Non c’è più niente di normale da quando l’anormale è diventato la norma, di O. M. SCHENA

Non c’è più niente di normale da quando l’anormale è diventato la norma, di O. M. SCHENA

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Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, in occasione del 25° anniversario della morte di Bettino Craxi, ha rilasciato la seguente dichiarazione:

«Bettino Craxi è stata una personalità rilevante degli ultimi decenni del Novecento italiano. Parlamentare italiano ed europeo, Segretario del Partito Socialista Italiano per oltre un quindicennio, Presidente del Consiglio dei Ministri, ha impresso un segno negli indirizzi del Paese in una stagione caratterizzata da grandi trasformazioni sociali e da profondi mutamenti negli equilibri globali».

«Interprete autorevole della nostra politica estera europea, atlantica, mediterranea sostenitrice dello sviluppo dei Paesi più svantaggiati, aperta al multilateralismo, lungo queste direttrici ha affrontato passaggi difficili, rafforzando identità e valore della posizione italiana. Un prestigio che poi gli venne personalmente riconosciuto con incarichi di rilievo alle Nazioni Unite».

«Le politiche e le riforme di cui si fece interprete sul piano interno determinarono cambiamenti che incisero sulla finanza pubblica, sulla competitività del Paese, sugli equilibri e le prospettive di governo. Una spiccata determinazione caratterizzò le sue battaglie politiche, sia nel confronto tra partiti, sia in campo sociale e sindacale, catalizzando sentimenti contrastanti nel Paese».(…)

«La crisi che investì il sistema politico, minando la sua credibilità, chiuse con indagini e processi una stagione, provocando un ricambio radicale nella rappresentanza. Vicende giudiziarie che caratterizzarono quel burrascoso passaggio della vita della Repubblica.

«Nel venticinquesimo anniversario della scomparsa del leader socialista, desidero esprimere sentimenti di vicinanza ai familiari e a quanti con lui hanno condiviso impegno politico e personale amicizia».

https://www.quirinale.it/elementi/125957-19/01/2025

Non v’è dubbio alcuno che Bettino Craxi abbia lasciato un “segno” nel novecento della politica italiana. Ma potrebbe anche trattarsi, soprattutto, d’un “segno” secondo la debordante “signorilità” della sua difesa in parlamento col suo famoso: «Così fan tutti», del suo «…Tutti sanno che buona parte del finanziamento politico è irregolare o illegale.(…) ».

Insomma, Craxi avrebbe provato a salvarsi con una elegantissima chiamata in correità,  a torto o a ragione, oggi non è facile venirne a capo. In fondo la classe dirigente italiana era fatta da gente mandrogna, come un po’ dovunque, a volte bigotta e insieme puttaniera. Craxi avrebbe anche potuto affermare la sua innocenza proprio nascondendola ben bene dentro un istupidimento di massa ben organizzato? Il P.d.R. pensa che bisognerebbe “amare o odiare” Craxi?

E dopo trent’anni, grazie a Giovanni Paparcuri il popolo può infine sapere da un foglietto dimenticato che: “Cinà (il medico di Riina) sarebbe in buoni rapporti con Berlusconi. Che Berlusconi dà 20 milioni a Grado e anche a Vittorio Mangano”. Sono quelle le parole tracciate con la calligrafia di Giovanni Falcone ed emerse all’interno di quello che è stato l’ufficio del giudice, nel palazzo di giustizia di Palermo. La verità, talvolta, magari arriva fuori tempo massimo, ma troppo spesso arriva… a babbo morto!

Ma quello su Craxi e soci fu un golpe giudiziario o finanziario? Chi c’era più in giro da odiare? C’era forse l’allora P.d.R. Oscar luigi Scalfaro? Si sarebbe potuto odiare l’allora governatore della Banca d’Italia, Carlo Azelio Ciampi? E Andreatta era forse da amare e ammirare?

Nel ventennale della morte di Bettino Craxi, il regista Gianni Amelio gli ha dedicato un film, chiamando Pierfrancesco Favino per il ruolo di Craxi.

Ci si potrebbe chiedere, comunque, quale sarebbe, invece, il “segno” impresso dal P.d.R. Mattarella in occasione del 25° anniversario della morte di Bettino Craxi. A prima vista parrebbe trattarsi di un encomio semi solenne, forse semiserio, forse addirittura semi frivolo. Chissà se dovremmo ricordare Craxi per il suo NO agli euromissili a Comiso o per il suo Così fan tutti”?      Ma la nostra ignoranza fantastica è anche capace di trascendenze traboccanti di poesia.  E se non siamo capaci di spiegarci l’inferno e il paradiso allora vorrà dire che chiederemo aiuto all’antropologo e critico letterario René Girard, autore del quale il 21 marzo scorso, presso la biblioteca di Fasano, ha detto un gran bene il magistrato Gherardo Colombo il quale, davanti ad un variegato pubblico, compresi gli studenti a caccia di crediti, ha presentato a Fasano il suo ultimo libro “Anticostituzione”, citando il Girard,  come fosse un nome di dominio pubblico, ovvero un nome arcinoto, in quanto sarebbe da tutti risaputo il più che robusto “cordone ombelicale” che tiene insieme “l’Anticostituzione” di Gherardo Colombo e il “Violenza e religione” di René Girard di cui, qui di seguito, si trascrive qualcosa:

Da p. 63-René GirardViolenza e religione” Raffaello Cortina Editore 2015

: (…) “I Vangeli sono testi particolari, perché mostrano per la prima volta non una vittima innocente, ma un soggetto che si distacca dalla folla e capisce che si sta ingannando. Nei Vangeli il protagonista non è il narratore, ma potrebbe esserlo, perché il punto di vista è sempre dalla parte della vittima e quindi è una perfetta rivelazione antimitica. Per alcuni, i Vangeli vanno considerati alla pari dei salmi. Ma Cristo che si definisce figlio di Dio, accetta la morte perché gli uomini capiscano quello che stanno facendo. Non troviamo niente di simile né nella Bibbia né altrove. Solo i Vangeli ci mostrano che il Nuovo Testamento è un testo speciale, che va ben oltre la storia di Giuseppe, per quanto straordinaria. Giuseppe viene ripetutamente usato come capro espiatorio e ogni volta dimostra la sua innocenza, ma non si vendica mai dei fratelli. La “decostruzione” del meccanismo del capro espiatorio è la quintessenza dell’intera Bibbia, dalla Genesi ai Vangeli. Se prendiamo la storia di Giuseppe e i Vangeli come punto e contrappunto, si ha la percezione della Bibbia nella sua interezza, verità, bellezza. E il fatto che questa verità, presente nel Vecchio Testamento, non giunga mai ad esprimersi completamente significa, per me, che Gesù deve essere la rivelazione perfetta. Solo il figlio di Dio può parlare così. Chi potrebbe parlare così, chi potrebbe incarnare la verità se solo la crocifissione può rivelare ciò di cui noi esseri umani siamo capaci? Ma occorre anche mostrare la necessità della crocifissione in un altro senso. L’incipit dei Vangeli non è un inizio qualsiasi, bensì l’offerta del Regno di Dio: dobbiamo scegliere tra un mondo di violenza che ci porterà alla distruzione finale e la pace che Gesù definisce “Regno di Dio”: dobbiamo scegliere tra un mondo di violenza che ci porterà alla distruzione finale e la pace che Gesù definisce “Regno di Dio”. Solo Gesù accetta l’offerta che noi rifiutiamo, sceglie l’alternativa che cancella la violenza, e alla fine viene ucciso. Gesù non è solo il figlio di Dio, ma incarna anche l’intero processo: è l’unico che può farlo, perché è figlio di Dio. E, allo stesso tempo per l’umanità la sua morte è indispensabile perché Dio vuole salvare il mondo e deve esserci qualcuno che merita di ottenere la salvezza per tutti noi. (…)

(p.65)R.G.: “Non sembra, questa, una visione medievale del cristianesimo? Sacrificare i sacrificatori. Si è resa necessaria un’evoluzione, perché molto di ciò di cui giustamente si accusa il cristianesimo medievale è una distorsione del cristianesimo. È il mondo cristiano che lentamente fa propria la rivelazione o la rifiuta, e se c’è stato un progresso nell’assorbimento di questa rivelazione. Ma questa reazione è storicamente comprensibile. Messo a confronto con questo testo, il cristianesimo rivive tutta l’esperienza religiosa dell’umanità e idealmente dovrebbe essere capace di rinunciare subito alla vendetta, come Pietro si è convertito dopo il rinnegamento, o come Paolo. Ma il cristianesimo è fatto dagli uomini, e da migliaia di anni le cose vanno avanti così. Probabilmente ci stiamo muovendo verso un punto molto pericoloso, perché siamo privi della protezione sacrificale e la rivelazione si avvicina. La Bibbia non promette una conclusione positiva, ma se sia positiva o negativa qui non è importante, perché è in gioco il destino della stessa umanità.”

(da p.69) “che cosa possiamo dire sul mondo contemporaneo? Prendiamo per esempio, il 1988, l’anno precedente la seconda rivoluzione russa. Se qualcuno nel 1988 avesse detto che vent’anni più tardi il problema del comunismo sarebbe scomparso e che il grande problema dell’Occidente ora sarebbe stato l’Islam, nessuno gli avrebbe creduto. Questo mostra il radicalizzarsi della questione religiosa, come accade oggi. Tuttavia non possiamo dire con certezza quale sia la relazione tra comunismo e Islam. È una questione politica o religiosa? Abbiamo già superato la fase in cui si affermava che la religione fosse solo una sciocchezza di cui non valeva nemmeno la pena parlare. Sappiamo che la questione religiosa è di essenziale importanza, ma non penso che siamo in grado di definirla. Sappiamo che qualcosa si sta evolvendo, che c’è un ritorno della religione e contemporaneamente una sua politicizzazione, ma non quale delle due sia più importante. È la politica che oggi sta distruggendo la religione? Oppure dobbiamo riformulare la questione e dire che la religione è, in fondo, più importante della politica? Siamo comunque a un punto di svolta, e io penso che la religione sia davvero più importante (…).

Insomma dovrebbe essere tutto chiarissimo, parola di René Girard, che se la canta e se la suona. Più chiaro di così non si può, e poi, che ciascuno pensi pure quel che vuole! A chi legge il piacere di scoprire quale sia la differenza, se mai ci fosse, tra il Girard e il P.d.R. Mattarella.

Le parole di René Girard sul 1988 e la seconda rivoluzione russa mi lasciano estasiato. Purtroppo il Girard non spiega che cosa intenda per seconda rivoluzione russa e resteremo tutti quanti ignoranti, perché … il Girard ha già lasciato questo mondo. E allora bisognerà accogliere il significato letterale della sua espressione.  Michail Gorbacev, dunque, almeno secondo R. Girard, sarebbe stato l’artefice della seconda rivoluzione russa, ovvero l’artefice della caduta del muro di Berlino! Ed allora salutiamo cordialmente l’antropologo, nonché novello “storico” R. Girard! e non potendo regalargli “L’Opera del tradimento” di Mario Brelich ed. Adelphi lo omaggiamo con le seguenti righe:

p.126Gesù, che lo eseguì, non fu responsabile del piano escogitato dal Padre, non essendone al corrente. Chi veramente, anche tra i più feroci assertori dell’identità sostanziale del Figlio e del Padre, oserebbe affermare che Gesù, incarnandosi, sapesse di essere mandato per salvare più il Padre che l’umanità? Gesù che secondo tutte le testimonianze, credeva Jahvè, infinito, eterno e onnipotente, non avrebbe mai lontanamente supposto che dalla riuscita della sua missione dipendesse la sopravvivenza di Lui. Egli lo credeva tanto immenso che non Gli avrebbe mai attribuito intendimenti egoistici e perciò credeva fermamente che Jahvè lo avesse mandato sulla terra in un momento di traboccante misericordia, e per la salvezza del popolo eletto”.

René Girard, però, stramerita l’omaggio anche di Luciano Parinetto “(I lumi e le streghe – Colibrì 1998): “Per esempio il giudeo messo in scena da Celso nel suo discorso vero trova difficile riconoscere in Gesù, da lui ritenuto un gòes, nientemeno che il figlio di dio. Se si tien conto che il diavolo delle tentazioni trasporta Gesù in volo (né più né meno delle future streghe, ricorderà Bodin nella Demonomania!), che Satana imita i suoi prodigi (o meglio le sue “pratiche impure”), che la Maddalena e qualche altro stregato come lei sono i soli testimoni della cosiddetta resurrezione, che comunque Gesù non è che un ciurmadore (come il gòes Eros del Simposio platonico), che è simile agli invasati predicatori ambulanti che, a loro volta, si proclamano figli di dio, è chiaro che questo cumulo di accuse polemiche di Celso può cooperare alla traduzione della figura del gòes Gesù in quella di Gesù stregone.

Ed infine un meritato “aiutino” per i lettori, se mai ci fossero:

qui si vuole sostenere, addirittura che, per tutto lo spazio della finzione presidenziale dovremmo credere che sia vero ciò che leggiamo, ovvero sarebbe tutto vero il contenuto del messaggio presidenziale sopra riportato quasi integralmente, pur sapendo che non sarebbe vera una sola parola? Bisognerebbe fare un piccolo sforzo e così vero e falso non si escluderebbero ma starebbero insieme, come nei giochi che facevamo da bambini, quando un ipotetico zio o un nonno, interpretava per noi il lupo senza smettere per questo di essere lo zio o il nonno: è questo il principio alla base di qualunque finzione artistica… e il P.d.R. Mattarella è di certo un grande artista! Insomma varrebbe quel patto implicito che ogni lettore stipula con un testo letterario, patto che Coleridge, con una formula divenuta ormai famosa ha definito “sospensione volontaria dell’incredulità”.

Insomma, in quel tempo il campo politico, in Italia, era zeppo di pregiudizi sui politici che venivano stesi sul lettino ciascuno con la propria biografia scandagliata fino alla deriva nel pettegolezzo.

Freud (nel suo “Dostoevskij e l’uccisione del padre”) ricorda la prova drammatica vissuta da Dostoevskij, nel 1849 quando, condannato a morte, si vide sospendere la sentenza solo all’ultimo istante e fu poi inviato in Siberia ai lavori forzati. È  il caso del romanzo “I Fratelli Karamazov”, spiegato alla luce dell’odio di Dostoevskij per il proprio padre).

Quel che rende inaccettabile l’odio per il padre è l’angoscia nei confronti del padre; la castrazione è terribile, sia come punizione che come prezzo dell’amore.

4 passi tra le pagine di Günther Anders –L’odio è antiquato (pag. 9-14 Bollati-Boringhieri):

L’ho imparato solo a prezzo d’immane fatica. Circa sessant’anni fa. Leggendo il Mein Kampf di Hitler. Impararlo era stato necessario.

Giacché chi non odia l’infame, non solo dà prova di viltà, ma si rende anche sospetto di essere complice dell’infame.

E, con stupore, un mattino scoprirà di essere davvero complice dell’infame, di passare per suo amico e di non poter più tornare indietro, e in questo modo anche lui si rende odioso e sarà giustamente odiato.

Gli antisemiti odiano chi li priva dell’odio, vale a dire del piacere dell’odio. Essi odiano dunque due volte. Più vero del noto (principio deduttivo) cartesiano è quello volgare condiviso pressoché universalmente: “io odio, dunque sono.” O, in modo più esatto: “Dunque io sono io.” O, infine: “Dunque io sono qualcuno.”

L’odio, non è cioè la forma primigenia (preteoretica) della negazione, non solo il pre-piacere (sadico) per l’eliminazione dell’altro, ma è insieme anche l’autoaffermazione e l’autocostituzione attraverso la negazione e l’eliminazione dell’altro. Quantomeno altrettanto corretta della proposizione fichtiana “l’io pone il non io” è la proposizione” “l’io pone “sé stesso” attraverso la negazione del non io”. Ciò è già vero in senso fisiologico. Giacché non esiste alcun essere animale che, per sopravvivere, non sia costretto dalla sua urgenza a utilizzare altri esseri come preda e come cibo”. Formulato in modo meno ferino e cannibalesco attraverso l’odio degli altri – del nemico, del rivale – e attraverso la loro concreta eliminazione, si conferma il proprio esserci. Dopo l’atto di annientamento il principio dell’odio: “egli non deve essere affinché io sia” culmina quindi nella proposizione: “Egli non è più, dunque son io, e propriamente come unico rimasto.”

Questa è la terza argomentazione “cartesiana”, la terza “deduzione”: non appena ottenuto il trionfo espresso da questo enunciato, l’odio si placa per quietarsi del tutto nel sonno dei giusti.

Quanto più a lungo si può protrarre l’azione dello sterminio e quanto più spesso essa si può ripetere tanto più si dilata anche il piacere dell’odio e, con esso, il piacere dell’essere se stesso. Questa la genesi della tortura sulla quale chi odia crede di poter accampare un diritto.

Niente è più fastidioso per chi odia, niente gli sembra più disdicevole della vittoria lampo. Egli la percepisce come altrettanto frustrante e deplorevole della ejaculatio prematura che lo defrauda del vero godimento.

Modello del torturatore è piuttosto “il gioco del gatto e del topo”, giacché in esso egli non solo gode del “topo” come cibo ma in più trae ulteriore piacere dal suo “braccare il topo”, che essendo bramosia, è per metà amore e per metà odio e, differendolo, amplifica il desiderio, e giacché il torturatore può anche godere quasi come una sorta di “hors d’ouvre”, dello squittio terrorizzato e del supplizio dell’animale tormentato.

Alla fine dunque, vi è non solo il divertimento per la semplice eliminazione dell’animale martoriato, ma appunto la sua ingestione in senso letterale – dunque il “divora – parola che rimanda non a caso alla “voracità” e al “pastone animale”, giacché proprio attraverso l’atto dell’ingurgitare vittima e assassino diventano un unicum. Nella voracità ferina dello sbranare e dell’ingollare odio e piacere diventano anch’essi un unicum. L’affermazione dell’omicida sessuale sadiano che “si sarebbe mangiato di baci la sua vittimanon era certo priva di fondamento.

In altre parole chi odia divora l’odiato e trasforma il suo corpo nel proprio corpo. La deduzione conclusiva che l’assassino pronuncia umettandosi le labbra (pronuncerebbe, qualora nella satisfactio post fosse in vena di parlare) suonerebbe dunque: “Egli è diventato me – dunque io sono (o è) solo io”. In questo consiste, come ho accennato prima l’epilogo dell’odio.

Che odio e piacere appartengano allo stesso genere ha dunque la sua genesi nella situazione venatoria in cui il cacciatore, non importa se animale o uomo, insegue la preda perché la “vorrebbe avere”, dunque la brama. Non è un caso che i guardaboschi erranti nelle foreste con i fucili carchi si considerino senza eccezione amici degli animali, e ciò finanche quando celebrano la vigilia festiva con sulle spalle il capriolo stillante sangue. Non solo nel particolare caso sadiano, inseguimento, annientamento, incorporazione sono una sindrome.

C’è forse in tutto questo qualche cosa di anormale? Non c’è più niente di normale da quando l’anormale è diventato la norma, ovvero, tanto per fare un solo nome, da quando un Carlo Nordio è diventato ministro della giustizia!

Il modello della negazione freudiana è un modello formale, che può riempirsi per conto suo di contenuti svariati; e ha le caratteristiche del linguaggio dell’inconscio in quanto è una formazione linguistica di compromesso, che permette di dire nello stesso tempo sì e no, non importa a che cosa.

Sogno, lapsus e sintomo non si esprimono se non in un numero ristretto di casi attraverso significati verbali. Nel sogno sono per lo più immagini, nel lapsus e nel sintomo gesti e comportamenti, che valgono come significanti non verbali e fanno valere quel principio in rapporto ai loro significati.

L’opera letteraria è un atto creativo senza legami con la vita di chi lo scrive: qualche corrispondenza potrebbe anche esserci, ma una perfetta equivalenza è davvero difficile. Biografia e psicanalisi si incrociano spesso. Freud si cimenterà nell’analisi di capolavori mettendo in secondo piano il testo rispetto al vissuto dell’autore (è il caso del romanzo I Fratelli Karamazov, spiegato alla luce dell’odio di Dostoevskij per il proprio padre).

Un pregiudizio è, invece, quello che ci porta a trattare i personaggi non come costruzioni fittizie ma come persone reali e dotate di un inconscio, recuperando per lo più opposizioni elementari, meccaniche e inalterabili che di fatto nulla aggiungono all’interpretazione. «La decifrazione perpetua dei pochi simboli fissi che entrano in quelle opposizioni, fallo e castrazione, padre e madre, stato prenatale e nascita, vita e morte, alimenti ed escrementi» si rivela infatti un esercizio tautologico, peraltro incoerente rispetto alle analisi cliniche dello stesso Freud, che considerava i simboli sempre e comunque in rapporto a un paziente concreto, e necessariamente ritagliati dal linguaggio. L’applicazione aprioristica di contenuti già definiti ha invece prodotto, proprio come il biografismo ingenuo, risultati esterni al funzionamento del testo: è il caso della madeleine proustiana, divenuta per molti oggetto feticcio dei genitali femminili senza che l’opera autorizzi direttamente questa sovrapposizione.

(a meno di non postulare, appunto, un inconscio del personaggio-narratore).

La trasformazione dell’odio e della rabbia in invidia (negazione) e bramosia (identificazione) è il compito difficile che la società costituita persegue, specializzando tecnici, psicologi, educatori, insegnanti e psicoanalisti. Si pone, dunque, il problema di come arginare un vampirismo divenuto ormai insaziabile.

ORONZO MARIO SCHENA