Non c'è trippa per gatti. Fine del “movimento studentesco” di Gennaro Scala
Spero che il raffinato ed elegante detto romanesco usato sia adeguato a trasmettere il concetto che desidero far intendere alla “parte migliore del nostro paese”, quella “colta” che ha letto “Il piccolo principe” e se ne fa scudo in piazza. Ho letto in un sito che questo modo di dire nacque quando un sindaco romano, a causa della crisi finanziaria, decise che il comune non si sarebbe più occupato di fornire la trippa ai gatti romani. Illuminante metafora! Non c'è più trippa per gatti, e il potere, anche quello che ha istigato alla rivolta, non verrà più incontro alle richieste dei settori “acculturati” o aspiranti o presunti tali. Per questo gli studenti che sono scesi in piazza hanno svolto la funzione di pura manovalanza e di utili idioti.
Sono convinto che la giornata di ieri segna l'evento conclusivo del movimento studentesco cominciato oltre 40 anni fa in Italia rimasto sempre latente (“Pantera”, e in gran parte anche il “movimento no-global”) a causa della modernizzazione incompleta del paese, in quanto ridotto a pura manovalanza dei poteri forti di questo paese, rappresentati da giornali come Repubblica e Corriere, i quali hanno apertamente incitato alla “rivolta”. Il piano sembrerebbe essere stato così pensato: mentre Berlusconi veniva sfiduciato, dalla piazza le “masse” invadevano il parlamento e sfiduciavano “dal basso” il “dittatore” (ma stranamente mentre questo “dittatore” sarebbe più incline alle elezioni, mentre la “parte democratica e colta” aspira ai “ribaltoni”). In realtà, poi hanno partecipato soprattutto gli studenti, in prevalenza quelli delle medie, perché i lavoratori che dovevano essere intruppati dalla Fiom hanno disertato (forse meno stupidi perché meno “colti”). Sui motivi dell'opposizione dei “poteri forti” a Berlusconi e sui motivi per cui sia da preferire Berlusconi, pur essendo il sottoscritto, e credo la maggior parte dei redattori del blog, da lui culturalmente distante, se non agli antipodi, si è scritto più che a sufficienza.
Il movimento studentesco fu il risultato della grande espansione della produttività dei sistemi economici occidentali più o meno organizzati sul modello di quel capitalismo manageriale a guida statunitense, il quale è un sistema economico qualitativamente diverso dal capitalismo borghese classico ottocentesco studiato da Marx. Evento mai stato registrato dal cosiddetto “marxismo”.
L'aumento della capacità produttiva del lavoro è sempre un fenomeno benefico, la maggior ricchezza sociale permise anche un allentamento di quelle rigide strutture sociali, riguardanti soprattutto la costituzione della famiglia, che avevano provocato l'infelicità di tante generazioni. Una maggior libertà sessuale è stata una classica rivendicazione dei movimenti giovanili, come i Wandervögel, fin dal secolo scorso. Persino Balzac sosteneva la necessità di concedere questa libertà. La libertà sessuale di conoscersi, unirsi e separarsi liberamente, la libertà femminile di decidere le modalità della propria maternità, non sono affatto questioni secondarie, ma primarie per la felicità individuale. Vi furono le condizioni e sorsero allora le rivendicazioni sulle libertà civili, e queste furono le uniche autentiche conquiste del '68.
L'aumento della produttività del lavoro migliorò sostanzialmente le condizioni di vita delle classi inferiori e permise per la prima volta nella storia che un vasto strato di giovani provenienti da queste classi potesse accedere all'istruzione superiore. Nei paesi che hanno sempre attribuito un valore strategico alla ricerca e all'innovazione come gli Usa o in Germania tale richiesta di mobilità fu assorbita dai settori legati alla ricerca e nell'ambito della produzione, in Italia, dove la modernizzazione del dopoguerra è stata incompiuta e monca, si decise, piuttosto che proseguire con una modernizzazione più completa e che coinvolgesse anche il sud del paese, di smorzare le proteste dei giovani gonfiando le assunzioni nella pubblica amministrazione con dei lavori semiparassitari.
Negli anni settanta iniziò una deriva del pensiero e della prassi politica della sinistra che consiste nella contrapposizione e divaricazione tra mondo reale e ideologia, a cui fa da contraltare l'opportunismo più piatto e senza idee. L'ideologia diventa sempre più distante dalla realtà. Questa deriva ha la sua radice sociale nell'autoreferenzialità di quelli che diventeranno i “ceti medi riflessivi” nel loro distaccarsi dalle classi inferiori da cui provengono. Questo è il problema principale che ha causato la deriva e lo sfascio di questa sinistra. Il “marxismo” diventa un puro strumento ideologico con cui testimoniare la volontà “rivoluzionaria” , cioè il desiderio di creare scompiglio sociale al fine di indurre l'allora classe politica dominante a creare dei posti in alto nella pubblica amministrazione (a questi anni risali l'espansione abnorme della spesa pubblica), a farsi spazio nell'ambito del giornalismo, nel campo dello spettacolo e nel campo della politica, quest'ultimo un altro consistente settore dove si sono inseriti i “ceti medi riflessivi”.
Altro che miti del '68, fu una generazione disastrosa e fallimentare. Le importanti conquiste nel campo dei diritti civili, portato dello sviluppo capitalistico (in altri paesi erano già state ottenute prima del '68) non bastano a compensare i disastri compiuti. Fallimentare perché non seppe e non volle insistere per una maggiore modernizzazione dell'Italia. Una generazione che oscillò dal completo opportunismo, i tanti liderini che oggi ci ritroviamo nei media, oppure all'opposto nell'arrivare credere alle proprie fantasie rivoluzionarie fino a diventare degli assassini criminali. Motivo per cui oggi ci troviamo ad aver “saltato una generazione” e dover ricominciare da capo.
Gli eredi di questa generazione sono la “sinistra” oggi. Un percorso completamente fallimentare da criticare e superare radicalmente.
Non c'è più spazio per i “movimenti studenteschi” perché non c'è più spazio per i “ceti medi riflessivi”. Con l'addentrarsi nella fase multipolare si accentua la competizione fra i sistemi economici e quindi un vasto settore “pubblico” semiparassitario diventa una palla al piede nel caso in cui ci voglia tenere a galla nella competizione globale, semplicemente impossibile nel caso si vada in giù verso i paesi poveri. Quindi, non c'è più trippa per gatti.
Le classi superiori hanno sempre giustificato i loro privilegi con le importanti funzioni che svolgerebbero per la società intera, non ultima la funzione culturale. Pretesa che ha degli indubbi fondamenti reali. Engels ad es. scrisse che senza la schiavitù in Grecia non si sarebbero sviluppate le arti, la filosofia e la scienza antiche. Difatti scienza, filosofia e arte sono sempre stato appannaggio delle classi superiori, soltanto con la “società di massa” questa condizione millenaria entra in crisi. (Un fatto che sarebbe da analizzare approfonditamente, ma che ora ci porterebbe troppo oltre).
Gli studenti che aspirano a diventare “ceto medio riflessivo” quando si atteggiano a settori “acculturati” scimmiottano le classi superiori. La loro pretesa cultura sarebbe il “titolo” che gli consente “il concorso al ministero che segna la maturità”, secondo le derisorie parole della canzone dei nichilistici Cccp che smacheravano e canzonavano le vere aspirazioni dei “guerriglieri”. Certo, ognuno deve avere la possibilità di svolgere un lavoro dignitoso con una paga dignitosa, ma ognuno deve fare il proprio dovere, altrimenti questo diritto diventa un privilegio. Senza la possibilità di perdere il lavoro non è possibile far rispettare questo obbligo.
O si lancia un nuovo piano di modernizzazione del paese, al fine di reggere ai marosi che sempre più si addensano all'orizzonte, e questo vuol dire modernizzare anche l'Università, in quanto la ricerca è un importante fattore strategico, oppure per dirla in termini perifrastici saranno “volatili per diabetici”, per citare la battuta di un raffinato comico che ha sicuramente contribuito alla formazione culturale della “parte migliore del nostro paese”, perché tanto colta.
Non può esistere “università di massa” in cui a tutti viene concesso il “18 politico” e dove si fanno gli “esami collettivi” . Non può esistere un mondo dove tutti fanno i dottori, i medici, gli insegnanti … e poi magari invocano i “migranti” che dovranno fare da servi, che dovranno “fare i lavori che gli altri non vogliono fare”, motivo per cui gli vogliamo tanto bene e siamo così buoni e antirazzisti. Le società moderne necessitano di un numero consistente di laureati, ma con questo termine si deve intendere un sapere specialistico, finalizzato ad una precisa attività. In questi termini, l'Italia ha, in realtà, pochi laureati rispetto agli altri paesi “avanzati”. Ha invece troppi laureati che non hanno una specifica formazione. L'università deve essere aperta a tutti ma non può essere per tutti. L'unica “giustizia”, in termini aristotelici, che può esistere in questo ambito consiste in università fortemente meritocratica, ovvero a cui si accede e si va avanti in base alle capacità e all'impegno. Con l'“università di massa” si è soltanto svalorizzata la laurea, ormai equivalente al diploma, causando così perdita di tempo e molte frustrazioni.
D'altronde non a tutti piace studiare. Ma oggi sembra che chi non studia sia una nullità, una vergogna per la propria famiglia. Anche per la mancanza di prospettive adeguate nel mondo del lavoro, molti finiscono per portare avanti degli studi svogliatamente e senza un vero impegno, danneggiando inevitabilmente anche chi ha voglia di studiare. Per chi invece ha soltanto l'esigenza, qualunque professione svolga, di una propria formazione culturale di una migliore comprensione del mondo, della società in cui vive, della storia, della scienza ecc. dovrebbero esistere delle “università popolari” che vadano incontro a questa esigenza, ma sapendo che servono per la formazione personale e non per uno sbocco lavorativo.