NON ANTIFASCISMO MA ANTIAMERICANISMO
Il passato non torna oppure torna ma diverso, per parafrasare un libro di Gianfranco La Grassa uscito nel 2009. Per questo chi parla di pericolo fascista o nazista alimenta uno spauracchio dietro al quale tenta di nascondere le sue malefatte. Si dovrebbe dire che i fascisti di oggi sono gli antifascisti, o, come disse Flaiano, che i fascisti si dividono in fascisti e antifascisti, ma anche questo è tecnicamente sbagliato. Gli antifascisti, in assenza di fascismo, sono dei manigoldi non animati da nessun alto ideale mentre i fascisti del ventennio furono seriamente convinti di poter rifare l’Italia ricorrendo alle maniere forti, in un clima di spappolamento sociale e istituzionale, causato dal fallimento dello Stato liberale. L’antifascismo sotto i nostri occhi rappresenta lo stesso spappolamento generale e, prima ancora, già all’indomani della fantomatica liberazione, che era in verità un’occupazione del Paese da parte americana, ha significato il tradimento dei valori della resistenza. La liberazione, infatti, non c’entra niente con l’antifascismo. Sono stati gli americani e i filo-statunitensi nostrani a creare questa mistica liberatoria per coprire l’ennesima discesa straniera sul suolo nazionale. Il fascismo era fatto da italiani e l’antifascismo da altri italiani che combattevano per il potere. Semmai, ci si libera dai conquistatori esterni non dai connazionali. Quella tra fascisti e antifascisti fu piuttosto guerra civile le cui sorti vennero decise da un’ingerenza straniera. La guerra ha, alla fine, favorito i partigiani ma quest’ultimi non volevano liberare l’Italia, volevano conquistarla al comunismo essendo per il 90% comunisti. A nessuno di questi interessava una lotta di liberazione per il ritorno della democrazia ma si voleva la rivoluzione in stile bolscevico per fare come in Russia. Le br, per esempio, all’atto di fondazione, si collegarono proprio al mito della resistenza tradita ed imbracciarono le armi per completare l’opera lasciata incompiuta dai predecessori. Invece, per decenni e decenni, ci hanno raccontato fandonie. La battaglia tra due fazioni, ciascuna con le proprie ragioni e irragionevolezze, è diventata la lotta tra il bene ed il male, con i vincitori santificati e i perdenti mostrificati. Gli americani, che avevano trionfato su tutto e su tutti, si elessero addirittura popolo del bene assoluto e forti di questa investitura biblica giudicarono i cattivi, senza possibilità di appello. Norimberga docet. Nazisti e fascisti erano i malvagi che avevano ucciso e devastato, come mai accaduto in altre epoche storiche. Poi è toccato pure ai sovietici finire nel girone infernale, anche se questi avevano sacrificato più di 20 milioni di persone per avere ragione delle potenze dell’Asse, di essere demonizzati e ricacciati tra gli abietti. Il vero olocausto, invece, fu proprio quello sovietico, poi vengono gli ebrei, ma sempre quelli russi che furono (insieme ai polacchi) i più colpiti dalla furia della svastica.
Tuttavia, il regno del bene per autopromozione, non si è comportato con maggiore pietà degli altri contendenti ed ha commesso crimini e stragi al pari di nazisti e fascisti. Anzi, sospetto anche qualcosa di più, visto l’accecamento assassino di alcuni episodi venuti a galla, in cui l’utilità dell’atto di guerra per gli americani (e i loro alleati inglesi) risultò certamente secondario rispetto allo spirito di vendetta e di annichilimento dell’avversario. Dai bombardamenti a tappeto su una Germania già sconfitta, alle atomiche sganciate sulle città giapponesi. Punizioni esemplari e prove di muscolari per fare capire al mondo chi comandasse. Anche sui cosiddetti “universi concentrazionari” gli yankees non furono secondi a nessuno, tanto che Hitler ammise di essersi ispirato ai campi di prigionia in cui gli statunitensi rinchiudevano gli asiatici per costruire i suoi. Del resto, prima che il conflitto prendesse una brutta piega, il Führer era stimatissimo oltre atlantico. Riceveva capitali e tecnologie dalle imprese Usa e persino quando i due Stati entrarono in guerra gli scambi non si fermarono. Pecunia non olet. Se Hitler fosse riuscito nell’impresa di conquistare Mosca sarebbero stati in molti ad applaudirlo tra i sinceri democratici che temevano il bolscevismo più dei fascismi. In seguito si sarebbero accordati anche perché con una Germania dominante in Europa gli americani non sarebbero mai sbarcati sulle nostre coste. Il fronte orientale rovinò i tedeschi che, dopo Pearl Harbor, con il grosso delle forze impiegate a combattere il comunismo, dichiararono guerra agli Usa, forse per ottenere aiuto dai giapponesi contro la Russia. Errore fatale perché i nipponici non intervennero. Così i fronti si duplicarono e le energie si dispersero. Dire che gli americani e gli inglesi spinsero Hitler nella trappola slava forse è troppo ma pur sempre una trappola si rilevò quell’avventura, assecondata sotto traccia da Washington e Londra.
Dunque, riportare in auge le vecchie paure su regimi sconfitti non è di alcuna intelligenza. Come non lo è rinfocolare il pericolo rosso dopo l’implosione dell’Urss. Piuttosto, il timore è che scacciando i fantasmi delle epoche passate si vedano meglio i protagonisti delle dominazioni presenti. Ecco dove sta il problema per gli urlatori di professione ingaggiati dalla Statua delle libertà. I nazisti hanno perso ma gli americani restano.