MULTIUTILITIES di M. Tozzato

 

Prendendo spunto dall’ottimo articolo di G. Duchini e dalla questione di quello che lui chiama “Neostatalismo delle Municipalizzate” proveremo ad avanzare alcune considerazioni sul problema della riforma dei servizi pubblici locali e dello sviluppo delle S.P.A. legate alle Autonomie Locali, con particolare riguardo alle loro aggregazione in grandi aree territoriali, di dimensione regionale o ancora maggiore (multiutilities). Per introdurre la problematica è necessario considerare che a partire dagli anni novanta del secolo scorso si sono sviluppate, in maniera sempre più accelerata, società di capitali partecipate locali in tutto o in parte di proprietà pubblica: esse erano nel numero di 22 nel 1995 per poi passare a 56 nel 1997 sino a risultare circa 900 nel febbraio 2007. In effetti la dimensione e la composizione azionaria di queste società risulta estremamente variabile in modo che a fronte di alcune multiutilities di dimensioni notevoli sussiste un numero molto alto di piccole società dove, per lo più, gli Enti Locali  sono gli unici proprietari ( il 73% in termini numerici del totale della S.p.a. sparse sul territorio nazionale). A partire dai primi tentativi di sistemazione normativa si è , perciò, cercato di articolare le disposizioni di legge in modo tale da tener conto che <<con il termine servizi pubblici locali si è soliti distinguere i servizi di pubblica utilità locali (definiti “servizi a rilevanza imprenditoriale” o “a rilevanza economica”) e i servizi alla persona. Tra i primi […] si annoverano la distribuzione del gas naturale, la produzione e distribuzione dell’energia elettrica, i servizi idrici, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti, i trasporti pubblici locali.>> Il conflitto politico “trasversale” che attualmente si rivela nelle difficoltà di sistematizzare il quadro normativo riguarda proprio le vaste potenzialità di crescita e di profitto che caratterizzano i servizi pubblici locali di “rilevanza economica”.  Nell’ambito delle cosiddette “privatizzazioni” quelle relative ai servizi pubblici locali  vengono definite di tipo “formale” nella misura in cui le  società di capitali qualificabili come utilities sono <<di proprietà pubblica>> e in esse prevale <<l’affidamento diretto del servizio>>. La differenza tra privatizzazioni “formali” e “sostanziali” viene definita in questo modo dagli economisti:<<Le privatizzazioni “formali” comportano l’adozione di una veste giuridica di tipo privato (generalmente Spa) e la formazione di un’entità dal punto di vista organizzativo e contabile separata dall’ente pubblico d’origine. Le privatizzazioni “sostanziali” comportano, invece, un trasferimento, in tutto o in parte, della proprietà dei beni del settore pubblico al settore privato attraverso una cessione di azioni. In questo caso si può poi distinguere il caso in cui l’azienda rimane sotto il controllo dell’azionista pubblico (che continua ad esercitare la governance) dal caso in cui i privati, una volta acquisita una sufficiente quota di partecipazione al capitale, hanno la possibilità di definire gli indirizzi strategici delle aziende.>> Ad ogni modo, come già accennato, in questi ultimi anni gli esperti hanno posto l’accento sull’importanza dell’aumento della scala dimensionale delle multiutilities per quanto riguarda la concentrazione e centralizzazione dei capitali, l’estensione territoriale e la differenziazione produttiva. Il processo, che è tuttora in corso, di creazione di grandi aziende, oltre a dare origine a economie di scala  legate all’abbattimento del <<peso dei costi fissi connessi alle infrastrutture>> ha messo in moto <<strategie di diversificazione e di gestione integrata […] tipico delle aziende multiutilities (soprattutto nei settori acqua, luce e gas)>> con la << possibilità di sfruttare economie di gamma, connesse alla messa in comune dei servizi commerciali e alla gestione congiunta di alcune infrastrutture, soprattutto per servizi radicati sul territorio .>>  Nel rapporto ISAE del maggio  2007 troviamo riassunti i termini  fondamentali di indirizzo politico-economico che dovrebbero riguardare le società pubbliche locali di servizi: si ritiene che <<l’organizzazione industriale della fornitura delle public utilities debba privilegiare: 1) la crescita dimensionale della scala di attività, anche tramite la copertura di più bacini di utenza; 2) la diversificazione delle attività nella forma multiutility>>. Si considera, inoltre, che i servizi pubblici locali <<sono caratterizzati da: a) rilevanti investimenti infrastrutturali che rendono ottimale che la dimensione del gestore sia grande per poter minimizzare l’incidenza dei costi fissi; in alcuni casi ricorrono direttamente le condizioni di monopolio naturale su scala locale; b) infrastrutture polifunzionali, con la presenza di costi comuni o congiunti, che rendono ottimale che uno stesso gestore si attivi per la fornitura di più servizi.>> In riferimento <<all’apertura/allargamento della base azionaria e all’approdo in borsa, infine, sono riconducibili due effetti rilevanti per l’efficienza/efficacia di gestione: 1) l’accesso a capitali di lungo periodo per il finanziamento degli investimenti e la crescita dimensionale; 2) l’acquisizione di una governance più trasparente, soggetta ai controlli canonici delle società quotate, e di una conseguente maggiore responsabilizzazione della dirigenza e degli amministratori.>> Si pretende, poi, che gli effetti sopra citati influenzino <<l’autonomia delle imprese partecipate dagli Enti Locali>> favorendo la separazione, in questo ambito, tra sfera economica e sfera politica. Risulta evidente, invece, che le grandi multiutilities acquistano una sostanziale autonomia dai poteri locali proprio perché la loro dimensione le fa rientrare in un ambito economico-competitivo e le orienta in un area strategica ormai non solo nazionale ma persino europea e internazionale. A questo punto è però necessario introdurre il discorso sulla normativa vigente che regola i servizi pubblici locali di rilevanza economica e sulle proposte (il ddl Lanzillotta) che si ripromettono di riformarla. Il disegno di legge è ormai fermo da due anni in parlamento mentre nel frattempo vengono elaborati nuovi testi di modifiche ed emendamenti che manifestano i conflitti tra interessi diversi il cui esito risulta tuttora incerto. L’attuale normativa per <<quel che riguarda la modalità di affidamento del gestore […] prevede la scelta fra tre alternative modalità di selezione: 1) attraverso gara ad evidenza pubblica; 2) in modo diretto a società mista, il cui socio priva
to sia selezionato attraverso gara ad evidenza pubblica; 3) attraverso il cosiddetto affidamento in house(1), ovvero a società di capitale interamente pubbliche, a condizione che “l’ente locale o gli enti pubblici … esercitino un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente o gli enti pubblici che la controllano”>>. I fautori della concorrenza “a tutto campo” criticano il fatto che venga messa sullo stesso piano <<la contendibilità del mercato con la messa a concorrenza di una sola quota del capitale dell’impresa>> facendosi anche forti del precedente di una procedura di infrazione comunitaria risalente al 2002 che costrinse i legislatori ad  abolire le norme che permettevano alle imprese pubbliche locali di <<mantenere l’affidamento diretto (anche nel caso di partecipazione di minoranza da parte del Comune)>> senza <<alcun obbligo del ricorso alle gare per l’affidamento del servizio>>. Non solo, quindi, era possibile scegliere, per l’ente pubblico, il proprio partner societario senza ricorrere a gare ma venivano sottratti alla concorrenza persino gli appalti, concessi ad altre imprese, di prestazioni lavorative e forniture. Una vera pacchia sia per il “privato” che riusciva, magari tramite appoggi clientelari, a inserirsi nel “gioco” senza dover competere tramite asta, sia per le amministrazioni locali che potevano lucrare su questa loro possibilità di concedere il privilegio dell’affidamento in maniera del tutto libera ed “arbitraria”. Per tornare alla normativa attualmente vigente si deve rilevare che le disposizioni emanate nel 2003 non si applicano <<ai settori dell’energia elettrica, del gas naturale e dei trasporti locali, le cui normative settoriali disciplinano la gara come esclusiva forma di affidamento del servizio>> per cui risulta ancor più evidente la necessità di un nuovo inquadramento di legge che riordini tutti i settori dei servizi locali. Il disegno di legge Lanzillotta che sancisce, comunque, il <<principio che la proprietà delle reti e degli impianti di serv. pub. loc. debba essere mantenuta in capo agli Enti Locali>> propone l’introduzione della concorrenza regolata, come modalità di affidamento della gestione del servizio,  la <<limitazione dei casi di affidamento diretto e in house>> e <<l’obbligo, per gli Enti Locali, di ricorrere a procedure competitive ad evidenza pubblica per la scelta del gestore di tutti i servizi pubblici locali (ad esclusione del servizio idrico per il quale viene esplicitata una riserva di gestione pubblica) e, per finire, la limitazione del ricorso ad affidamenti diretti e in house a “specifiche e tassative fattispecie”>>. Ma i recenti sviluppi hanno ulteriormente complicato il quadro della situazione: nel disegno di legge, infatti, prima << è stata inserita una formulazione meno rigida riguardo la limitazione degli affidamenti diretti e in house>> e poi nell’emendamento alla Finanziaria 2008, ritirato due giorni dopo dagli stessi che lo avevano proposto, veniva accentuata <<la possibilità di affidi a società di capitale interamente pubbliche>> e riproposta, anche per i servizi di rilevanza economica, <<la possibilità di gestioni in economia, o direttamente tramite risorse interne all’Ente Locale o anche tramite aziende speciali >> che risultano essere <<vere e proprie articolazioni dell’Ente Locale, pur se dotate di personalità giuridica distinta>>. Si potrebbe pensare che queste ultime modifiche siano tese ad agevolare soprattutto le piccole realtà comunali, dove la costituzione di S.p.a. in ambiti territoriali limitati si rivela spesso un fattore di aumento dei costi particolarmente gravoso, visti i vincoli sempre maggiori dettati dal Patto di Stabilità per il controllo della spesa pubblica. In realtà le strategie sono piuttosto articolate e le prossime mosse risultano abbastanza difficili da prevedere anche in considerazione del completo inserimento del ciclo dell’acqua nelle prospettive di sviluppo delle grandi multiutilities, inserimento che fino ad ora era stato frenato, almeno così era sembrato, dalle resistenze opposte dalle propaggini movimentiste della “Sinistra Radicale di Governo” (ora “Arcobaleno”). Altro tema cruciale che rimandiamo ad un prossimo intervento sul blog è senz’altro quello del rapporto tra le grandi macroutility italiane ed europee (in Italia Enel, Eni, Edison e la neonata A2A), le multiutilities “regionali”, come Hera, Enia, Iride, Acea ed altre, e quelle metropolitane delle grandi città. Vedremo così se potranno risultare attendibili le previsioni avanzate sul Sole 24 Ore del 19.02.2008:<<è molto probabile che fra pochi anni il mercato europeo delle utility sarà dominato da 5 o 6 grandi campioni internazionali in tutto, la cui potenza sarà superiore a quella degli stessi governi.>>   

 

(1)   <<La gestione in house implica che le pubbliche amministrazioni realizzino le attività loro spettanti mediante propri organismi, senza ricorrere al mercato. Non vi è pertanto alcun coinvolgimento di operatori economici nell’esercizio di tali attività, per cui sono sottratte alle regole della concorrenza come invece avviene per gli appalti pubblici e gli affidamenti dei servizi pubblici a terzi. Sono gestioni in house  le “gestioni in economia”, quelle a mezzo di istituzioni e aziende speciali comunali. Le società in house sono invece le S.p.a. il cui capitale è interamente pubblico.>>  

 

Mauro Tozzato                                    21.02.2008