Mercati Finanziari, Politica e la nuova realtà di George Friedman

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[traduzione di Pino Germinario da: Financial Markets, Politics and the New Reality | Stratfor]

 

M. Louis Bacon è il capo della Moore Capital Management, uno degli hedge fund più grandi e più influenti del mondo. La scorsa settimana, ha annunciato che stava restituendo un quarto del suo più grande fondo, circa 2 miliardi di dollari, ai propri investitori. La ragione addotta al New York Times era che aveva ritenuto troppo difficoltoso investire, data l’impossibilità di prevedere la situazione europea. Questa è una sua citazione significativa: “La complessità della situazione politica è così estrema … Non abbiamo mai visto questo fin dai tempi del dopoguerra. Quello che stanno facendo è cercare di contrastare gli esiti naturali del mercato. E’ incredibile quanto sia diventato determinante il potere decisionale di una persona, Angela Merkel, per i destini dei mercati mondiali.”

Lo scopo degli hedge fund è quello di fare soldi; ciò che Bacon ha detto in sostanza è come sia impossibile fare soldi in uno scenario politico così complesso, perché la l’intromissione politica introduce imprevedibilità nel mercato. Pertanto, l’investimento prudente diventa impossibile. Gli hedge fund sono diventati fondamentali per l’allocazione del capitale globale, perché le loro azioni influenzano altri attori importanti e la loro riluttanza all’investimento e agli scambi ha implicazioni significative per la disponibilità di capitale. Se altri seguiranno l’esempio di Moore Capital, come in effetti intendono fare, ci sarà maggiore difficoltà a reperire il capitale necessario per affrontare il problema dell’Europa.

Ma più interessante è il ragionamento. Nelle osservazioni di Bacon è radicata la convinzione che le decisioni politiche sono imprevedibili o meno prevedibili delle decisioni economiche. Invece di vedere il cancelliere tedesco Merkel come un prigioniero di forze non di mercato che limitano le sue azioni, gli investitori tradizionali sembrano convinti che l’Europa sia ora soggetta ai capricci della Merkel. Ritengo, invece, che le decisioni politiche sono prevedibili e che la Merkel non prenda decisioni, se non in quanto rispecchia le forze impersonali che la guidano. Se si individuano quelle forze impersonali, è possibile prevedere i comportamenti politici così come si possono individuare i comportamenti nel mercato. Non è una scienza esatta, ma impostata correttamente, l’analisi non è impossibile.

 

Economia Politica

 

Per fare questo, è necessario iniziare con due riflessioni. La prima è che la politica e i mercati interagiscono continuamente. Il fondamento stesso del mercato – la società a responsabilità limitata – è politica. Quello che molti assumono come naturale è in realtà un congegno politico che consente agli investitori di limitare la propria responsabilità. Il modo in cui si limita la responsabilità è una questione di diritto, non una questione di mercato, ed è progettato dai politici. La struttura del rischio nella società moderna ruota attorno alla società per azioni e questa è un artificio della politica insieme al rischio. Non c’è nulla di naturale nel diritto societario di una nazione e sono quelle stesse leggi che definiscono i mercati.

Ci sono momenti in cui la politica lascia invariate tali leggi e tempi in cui la politica si intromette. Il corso dell’ultima generazione è stato un momento unico in cui la prosperità dei mercati ha permesso alla struttura giuridica di rimanere generalmente invariata. Dopo il 2008, la stabilità non era più possibile. Ma l’attivo coinvolgimento politico nei mercati è in realtà la norma non l’eccezione. Gli investitori contemporanei, l’ultima generazione, hanno colto una clamorosa eccezione e, privi di senso storico, hanno scambiato questa per la norma. Questo spiega l’incapacità degli investitori contemporanei di far fronte a situazioni che le generazioni precedenti hanno costantemente affrontato.

La seconda riflessione è il riconoscimento che pensatori come Adam Smith e David Ricardo, così ammirati dagli investitori moderni, hanno compreso questo perfettamente. Non hanno mai usato il termine “economia” di per sé, ma solo in abbinamento con la politica; la chiamavano economia politica. Il termine “economia” non si è mai retto da sé fino al 1880 quando un gruppo, chiamato “i marginalisti”, ha cercato di  matematizzare l’economia e sganciarla dalla politica come uno ambito particolare della disciplina delle scienze sociali. La quantificazione di economia e finanza ha portato alla convinzione – mai sostenuta da uomini come Smith – che ci fosse una sfera autonoma della economia in cui la politica non si infiltrava e che la matematica aveva permesso ai mercati di essere prevedibili, a patto che la politica non avesse interferito.

Dato che la politica e l’economia non possono mai essere separati, i modelli matematici non si sono mai rivelati sufficientemente predittivi come ci si sarebbe aspettato. L’iper-quantificazione delle analisi di mercato, inconsapevole delle imperative considerazioni politiche, ha esacerbato le oscillazioni di mercato. Gli economisti e finanzieri si sono concentrati sui numeri piuttosto che sulle conseguenze politiche di quei numeri e sulle ridefinizioni politiche delle regole degli attori economici, che il sistema politico, in primo luogo, aveva inventato.

Il mondo non è imprevedibile,né l’Europa nè la Germania. La questione reale non è né ciò che i politici dicono di voler fare né ciò che segretamente desiderano fare. In effetti, non consiste nel capire cosa faranno. Piuttosto, la chiave per predire il processo politico è la comprensione dei vincoli – le cose che non possono fare. Il punto di vista degli investitori secondo cui i mercati sono imprevedibili a causa della politica, sbaglia su due punti. In primo luogo, non vi è mai stato un mercato indipendente dalla politica in quanto la società imprenditoriale è stata inventata. In secondo luogo, la politica e l’economia sono due attività umane, ed entrambe hanno quindi un certo grado di prevedibilità.

 

I vincoli della Merkel

 

L’Unione europea è stata creata per motivi politici. Le considerazioni economiche erano un mezzo per raggiungere un fine, e il fine era quello di fermare le guerre che avevano lacerato a pezzi  l’Europa nella prima metà del 20.mo secolo. La chiave è stata nel legare Francia e Germania in un’alleanza indissolubile basata sulla promessa di prosperità economica. Chi non comprende le origini politiche dell’Unione Europea e si concentra solo sui suoi obiettivi economici, non riesce a capire come funziona e può essere colto di sorpresa dalle azioni dei suoi politici.

L’Europa del dopoguerra si è evoluta con la riacquisizione da parte della Germania del proprio ruolo antecedente la guerra, di grande potenza esportatrice. Per i tedeschi, le prime versioni di Unione Europea sono diventate il fondamento della soluzione del problema tedesco, che stava in una capacità produttiva della Germania superiore alla sua capacità di consumo. La Germania ha dovuto esportare per sostenere la sua economia e ogni ostacolo al libero scambio minacciava gli interessi tedeschi. La creazione di una zona di libero scambio in Europa è stato un imperativo fondamentale, e quante più nazioni abbracciavano la zona di libero scambio, tanti  più mercati erano disponibili per la Germania. Pertanto, la Germania era aggressiva nell’espansione della zona di libero scambio.

La Germania è stata anche un grande sostenitore di standard europei in settori quali la politica dell’occupazione, la politica ambientale e così via. Queste politiche proteggono le più grandi aziende tedesche, in grado di assorbire i relativi costi, dalla concorrenza imprenditoriale del resto d’Europa. Aumentare il costo d’ingresso nel mercato era una parte importante della strategia della Germania.

Infine, la Germania è stata un campione dell’euro, una moneta unica controllata da una singola banca sulla quale la Germania ha avuto un’influenza proporzionata alla sua importanza. La moneta unica, con la sua attenzione ad evitare l’inflazione, ha protetto i creditori tedeschi dai paesi europei che gonfiavano in maniera inflazionistica il loro debito. Il debito è denominato in euro, la Banca centrale europea controllava il valore dell’euro e i paesi europei all’interno e all’esterno della zona euro sono rimasti intrappolati in questa politica monetaria.

Fintanto che c’era prosperità, i problemi alla base del sistema sono rimasti nascosti. Ma la crisi del 2008 ha rivelato i problemi. In primo luogo, molti paesi europei avevano notevoli saldi negativi nella bilancia commerciale con la Germania. In secondo luogo, la politica monetaria europea era incentrata sulla tutela degli interessi della Germania e, in misura minore, della Francia. Il regime normativo ha creato rigidità sistemica che proteggeva le grandi aziende già esistenti.

La politica della Merkel in queste circostanze è stato imposta su di lei dalla realtà. La Germania era completamente dipendente dalle sue esportazioni e le sue esportazioni in Europa erano critiche. Doveva assicurarsi che la zona di libero scambio rimanesse intatta. In secondo luogo, ha dovuto ridurre al minimo per la Germania il costo di stabilizzazione del sistema spostandolo verso altri paesi. Ha anche dovuto convincere i suoi connazionali che la crisi era dovuta alla dissolutezza degli europei del sud e che non avrebbe permesso loro di trarre vantaggio dai tedeschi. La verità è che la crisi è stata causata dalla Germania che utilizzava il sistema commerciale per inondare con i suoi beni il mercato, limitando la concorrenza attraverso la regolamentazione e che per ogni euro preso in prestito con noncuranza, un euro è stato incautamente prestato. Come un buon politico, Merkel ha creato il mito dei Greci astuti nell’ingannare la fiducia dei verificatori di Deutsche Bank.

Nonostante la retorica, il processo decisionale della Merkel era chiaro. In primo luogo, in nessun caso avrebbe potuto consentire a qualsiasi paese di lasciare la zona di libero scambio dell’Unione Europea. Una volta che si fosse cominciato non si poteva prevedere dove si sarebbe andati a finire, salvo che in una catastrofe tedesca. In secondo luogo, per ragioni economiche e politiche doveva essere più aggressiva possibile con debitori inadempienti. Ma non poteva mai essere così aggressiva tanto da indurli a decidere che il default e il ritiro avevano più senso della permanenza nel sistema.

Merkel non ha costruito le proprie decisioni; stava recitando un copione che era stato scritto nella struttura dell’Unione Europea e nell’economia tedesca. Merkel avrebbe creato crisi in modo da puntellare la propria posizione interna, posizionarsi per il migliore accordo possibile senza forzare il ritiro, e alla fine modellare un accordo che non sarebbe stato mantenuto o semplicemente capitolare, rimuovendo il problema fino alla prossima riunione di qualsiasi gruppo.

Alla fine, i tedeschi dovranno assorbire il costo della crisi. Merkel, ovviamente, lo sapeva. Ha tentato di estorcere una nuova struttura europea in cambio di un inevitabile capitolazione della Germania nei confronti dell’Europa. Merkel ha capito che l’Europa, e uno dei fondamenti della prosperità europea, si è incrinata. La sua soluzione era quella di proporre una nuova struttura in cui i paesi europei accettassero la supervisione da parte di Bruxelles dei loro bilanci nazionali come parte di una soluzione sistemica favorita dai tedeschi. Alcuni paesi hanno apertamente respinto questa proposta, mentre altri sono d’accordo, sapendo che non sarebbe mai stato implementato. Il tentativo di Merkel di recuperare terreno tramite la creazione di un apparato europeo ancora più potente era destinato a fallire per due motivi. Il primo e più importante: la rinuncia alla sovranità non è una cosa che le nazioni concedono facilmente – in particolare le nazioni europee e non certo nei confronti di quella che era un’effettiva struttura a guida tedesca. In secondo luogo, il resto d’Europa sapeva che non doveva cedere perché alla fine la Germania avrebbe sottoscritto la soluzione (di gran lunga il risultato più probabile) o la zona di libero scambio sarebbe andata in frantumi.

Se capiamo l’ovvio, allora i passi della Merkel sono del tutto comprensibili. La Germania aveva bisogno dell’Unione Europea più di qualsiasi altro paese a causa della sua dipendenza commerciale. La Germania non potrà consentire di sciogliere l’unione in nazioni scollegate. Pertanto la Germania blufferà costantemente e poi indietreggerà. Tutto il dramma greco è stato l’esempio di questo. Era la Merkel che era in trappola ed, essendo in trappola, era prevedibile.

La questione dell’euro è stata interessante perché intersecava il sistema bancario. Ma concentrandosi sull’euro, gli investitori non sono riusciti a capire che era un problema secondario. L’Unione Europea è un’istituzione politica e l’unità europea veniva prima. I finanziatori erano molto più preoccupati per la sorte dei loro prestiti di quanto lo fossero i mutuatari. E qualunque sia il gioco di ombre della Banca Centrale Europea, finiranno per fare il minimo per evitare di default, ma si eviterà il default. L’euro potrà essere stato quello che gli investitori trattavano, ma non era ciò che riguardava veramente il gioco. Il gioco riguardava la zona di libero scambio e l’unità franco-tedesca. Merkel non ha preso decisioni basate sull’euro, ma su altre considerazioni più pressanti.

 

Trading Moderno

 

Il problema degli investitori è che equivocano il periodo tra il 1991 e il 2008 come la normalità e continuano ad aspettare il suo ritorno. Io l’ho visto come un periodo bizzarro che poteva sopravvivere solo fino alla successiva più grave crisi finanziaria – e ce n’è sempre una. Mentre il periodo insolito era in corso, le questioni politiche e commerciali si erano inabissate sotto il balsamo della prosperità. In quella fase, i cicli e gli spostamenti interni del sistema finanziario europeo operavano con minime turbolenze esterne, e per quelli addestrati a trarre profitto da questi vortici finanziari, è stato un buon momento per gli scambi.

Una volta scoppiata la crisi del 2008, alcuni fattori esterni che erano da sempre lì, ma dormienti, sono diventati più evidenti. I meccanismi interni del sistema finanziario sono diventati dipendenti da forze esterne. Eravamo nel mondo dell’economia politica, e la politica è diventata come una marea, rendendo irrilevanti i cicli commerciali e le opportunità che gli operatori coglievano dal 1991. E così, dopo aver perso denaro nel 2008, non avrebbero mai potuto trovare il loro nuovo equilibrio. Adesso vivevano in un mondo in cui Merkel era più importante di un potente trader.

In realtà, Merkel non era più importante di un commerciante. Entrambi sono stati intrappolati all’interno di vincoli di cui non potevano disporre. Ma se questi vincoli fossero stati compresi, il comportamento della Merkel poteva essere previsto. Il vero problema per gli hedge funds non era che non capivano quello che stavano facendo, ma che il modo in cui effettuavano gli scambi in passato semplicemente non funzionava più. Anche capire e prevedere ciò che i leader politici faranno non ha alcun valore se insistete su un modello di trading costruito per un mondo che non esiste più.

Ciò che viene chiamato trading ad alta velocità, ripetute negoziazioni su movimenti infinitesimali in un ambiente tranquillo e prevedibile, non funziona durante un’ondata di marea politica. E gli investitori di ultima generazione non sanno come fare trading nel corso di un maremoto. Quando ricordiamo le due guerre mondiali e la Guerra Fredda, vediamo che questa era invece la norma per tutto il secolo e che le fortune sono state costruite. Ma l’ultima generazione di investitori vuole controllare il rischio piuttosto che approfittare delle nuove realtà.

Comunque la pensiamo sulle prestazioni della comunità finanziaria dal 2007, ci deve essere un sistema di allocazione del capitale. Potrebbe essere operato dallo Stato, ma vi è evidenza empirica che lo Stato non è molto bravo a prendere decisioni di investimento. Ma poi, le prestazioni della comunità finanziaria sono state altrettanto inaccettabili, con la sua smodata quota di menzogna evidenziata. L’argomento dell’allocazione privata del capitale può essere teoricamente potente, ma il fatto è che la validazione empirica del modello privato non c’è stata per diversi anni.

Un forte argomento può essere addotto –  corruzione e stupidità a parte –e cioè che il vero problema è stata la mancanza di immaginazione. Siamo nuovamente entrati in un’era in cui i fattori politici domineranno le decisioni economiche. Questa è stata la norma per un tempo molto lungo, e gli operatori che aspettano il ritorno della vecchia era saranno delusi. Le scelte politiche possono essere previste se si comprendono i vincoli ai quali un politico come Merkel dovrà sottostare e non si crede che si tratti semplicemente di decisioni casuali. Ma per fare questo, dovete tornare a Adam Smith e ricordare il titolo della sua opera maggiore, La ricchezza delle nazioni. Si noti che Smith stava scrivendo sulle nazioni, di politica ed economia – di economia politica.

 

Financial Markets, Politics and the New Reality is republished with permission of Stratfor.”