NESSUNA ILLUSIONE di G.P.

 

segue: "basta fare i bambini" a cura di glg

 

Quanto sta accadendo sulle principali borse mondiali, tutte stritolate dalla crisi di credibilità – altro che mancanza di fiducia dei risparmiatori, del resto, in che modo riporre stima in imbroglioni patentati che sono capaci di negare pure l’evidenza (basti pensare a quell’Alessandro Profumo, ad di Unicredit, il quale solo qualche giorno fa aveva tentato di rassicurare i propri clienti sulla stabilità della banca da lui diretta, salvo far approvare, a poche ore di distanza, un piano di ricapitalizzazione da ben 6,6 mld di euro) e che cercano di convincere gli altri sulla salute del sistema, mentre non ci credono nemmeno loro, come attestano gli attuali livelli dei tassi interbancari, vale a dire dei tassi di interesse ai quali le banche prestano denaro ad altre banche?) – susseguente al piazzamento di titoli spazzatura in ogni angolo del mondo, ben coperti e impacchettati in attività meno “traballanti”, inaugura ufficialmente una fase di scompenso sistemico che potrebbe durare ancora per molti anni.  Tuttavia è errato pensare che la crisi in corso sia di natura strettamente finanziaria, quest’ultima, semmai, annuncia sconvolgimenti molto più profondi che avranno uno sfocio prettamente politico, proprio come accaduto nel ’29, allorché il crollo delle principali borse internazionali aprì una fase di grande instabilità nei rapporti tra formazioni nazionali, risoltasi solo con il conflitto mondiale e con l’affermazione della superpotenza statunitense.

Quindi stiamo attenti a non confidare troppo sui nostri umori ideologici, alimentati da rivoluzionari da strapazzo, sempre pronti ad annunciare la fine del mondo, al pari dei peggiori profeti biblici, quando qualche nube si addensa all’orizzonte.

Sicuramente, questo scossone farà male a molti ma non saranno gli Stati Uniti l’unica nazione ad uscirne malconcia, anzi potrebbe verificarsi l’esatto contrario. Proprio ieri l’agenzia di rating Moody’s continuava a dar agli Usa una valutazione massima, basandosi sulla capacità e la forza del suo apparato militare, il che la dice lunga sui criteri con i quali si fanno gli affari nel mondo.

I grandi organismi finanziari, quelli che trattano la moneta (non soltanto gli apparati del settore bancario, ma anche quelli assicurativi o dei fondi pensione ecc. ecc., insomma tutti quegli organismi che oggi stanno ricorrendo ai piani di salvataggio statali), in fasi normali, permettono al sistema nel suo complesso di ottenere una grande spinta propulsiva e innovativa, in quanto facilitano il rastrellamento delle risorse indispensabili agli investimenti nell’economia reale. Gli agenti di tale sfera, configgendo con altri attori dello stesso universo, al fine di primeggiare,  moltiplicano le occasioni di profitto e contribuiscono alla crescita generale del sistema economico. Siccome essi hanno a che fare col denaro e con i suoi derivati, sono portati a moltiplicare le immagini della ricchezza reale, senza darsi limiti di sorta, fino al punto in cui tale duplicazione si sgancia completamente dal sostrato produttivo che ne sta alla base. Quando questo accade l’intera impalcatura finanziaria perde di stabilità e stramazza al suolo. Si tratta di un dato fisiologico ed ineludibile che, tuttavia, consente al capitalismo di raggiungere elevate performance di dinamicità e flessibilità.

Come sostiene La Grassa, nel settore che manovra il denaro “l’elemento decisivo, da tenere sempre sott’occhio, è il conflitto – permanente pur se attraverso fasi di acutizzazione e di attenuazione, di crescente fluidità e di temporanea aggregazione collaborativa (alleanza) per meglio disporsi sul terreno del combattimento – tra gli agenti che ricoprono i ruoli e svolgono le funzioni strategiche di “gruppi di comando” delle “truppe” finanziarie. Ogni gruppo di comando di un esercito usa gli strumenti che possiede” “…I finanzieri manovrano il denaro … non hanno, in specie se lasciati “soli”, la visione dell’equilibrio di detti strumenti con quelli impiegati dagli agenti dominanti in altri comparti della società, arrivando così a mettere in circolazione una quantità eccessiva di mezzi finanziari e a utilizzarli in contingenze in cui sarebbe più efficace, ai fini della vittoria nella lotta per la supremazia, affidarsi a quelli specifici di altre sfere sociali: ad es. all’attività produttiva, in specie innovativa; o all’azione politica, in particolare di potenza; e via dicendo. Quello che è un “riflesso speculare” della produzione di merci, il suo “duplicato” monetario, viene in questo modo ad essere accresciuto e reso eccessivamente sovrabbondante per il semplice fatto che gli agenti strategici dominanti nella sfera finanziaria hanno a disposizione tale strumento di battaglia, e questo sanno usare in modo precipuo. In tale senso e a causa di quest’uso, il mezzo monetario diventa meramente speculativo. Gli “specchi” dunque si moltiplicano rinviando continuamente, potenzialmente all’infinito, la stessa immagine. Se uno o più “specchi” vanno in frantumi, l’immagine si spezza o anche sparisce per un certo periodo di tempo, fino a quando quelli rimasti non vengano riposizionati onde rinviarsela nuovamente, in genere ormai deformata irrimediabilmente.”

In sostanza, la crisi finanziaria sarebbe un effetto collaterale inevitabile nella battaglia tra agenti decisori che si fronteggiano in tale sfera e che si fanno una guerra senza esclusione di colpi. Il gioco non è però a somma zero perché il prezzo di una possibile caduta viene abbondantemente ripagato dala crescita esponenziale delle fonti di guadagno e dalla successiva rigenerazione con la quale il capitalismo supera le precedenti contraddizioni e si ricostituisce su basi rinnovate.

Le crisi, dunque, inizialmente si scaricano sulla sfera finanziaria ma poi, inevitabilmente, dilagano sugli aspetti reali dell’economia e sulla sfera politico-militare, provocando profondi mutamenti che danno nuovo vigore ai “muscoli” e allo “spirito” della formazione capitalistica globalmente intesa. Tanto detto, stiamo lontani dagli imbonitori che parlano di crollo del sistema per intrinseche contraddizioni insanabili e prepariamoci a ragionare in termini nuovi, cogliendo le occasioni che, nel caos generale, si apriranno a favore dei dominati. L’esito di tanti sommovimenti non è, dunque, per nulla scontato, nè in un senso a noi sfavorevole nè in senso a noi più vantaggioso. Molto dipenderà dalla nostra disponibilità a liberarci del vecchio modo di pensare, al fine di meglio cogliere quegli aspetti realmente strutturali della società dei funzionari del capitale.

 

                             BASTA FARE I BAMBINI (a cura di GLG)

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Propongo oggi l’editoriale di Alvi sul Giornale. I soliti cretini facciano pure commenti sul nostro servirci degli scritti del “nemico”. Personalmente, so di essere saldo nel mio anti-liberismo, esattamente come contro il neo-“keynesismo” (e metterò sempre il termine tra virgolette), poiché le due correnti sono l’esatta illustrazione dello speculare antagonismo tra due concezioni antitetico-polari (nei termini di Lukàcs), entrambe negative e falsificanti, entrambe uno schermo che cela la “realtà dei fatti” (anche tale espressione va ovviamente virgolettata). Il pregio dell’articolo di Alvi sta tutto nel descrivere in modo vivace il caos delle decisioni delle autorità (in specie quelle europee) che invece, in altra stampa e in TV, vengono presentate con il volto rassicurante di un decisionismo “coordinato” e consapevole di ciò che si sta facendo. Almeno Alvi, da liberista, ci mostra che così non è, che i governanti hanno le idee confuse e si muovono a casaccio e senza tanta capacità di cooperare veramente, almeno in queste prime fasi di aggravamento della crisi.

Mi piace riportare anche qualche frase di un articolo di Baget-Bozzo (sempre per gli stessi motivi appena illustrati): “Non solo il mondo non è più unipolare [quello che io definisco monocentrismo; nota mia] sul piano militare, ma non lo è più nemmeno sul piano economico e finanziario. Ma gli Stati Uniti rimangono ancora l’ultimo decisore, anche se a caro prezzo [si tratterebbe in definitiva di quello che chiamerei policentrismo o multipolarismo ancora fortemente asimmetrico; nota mia]…….Un po’ più di Stato sembra necessario quando c’è un po’ meno di mercato……Occorre che l’Europa ridia agli Stati quella libertà e quella autorità che con le sue regole draconiane aveva interrotto. Lo Stato non è la soluzione: ma non è nemmeno il problema…….Questa non è la crisi del capitalismo perché il capitalismo è oggi la forma dell’economia mondiale anche nei paesi che non sono democratici [leggi semplicemente: che non seguono le forme vuote della democrazia elettoralistica, favorevole al predominio americano, e affermano invece un decisionismo più centralizzato, che mostrerà la sua maggiore efficacia in tempi non lunghissimi; nota mia]. La tecnica e l’economia dell’Occidente hanno unificato il mondo [non è proprio così, ma soprassediamo al momento; nota mia], e del socialismo e del comunismo non vi è più memoria [affermazione esattissima; i “comunisti” di oggi, veri fedeli di una “religione” in estinzione, non hanno nulla a che vedere con il comunismo di Marx e Lenin!; nota mia]. In Cina il comunismo è la base politica del capitalismo, un paradossale risultato” [si tratta solo del centralismo delle decisioni, che c’entra con il comunismo come i famosi “cavoli a merenda”; nota mia].

Ciò che più mi interessa di questi passi è il loro far giustizia di tutte le colossali sciocchezze propalate dal politically correct della sinistra fino ad anni recenti; tutte quelle autentiche idiozie sulla fine degli Stati nazionali – tesi finalmente sommerse da palate di m….. – che sono state prese sul serio dai giornali dell’imperialismo americano, seguiti da quelli della succube GFeID italiana; quante volte quel Dulcamara che è Toni Negri, personaggio montato da certa futile e leggera intellettualità francese “di sinistra”, è apparso sul “Corrierone” (verrebbe da dire: “dei piccoli”, anzi dei nanerottoli), spandendo le sue inintelligenti assurdità sull’Impero acefalo, ecc. Quante volte gli sfatti intellettuali radical-chic de Il Manifesto (e simili) hanno tenuto bordone a simile squallore, dimostrando quale cancro siano sempre stati per una effettiva “rifondazione” (non comunista, per favore, ma semplicemente del buon senso e di un briciolo di intelligenza politica).

Rispetto a questi sciocchi che hanno imperversato per anni, distruggendo ogni intelligenza di coloro che furono veri comunisti (ormai definitivamente tramontati), Baget-Bozzo ci dice – forse inconsapevolmente, ma credo invece di no – che la crisi attuale è strettamente collegata alla fine del “mondo unipolare” (monocentrico). Come ben si sa, è esattamente la tesi che sostengo da anni; per cui, fra l’altro, prevedo che questa non sarà l’ultima crisi né la più grave, poiché da questo policentrismo asimmetrico usciremo, nel medio periodo, verso un più deciso multipolarismo. Non solo una successiva crisi sarà più acuta, ma pian piano si andranno mostrando, come assai più decisivi e “alla luce del sole”, i suoi aspetti non soltanto economici legati al conflitto intercapitalistico (interdominanti) sul piano mondiale.

Finalmente stiamo arrivando al dunque, al redde rationem. Tuttavia, fino a quando resteranno presenti questi sinistri “estremi” senza più cervello, veri bamboccioni che giocano alla politica assieme al moderno “lumpenproletariat” dei centri sociali (e assimilati), continuerò a citare autori piuttosto “destri”, con cui non sono affatto d’accordo, ma cui riconosco una maggiore serietà e intelligenza “delle cose”. Gli intellettuali “di sinistra” (i “radicali”, gli “estremi” soprattutto) vadano gettati nelle foibe e nelle discariche, che è il loro posto naturale; personaggi infantili, presuntuosi e arroganti, persecutori di tutti quelli che pensano e si arrovellano, cui hanno chiuso ogni spazio – solo perché aiutati dalla GFeID (Rcs, gruppo De Benedetti, e appendici varie e vieppiù degenerate) – per imperversare negli ultimi trenta-quarant’anni con i loro veleni in grado di rammollire i cervelli di un’intera generazione. Peste e corna a questo ceto intellettuale di sinistra, la peggiore disgrazia che ci sia capitata addosso negli ultimi decenni.

Ecco l’editoriale di cui appena detto:

 

Un crollo delle Borse da infarto, peggiore di quello del 1987, perché allora tra l’altro non s’erano vietate le vendite allo scoperto. E poi perché il panico è arrivato in Europa dopo aver covato silente e lento per settimane, nelle quali gli europei tutti, cittadini e governanti, si sono troppo incantati a guardare oltre Oceano. Sempre più preoccupati, ma ancora ipnotizzati: ad approvare o biasimare la scelta americana. Dimenticandosi che giusta o no, quella di Paulson e delle aristocrazie venali americane almeno era, ed è stata, una scelta. Ben più colpevole in uno stato di eccezione, come questo presente, è infatti non scegliere. Perdersi in un fine settimana dei governi a Parigi il cui risultato percepito è stato infine l’accordo sul disaccordo, belle parole, pochi fatti. Conclusi come niente fosse domenica poi dalla notizia che il salvataggio di Hipo Real era saltato, con un buco da coprire che solo in Germania e per quella sola banca potrebbe costare circa il deficit di una nazione come l’Italia. Ovvio, inevitabile direi, il panico.

 
Iniziare il vertice di Parigi con la proposta di Sarkozy per una specie di bail out bancario organizzato dai governi europei, e salutarsi senza averlo ottenuto, è stata non piccola leggerezza. In una crisi, come non se n’erano viste dagli anni Trenta [corsivo mio; ndr], fare l’invito e in pubblico alla Germania è stata un’imperdonabile ingenuità francese. Né i tedeschi del resto hanno poi loro fatto meglio. Angela Merkel in televisione sabato ha promesso che tutti i depositi verranno protetti. Ma, come maligni per ripicca hanno subito osservato gli inglesi, non è molto chiara la legislazione utile per mantenere la promessa. E intanto la Spagna però si offendeva, invece di pensare ai guai dei suoi di mutui, che, come quelli del Benelux, non sono solo un male importato da oltre Oceano. Seguiva nei vari notiziari la bomba del piano di salvataggio della banca tedesca saltato, il che, tradotto, ha significato che qualche banca tedesca salvatrice già non si sente tanto meglio di quella da salvare. Dopodiché l’Irlanda faceva di testa sua: garantendo i depositi e persino le altre passività delle sei maggiori, e irritando la Bce; la vera bella addormentata di questa crisi. Perché non occorre essere degli Adamo Smith per chiedersi cosa aspetti ancora ad abbassare i tassi. Né è mancata l’Islanda, terra lontanissima e di vichinga praticità, ma con la Borsa al collasso.
Insomma un po’ troppo da digerire, non fossimo già al punto dove siamo. E nel quale servono invece atti concreti. Perché i mercati finanziari e le economie reali europee sono più integrati della sua politica. E perciò non va bene che Gordon Brown si sfoghi, dicendo l’ovvietà che questa crisi è colpa degli Usa. Tantomeno bastano le tautologie di Trichet: è lapalissiano che non abbiamo un bilancio federale europeo, e non siamo una federazione politica. Insomma basta. Si capisca che occorre agire, non chiosare, in questa prima volta di una crisi in cui l’Europa è senza paracadute, messa alla sua vera grande prova. E pensabile che si lascino i tassi a questi livelli mentre è chiaro da prima della estate che si sta ormai covando una deflazione tremenda, e si rischia che evolva in depressione mondiale? [corsivo mio; ndr] Per quanto tempo ancora si può evitare di imporre, e assistere, la ricapitalizzazione di tante banche, e sono la più parte, che si possono salvare? E quanto dobbiamo attendere, poi, perché le varie eminenze mandarine della Ue a Bruxelles, prendano atto dell’evidenza? Rivedano, sospendano Maastricht. Considerando che il salvataggio di una banca tedesca da sola, da parte dello Stato, farebbe saltare i deficit. Il vantaggio di una crisi grave è che in stato di eccezione, il gioco diventa scoperto, chiaro a tutti: si vede chi comanda davvero. E ora che ce lo dimostrino.