MENO (BASTIAT)LITE’, PER FAVORE (di Giellegi)

gianfranco

Il Foglio ripropone il “comicissimo” Bastiat. Ne ho parlato qualche giorno fa e questo estratto odierno va letto con quello pubblicato più recentemente.  Si tratta di un’analisi di La Grassa del 2010 più adatta ai tempi.

 
…Prescindiamo dalle forme istituzionali di governo dei paesi e andiamo “al sodo”. Nella prima metà dell’800 l’Inghilterra, unico paese in cui era stata completata la (prima) rivoluzione industriale, era la potenza mondiale predominante. E’ ovvio che la sua forza si era affermata non con le idee, né semplicemente con le merci, bensì con la flotta e, in generale, con le armi e le grandi imprese coloniali. Se non fossero “passati i suoi eserciti”, e se non fosse abilmente riuscita a coalizzare l’Europa e a mettere fuori gioco la Francia “imperiale”, le sue merci, pur prodotte dalla più efficiente industria, non avrebbero girato il mondo con la stessa “libertà”. In ogni caso, poiché le ideologie rafforzano pur sempre certi propositi, un po’ dappertutto l’Inghilterra trovò supini propagandisti delle tesi “scientifiche” di Ricardo in merito ai vantaggi generali, per tutti i paesi a qualsiasi grado di sviluppo si trovassero, del libero commercio internazionale. Chi si vuol “divertire” (sic!) vada a riguardarsi i giochetti relativi allo scambio tra i tessuti inglesi e il vino portoghese (noiosissimi; consiglio di rileggersi piuttosto i due testi relativi ad “Alice”, che sono un godimento).
Contro questa ideologia – aiuto alla permanenza di una predominanza – si levarono le tesi di List sull’“industria nascente”, che svelavano il giochetto. Non si può accettare supinamente la superiorità iniziale di un paese industriale, che evidentemente produce le merci di tale settore – ormai quello che assicura la potenza di un qualsiasi paese – a costi inferiori, costringendo tutti gli altri a “specializzarsi” in prodotti agricoli, minerari, ecc. che li rendono succubi fornitori di quel primo paese industriale. Alla fine le tesi di List ebbero un primo successo con lo Zollverein di 38 Stati della confederazione tedesca nel 1834. Credere però che questo sia stato l’atto decisivo della contestazione della predominanza inglese sarebbe fare ancora sfoggio di ingenuità. Fu assai di più, pur se non esclusivamente, la forza delle armi e degli eserciti prussiani a mettere in discussione la preminenza inglese. La guerra franco-prussiana (1870-71), con l’ulteriore batosta inflitta alla Francia secondo-imperiale e la creazione della Germania quale reale Stato nazionale, ha avuto un significato nettamente più rilevante di qualsiasi “invasione di merci”.
Un evento ancora più decisivo si era prodotto oltreatlantico qualche anno prima (1861-65) con la guerra civile o di secessione tra Nord (l’Unione) e Sud (la Confederazione). Quest’ultima – formata da Stati in cui prevaleva la proprietà di piantagioni di cotone – era logicamente favorevole all’ideologia del libero scambio, perché vendeva cotone all’Inghilterra e questa “ricambiava” con i suoi prodotti industriali. Al Nord industriale una simile situazione non andava per nulla bene, poiché intendeva sviluppare le proprie potenzialità con il temporaneo protezionismo rispetto alle merci inglesi. Si trovò la nobilissima scusa ideologica della liberazione degli schiavi – fesseria che ancora ci viene propinata in tutte le salse, presentandoci la pensosa statua di Abramo Lincoln, certamente un grande presidente, ma non perché animato dalla smania di liberare i poveri negri (così si diceva allora, e veramente anche fino a qualche decennio fa) – e si scatenò una delle più sanguinose guerre di tutti i tempi, dove l’industria (per la produzione di armi più efficienti e moderne) fece la differenza. La Confederazione fu letteralmente schiacciata e spazzata via (gli Stati del Sud hanno impiegato un po’ di tempo a rimettersi), e si posero le basi per le sorti degli Usa nel XX secolo.
Negli ultimi decenni del XIX e nei primi del XX secolo l’Inghilterra declinò rapidamente e Usa, Germania, cui si aggiunse presto il Giappone, si batterono per la supremazia mondiale, decisa nel 1945 a favore del primo paese; nell’area detta capitalistica intanto e, dopo un ulteriore periodo di ritardo (senza altre guerre mondiali, malgrado si sia finto che la “guerra fredda” lo fosse; è meglio capire la differenza tra la prima metà secolo e la seconda, altrimenti si continueranno a propinare sciocchezze da parte di intellettuali balordi), nel resto del mondo. Una supremazia che oggi viene rimessa in discussione. Da chi però? Dagli Stati detti “antidemocratici”…
La “democrazia”, che del resto è sempre oggi abbinata al libero commercio mondiale (alla globalizzazione dei mercati, quest’altra mediocre invenzione di cervelli ormai privi di fantasia), è ideologia simile a quella ricardiana (i “costi comparati”), ha le stesse funzioni di imbrigliamento di tutti coloro che vogliono contestare la supremazia mondiale statunitense. Occorre una “nuova Prussia” (e poi Germania), occorre una “nuova Unione”. Nei vari paesi, vanno schiacciati e spazzati via i “nuovi confederati”, con tutto il corteggio dei loro intellettuali (in specie economisti, ma non solo; anche i filosofastri fanno la loro parte). Avete visto Via col vento? Vi ricordate i bei bagliori e le fiamme dell’incendio di Atlanta? Bene: quelle fiamme devono bruciare politici, intellettuali, giornalisti, ecc. “democratici”, ovviamente con gli odierni “proprietari di piantagione di cotone” che li pagano…
Aggiungo, affinché le “anime belle” non si mettano a guaire, che tutto questo riguarda certo i potenti, i dominanti, i vari “figli di p.” che agiscono nel mondo. Cari buonisti cristianeggianti, sempre pronti alla penitenza, ai “tre pater, ave, gloria”, dinanzi ai “poveri diseredati” (che non sono, a quel che si vede, tanto migliori umanamente dei suddetti “figli di p.”), se c’è ancora qualcuno che crede al “un, due, tre…..cento Vietnam”, chi ancora alle “campagne che accerchiano le città”, ecc. si accomodi pure; la fine che farà sarà la stessa di chi lo ha preceduto. Io credo a quello che vedo, i “cavalli alati”, i “draghi dalle narici fumanti”, mi piacciono molto come scatenamento della fantasia e metafore. Però, sul piano appena un po’ realistico, vedo l’apertura del multipolarismo, vedo il sedicente ritorno degli Stati nazionali, che è semplicemente il ritorno di Stati (mai spariti) in grado di riprendere il gioco delle potenze, un gioco sporco fatto di mille giravolte e senza coerenza né lealtà.
Da qui dobbiamo però partire, capendo somiglianze e differenze di questa nuova epoca multipolare rispetto alla sua precedente a cavallo tra otto e novecento (quella detta dell’imperialismo). Il movimento operaio sembrava in ascesa veloce e robusta; per un’autentica rivoluzione si dovettero attendere alcuni decenni e scoppiò in un paese contadino. Oggi, dov’è il movimento operaio? Quali nuove classi “rivoluzionarie” avrebbero preso il suo posto? Si ragioni intanto sull’esistente e si cominci con il dire che la “democrazia” (non a caso perseguita dalle “rivoluzioni colorate”) è l’equivalente delle ideologie “liberiste” ottocentesche, che sono poi anche oggi sempre le stesse, più o meno.
Si sono enormemente complicate (e perfino matematizzate) le forme espressive, la sostanza è sempre il sostegno al predominio di una potenza (allora l’Inghilterra, oggi gli Usa)… Al contrario delle banalità di Bastiat, si dica: le merci passano dove passano le armi e gli eserciti. E le “merci” che contano sono i sistemi missilistici da piazzare, sono i sistemi per il controllo dello spazio aereo, sono il nucleare (da “arricchire”), ecc. ecc. Il resto è chiacchiera di coloro che cercano l’Uomo, quello Vero, quello Giusto, Buono. Per quest’epoca, intanto, è certo che si tratta di cazzate su cazzate! Chi le spara, va trattato come i “confederati”, va bruciato come Atlanta.
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