NESSUNA PERESTROJKA di G.P.

 

Mikhail Gorbaciov, in un lungo intervento pubblicato ieri sulla Stampa, è tornato a fare l’apologia della Perestrojka perorando la necessità di un recupero e di una proiezione di quella esperienza sull’attuale fase storica, al fine di promuovere un cambiamento democratico nella Russia contemporanea.
L’ex leader sovietico si è guardato bene dal dire che il tentativo di innovare il Sistema Sovietico, già 25 anni fa, fallì miseramente accelerando il processo di disgregazione dell’URSS, con la conseguenza che il Paese fu consegnato, quasi senza colpo ferire, nelle mani dell’Occidente  e degli Stati Uniti in particolare. Questo perché, come ha giustamente sostenuto il filosofo Costanzo Preve, la Perestrojka non era animata dalla volontà di operare una necessaria transizione epocale, da un sistema economico e politico bloccato e ormai giunto ad una fase irreversibile di stagnazione ad altro ordine progressivo (libero dalle schermature dottrinali sulla dittatura proletaria e sull’egualitarismo comunista) che si proponesse come scopo quello di rimettere in moto le società dell’est per corazzarle di resistenza alla pressioni egemoniche esterne e per sviluppare nuovamente il benessere generale.
Quel che la starlette di Luois Vitton e della pizza Hut voleva garantire era piuttosto una “controrivoluzione passiva dall'alto con l'appoggio ideologico decisivo, ma temporaneo, della classe intellettuale intenzionata a diventare un segmento della global middle class mondiale, con un ruolo decisivo da parte del ceto politico-amministrativo costituito dai dirigenti, dai tecnocrati e dai tecnici delle industrie statali, già largamente autonomizzatesi dal piano attraverso l'economia informale parallela e la stessa gestione popolare locale. Questa controrivoluzione non ha ristabilito il modo di produzione capitalistico in senso marxiano, da cui l'URSS non era comunque mai uscita, ma ha ristabilito una società capitalistica in senso weberiano prima inesistente, data la decisività antieconomica dell'apparato politico (il famoso "sistema amministrativo di comando"). Il doppioapparato terminologico spesso usato, marxiano e weberiano, è un fattore di confusione inesauribile. Io manterrei il termine di controrivoluzione, pur impreciso, non certo perché sia stato interrotto un processo di transizione al comunismo, che non c'era e su quelle basi non ci sarebbe mai stato, ma semplicemente per gli effetti geopolitici mondiali di questo processo, che hanno consegnato alla superpotenza militare americana il dominio militare del mondo (guerra del Golfo del 1991, guerra di Jugoslavia del 1999, gestione unilaterale della globalizzazione di tipo superimperialistico, eccetera)”.
Pertanto, non commetteremmo fallo se dicessimo, molto più prosaicamente, che Gorbaciov si decise a liquidare l’URSS non per liberare i suoi cittadini dalle pastoie e inefficienze di un assetto politico che aveva esaurito la sua spinta ideale, economica, culturale ma, piuttosto, per dare pieno diritto di governo e di dominio, come afferma Preve, a quel ceto amministrativo tecnocratico che materialmente ne controllava i centri di riproduzione sociale. La società sovietica era a tal punto inegualitaria e stratificata, preda di contraddizioni e di conflitti tra classi diversificate (per reddito, accesso ai servizi, cultura ecc. ecc.) che non era più possibile nascondersi dietro formule di comodo come la discrepanza tra rapporti di produzione (sedicentemente ancora socialisti) e forze produttive, le quali rompendo gli argini di quei rapporti imponevano la ridefinizione dell’intera struttura del modo di produzione, pur restando ancorate all'obbiettivo della costruzione del socialismo. Non si trattava di salire un altro scalino verso la piena realizzazione del comunismo, quanto dell’esigenza di svincolarsi dalle brache di una tradizione ormai priva di spinta storica propulsiva per sostituirla con una forma di egemonia più rispondente alle necessità di tale casta chiusa. Per ottenere il completo controllo della macchina statale e di quella sociale il vecchio habitus socialista doveva essere dissolto; la classe tecnocratica e oligarchica al potere, legata a doppio filo alle classi dominanti occidentali, reclamava il diritto di godere pienamente dei diritti che si era conquistata sul campo. Il capitalismo selvaggio e di rapina era per l’appunto l'habitus più conforme a quelle istanze, il solo che una casta dirigente dipendente dall’estero per i suoi appannaggi potesse desiderare per controllare capillarmente tutta la società.
Questo dunque lo scenario desolante che Gorbaciov lascia al suo popolo. Possono ancora i russi prendere lezioni di libertà e di democrazia da tali traditori? No, non possono e non devono. Oggi Gorbaciov, dall’alto dei suoi riconoscimenti internazionali, reclama modernizzazione, libertà civili, sviluppo economico. Quel che in realtà vuole è tornare indietro ai tempi bui in cui in Russia a dettare legge erano le multinazionali americane per conto del governo americano, ai giorni in cui le risorse del paese erano gestite dall’Occidente e il popolo versava nella miseria più nera, all’epoca in cui la Russia era solo un'altra entità territoriale senza sovranità assoggettata all’impero Usa. E difatti, l’immeritato premio nobel, accusa Putin di basarsi su un’economia primitiva, ingabbiata nello sfruttamento delle risorse energetiche, per perpetuare arbitrio e corruzione; stigmatizza il Premier per aver creato un apparato di governo ipertrofico che invade il campo della libera iniziativa privata; addita l’uomo del KGB per l’assenza di democrazia e libertà di stampa. Che a Gorbaciov piaccia o no, la rinascita russa dipende proprio dall’aver espulso dal suo corpo sociale quel germe democratico che porta in sé il codice genetico della sudditanza dall’area occidentale. Altra via d'uscita non c'era.