scritto filosofi purtroppo scomparsi o sedicenti tali, purtroppo esistenti. Questo modo di etichettare Marx, ricercando una filosofia spontanea idealistica nei suoi testi (ed è già strano che dei dialettici siano ricorsi ad un linguaggio althusseriano per rintracciare scampoli filosofici nelle opere, per lo più giovanili, del pensatore tedesco), ha contribuito a generare molta confusione. Si badi bene che coloro i quali, dichiarandosi marxisti, hanno insistito sull’approccio filosofico di Marx al Capitalismo, non hanno mai scoperto nulla di nuovo, ne’ su Marx, ne’ in Marx, invece, costoro si sono ben accodati ad un coro generale dominante antimarxista, il quale per neutralizzare Marx aveva elaborato proprio la strategia di incasellarlo nell’albo dei filosofi per rendergli un cattivo servigio. Ma se il Nostro e’ stato davvero un filosofo allora, in questo albo immaginario, egli occupa una posizione di secondo piano. Marx non ha manifestato un pensiero filosofico organico, un sistema filosofico compiuto, quindi già per questo può essere giustamente retrocesso in basso in questa ipotetica classifica, molto al di sotto dei filosofi minori. E’ questo il modo migliore per rendere giustizia al pensiero rivoluzionario di Marx? Non lo crediamo ed anzi siamo convinti che quelli che hanno così proceduto hanno contribuito, per dirla con parole vecchie, ad innalzare più in alto la bandiera per affossarla meglio. Appunto, chiameremo costoro gli ultimi affossatori di Marx, i più infidi come ogni nemico che marcia alla testa dei suoi nemici. Lo diciamo con rammarico perché per qualche tempo abbiamo anche dialogato con i sostenitori del Marx idealista, nel tentativo di segnalare i loro abbagli e sbagli. I travisamenti filosofici di Marx hanno prodotto errori davvero grossolani. Facciamo un esempio preclaro. Ecco cosa sosteneva il filosofo torinese Costanzo Preve:
“La filosofia implicita di Karl Marx è una peculiare forma di idealismo universalistico dell’emancipazione umana, e si configura storicamente come l’ultimo rilevante episodio della storia dell’idealismo tedesco. Fondamento filosofico della specifica forma di idealismo di Marx non è il concetto di Io (come in Ficthe) e neppure il concetto di Spirito (come in Hegel), ma è il concetto di “ente umano generico” (Gattungswesen). Detto in altri termini, il fondamento del pensiero di Marx è una fusione fra ontologia ed antropologia.”
In verità, a Marx non interessa l’emancipazione umana a priori. Semmai gli interessa il ruolo di una classe, di una nuova classe sociale, il General Intellect (unione di lavoratori del braccio e della mente), che secondo lui diventa, per forza di cose, nel processo produttivo, classe intermodale, cioè una forza produttiva depositaria di diversi rapporti sociali, i quali romperanno l’involucro del vecchio modo di produzione capitalistico.
Ed egli non tratta di ente umano generico, se non nelle sue opere giovanili o prettamente filosofiche che consegnerà “alla critica roditrice dei topi” perché erano stati chiusi “i conti con la nostra coscienza filosofica di un tempo”. La sua ricerca, infatti, muterà profondamente da quel momento e si materializzerà in processo di studi che si concreterà in una massima opera niente affatto filosofica chiamata Das Kapital. Qui Marx non parla di Ente Generico e nemmeno degli uomini in carne ed ossa ma di maschere di rapporti sociali. Nel Capitale spariscono anche concetti ambigui e filosofici come quello di alienazione. Anzi, per lui gli individui concreti sono solo maschere di rapporti sociali e quasi accidenti inevitabili di quest’ultimi: “Io non dipingo affatto in rosa le figure del capitalista e del proprietario fondiario. Ma delle persone qui si tratta solo in quanto personificazioni di categorie economiche, esponenti di determinati rapporti e interessi di classe. Meno di qualunque altro, il mio punto di vista, che concepisce lo sviluppo della struttura economica della società come un processo di storia naturale, rende l’individuo responsabile di condizioni delle quali egli resta socialmente il prodotto, per quanto possa, soggettivamente, elevarsi al disopra di esse”.
Mi sembra chiarissimo il suo punto di vista e così anche il travisamento di questa posizione da parte dei filosofi.
Ma c’è dell’altro. Proprio Preve che accusa gli altri, quelli delle scuole opposte al marxismo di vedere solo il singolare, chi “sostiene che l’universale non esiste, ed esiste solo il singolare. Insomma, non c’è l’Uomo, ma solo Giovanni, Tommaso ed Annibale”, cade nell’errore opposto, quello di vedere esclusivamente il generale, peggio l’ente naturale generico, l’Umanità con la u maiuscola sempre degradata da qualcosa e mai se stessa a casa di consumismo, progresso, ecc. ecc.
Mi spiace ma forse ha più sostanza la visione di chi tratta gli uomini con meno accondiscendenza e pietismo perché per forza “a una dimensione, alienati, puramente schiavi di una società dello spettacolo, e tutta una serie di altre considerazioni unilaterali elaborate da “filosofi” sociali che sinceramente mi appaiono lontane dalla “realtà”. Tanto per fare un esempio piuttosto significativo di certa mentalità di coloro che hanno trattato degli individui in società, ci sono stati dei pensatori assai superficiali che hanno criticato la teoria neoclassica, quella dei concetti marginalistici, perché partiva dalla considerazione dell’homo oeconomicus. Orrore! L’uomo non può essere suddiviso in tanti spicchi, non deve essere privato della sua meravigliosa complessità di essere umano! Simili posizioni sono per me estremamente ingenue e vuote di qualsiasi significato conoscitivo. E’ più che lecito indagare questo essere secondo varie angolazioni, che non hanno alcuna pretesa di rappresentare diverse porzioni dell’uomo, ma solo di evidenziare alcune sue particolari funzioni, alcune sue prestazioni, poste comunque, pur secondo differenti punti di vista, come quelle decisive, quelle che ne determinano le principali azioni considerate strutturanti le maglie larghe, portanti, della trama di quella data società”. (La Grassa).
Marx, come scrive un grande filosofo (ne abbiamo avuti ed ora non più o molto meno di prima) è stato uno scienziato. E che scienziato! Chi lo vuole ad ogni costo intruppare tra i filosofi, in buona o cattiva fede che sia, cerca di sminuirlo e, soprattutto, dimostra di non averlo davvero capito facendoci una pessima figura: “Marx ha fondato una scienza, e, dicendolo, noi affermiamo contemporaneamente che, se la teoria di Marx non è una filosofia (una filosofia non ha bisogno di essere rettificata per vivere), ma una scienza, essa deve, semplicemente per vivere come scienza, essere rettificata su alcuni punti precisi. Siamo così difensori e rappresentanti di una scienza alla quale non abbiamo, dopo più di cento anni, reso l’elementare servizio di rettificare l’ultimo tra i suoi concetti, l’ultima tra le sue formulazioni, l’ultimo dei suoi ragionamenti di partenza! Un modo singolare di servire questa scienza! Così possiamo forse trovare il modo di spiegare alcune delle difficoltà scientifiche in cui ci troviamo, alcuni degli ostacoli scientifici su cui urtiamo, per tacere delle obiezioni e delle risposte nelle quali ci imbattiamo. Senza parlare poi delle teorie immaginarie che inventiamo per dare conto di questi vicoli ciechi.
Teorie immaginarie? Diciamo qualche parola su una delle più sorprendenti. Per giustificare la loro impotenza teorica (filosofica e scientifica) e garantirsi la buona coscienza politica corrispondente (perché come noto, quando un cristiano incontra una seria difficoltà nel nostro spazio a tre dimensioni, fugge nella quarta, il Cielo; allo stesso modo, quando certi marxisti incontrano una difficoltà teorica nel nostro sfortunato spazio a tre dimensioni fuggono verso la quarta: la politica!), certi marxisti, già nella Seconda Internazionale, poi nella Terza, hanno inventato questa cosa prodigiosa per cui la teoria di Marx sarebbe una filosofia. Marx e Engels avevano tuttavia dichiarato cento e cento volte quanto Il capitale fosse un’opera scientifica, Lenin li ha ripresi e ha spiegato senza equivoci, in Che cosa sono gli «Amici del popolo», che Marx ha fondato una scienza, una scienza molto particolare certo, perché rivoluzionaria, ma una scienza. Lenin spiega che, come tutte le scienze, essa è sperimentale, che come tutte le scienze sperimentali, essa riposa sulla ripetizione dei fenomeni, mette in gioco un sistema di concetti astratti, e offre, attraverso l’esperimento, dei risultati oggettivamente provati, incontestabili (salvo da chi, per ragioni di classe, non li voglia vedere). “Le dichiarazioni insistenti e molteplici di Marx ed Engels, le spiegazioni dettagliate di Lenin, credete possano avere un qualche peso? Avanti dunque! Per una volta non trattiamo con i guanti di velluto i testi classici: semplicemente trattiamo come «scientiste» e sopprimiamo (gli sfortunati vivevano evidentemente in un tempo di oscurantismo epistemologico) tutte queste prese di posizione imbarazzanti. E dichiariamo nel modo più semplice che la teoria marxista era nella sua essenza una filosofia (lo sosteneva già Labriola, che era un grande) o puramente e semplicemente filosofia (tesi di Lukács, Korsch, Révai, ecc.). Pensate che questa posizione sia scomparsa con questi nomi grandi e piccoli? Niente affatto. L’abbiamo sistematizzata, come si conviene alla nostra modernità, la si è detta, scritta nei testi più ufficiali, che hanno corso ancora oggi, venti anni dopo la morte di Stalin, il quale ha messo a punto la formula secondo cui «il materialismo storico è parte integrante del materialismo dialettico». O le parole non significano niente o ciò significa che la scienza marxista è parte integrante di una filosofia (marxista) che porta il nome di materialismo dialettico.
Una scienza parte integrante di una filosofia che cos’è se non, nel migliore dei casi, un settore della filosofia? E un settore («parte integrante», dunque «componente») della filosofia, che cos’è se non filosofia? Con un’aria di scienza, forse, ma tutti sanno che è filosofia. Così come, contemporaneamente, gli stessi autori accreditati dichiarano che la suddetta filosofia è «scientifica», ed eccoli imbarazzati nel pensare quale differenza possa darsi tra una scienza «parte integrante di una filosofia» e la suddetta filosofia «scientifica»! Ma il problema per loro non è di pensare ciò che dicono, è dire ciò che pensano, anche se non possono pensare ciò che pensano. E hanno bisogno di dire ciò che dicono proprio per fare fronte all’inverosimile situazione che accettano come normale: l’esistenza di una scienza che non può essere toccata, di una scienza di cui soprattutto non si deve rettificare neppure l’ultimo dei concetti, di una scienza a cui si monta una guardia ben ordinata nei Libri dei Classici, imbalsamata come il corpo del povero Lenin nella cripta del Cremlino.
Ecco una teoria immaginaria: la teoria marxista è una filosofia, il materialismo storico è «parte integrante del materialismo dialettico». Ed ecco a cosa serve questa teoria immaginaria: se la scienza marxista è una filosofia, dal momento che una filosofia non ha bisogno di essere rettificata per vivere, non c’è alcun bisogno di rettificare la scienza marxista! Vietato rettificare la scienza marxista! O piuttosto (dato che le due spiegazioni sono l’una il rovescio dell’altra): se viviamo da cento anni faccia a faccia con Marx e con Il capitale senza averlo mai toccato, avendolo lasciato così com’è, è perché non c’è niente da ritoccare in una teoria che, in fondo, non è una scienza ma una filosofia, o «parte integrante» della filosofia marxista…Lenin si è astenuto dall’impiegare certe formule filosofiche di Marx. Probabilmente le considerava sgradevoli, non avendole mai riprese. Una critica se si vuole, ma una critica che non ha fornito le sue ragioni, forse perché Lenin le considerava evidenti (ad esempio: la categoria di alienazione, che fa oggi la felicità dei nostri marxologi borghesi e di molti marxisti comunisti, categoria ancora presente nel Capitale, sparisce completamente in Lenin. Evidentemente non ne ha bisogno per comprendere Il capitale).” (L. Althusser).