NON DI SOLO ART. 18, di Giellegi, 22 marzo ‘12

Ho il timore che l’art. 18 rischi di diventare come lo spread; l’argomento attorno al quale ci si “impicca” dimenticando il resto. Nell’attuale frangente, si vorrebbe tirare un sospiro di sollievo perché lo spread è diminuito, se ne fa anzi un merito speciale a “Monti salvatore della patria”. Napolitano, di rincalzo, invita a non smetterla con l’atteggiamento “virtuoso” che ha condotto a simile risultato; un invito a non opporsi ad altre manovre che impoveriranno viepiù gli italiani per consegnare il paese ad una più pervasiva subordinazione allo straniero (Usa), ma solo per il tramite di quella sorta di “borghesia compradora”, ormai sempre più rappresentata dalla Confindustria dopo i travagli degli ultimi anni e l’agonia sempre più evidente della “concertazione” (figlia del “compromesso storico”, ormai “fuori gara” da un bel pezzo).

Ebbene, adesso si cerca di bloccare l’opposizione al Governo sull’art. 18, con pezzi di “sinistra” – la cui sopravvivenza è appesa al filo della pur minima difesa di salariati ormai bastonati da tutte le parti (anche chi, con enormi sacrifici, si è fatto la “casetta” ne vedrà delle “belle” in tempi brevi) – che minacciano una più radicale lotta (saranno conseguenti? Mah!). Intendiamoci bene: l’attacco al lavoro dipendente da parte di settori ottusamente reazionari – che non sanno più come giustificare il tradimento del proprio elettorato appoggiando Monti e cercano così di pagare prezzi non troppo salati (mi riferisco a Berlusconi, il “Pulcinella”, e ai suoi “servi”) – desta senz’altro rabbia e disprezzo. E’ del tutto ovvio che non è dalla possibilità di licenziare con maggiore libertà che dipende la salvezza dalla crisi recessiva (detta “tecnica” da farabutti recidivi). E’ necessaria ben altra strategia, dotata di autonomia e maggiore sovranità; non per evitare la crisi – che ci accompagnerà comunque a lungo – ma per meglio posizionarsi in essa sul piano dei rapporti internazionali, con precisi riflessi interni nel medio periodo.

In questo senso, proprio il disprezzo per questi settori reazionari (e ottusi e vili in termini di servitù allo straniero) deve spingerci comunque ad un appoggio, prudente e non credulone sui veri intenti, alla parte della Cgil o anche del Pd che sembrano indurirsi a tal proposito (scusate, ma non mi fido di costoro). Dobbiamo dare loro un piccolo “credito”, temporaneo e non scevro di precise critiche. Intanto, appunto, basta con l’inalberarsi su singoli punti. Bisogna capire che questo governo è il tentativo dei gruppi imprenditoriali fallimentari di attuare una svolta sedicente politica; in pratica seguendo supinamente quella degli Usa (la “strategia del pantano”) tradotta nel linguaggio della servitù “semicoloniale” (ovviamente si intenda la terminologia di altri tempi come semplice similitudine e analogia). Siamo in presenza di gruppi subdominanti, ormai esausti, che si arrabattano per legare le loro fortune a quella parte dei predominanti statunitensi rappresentatasi in Obama; è sicura la nuova vittoria di questa parte alle prossime elezioni presidenziali, ma non è affatto indubitabile il successo della sua politica nel medio periodo.

In ogni caso, è necessario condurre una dura battaglia per impedire che l’ignobile GFeID riesca nel suo intento di sgominare ogni opposizione sociale, chiarendo tuttavia che la difesa del lavoro dipendente va ben oltre quella dell’art. 18; e soprattutto non deve avvenire favorendo una rottura tra i salariati e gli autonomi. Questo Governo sta colpendo i primi non semplicemente rendendo più facili i licenziamenti, ma con misure che riducono il tenore di vita e le condizioni di lavoro (e di intrapresa) sia degli uni che degli altri. In tal modo, approfittando dell’ottusità reazionaria del centro-destra, cerca di ingraziarsi i settori medio-imprenditoriali; nel contempo scatena legioni di “agenti delle entrate” – trasportandoli a centinaia in giro per l’Italia con enormi spese di trasporto, di alloggio in alberghi, di pranzi, ecc. – in un’azione “antievasione” ridicola, fastidiosa e irritante, che recupera meno di quello che costa. Il tutto per cercare di ingraziarsi il lavoro dipendente come se questa pantomima rappresentasse veramente la giustizia fiscale, il “tutti finalmente paghiamo le tasse”. Balle, ben altre sono le evasioni (e le elusioni); e queste non vengono toccate.

E’ indispensabile che si difendano insieme tutti i “produttivi” da queste sanguisughe; stando però attenti a non favorire l’ulteriore campagna divisoria tra essi e i sedicenti “fannulloni” della sfera pubblica. Non devono essere difese situazioni di particolare impatto negativo sull’opinione della “gente”, così volatile e sensibile alle indegne campagne mediatiche degli infami gruppi “compradori” che allignano in una industria e finanza ormai incapaci di sopravvivere se non mettendosi al servizio dello straniero. Tuttavia, è indispensabile individuare il nemico principale e quali sono i suoi punti d’attacco alle condizioni di vita dell’80% della nostra popolazione. Si tratta proprio del Debito pubblico, del can can sulla finanza (che poi nemmeno viene toccata nei suoi punti strategici decisivi), di tutto ciò che serve a giustificare una strepitosa tassazione. E si è in presenza delle sole battute iniziali, delle “avanguardie” scatenate per ottenere più succulente “sbafate” ai danni di tale 80%, approfittando della crisi reale in avanzata, che tenderà a mettere i “poveri cristi” gli uni contro gli altri per la paura di un futuro sempre più grigio.

Bisogna comunque liberarsi della dipendenza dagli organismi europei, non seguire affatto le loro indicazioni. Bisogna demistificare sia l’argomento della rigidità del lavoro (e della “bellezza” del posto precario e variabile ad ogni mutar di vento), ma anche quello del debito che ci soffocherebbe. I nemici totali sono le sanguisughe e quelli che parlano di “atteggiamento virtuoso” a loro esclusivo favore, scatenandosi all’attacco delle nostre condizioni di vita e di lavoro, e strisciando di fronte a poteri antinazionali; nel mentre sguazzano e straparlano dall’alto di “montagne e colline”. Sono nemici mortali, difesi dalle Leggi da loro stessi emanate per impedirci di parlare. Si cominci intanto a rintuzzare le loro menzogne, prima fra tutte quelle del debito opprimente; in realtà vogliono impaurirci e pelarci per vivere “felici” a nostre spese e alle dipendenze altrui. Quindi, si parta pure dall’art. 18 se questo serve come prima “apertura degli occhi” di fronte alla protervia delle “montagne e colline”. Tuttavia, ben oltre si deve andare; e dubito lo si possa con burocrazie ormai malate come quelli sindacali d’ogni ordine e grado.

Si mettano comunque alla prova gli oppositori (in specie sindacali, oggi), appuriamo se cercano semplicemente di mantenere un qualche seguito tra i lavoratori dipendenti in maggiore difficoltà o se capiscono l’ormai urgente necessità di un respiro strategico più vasto. Personalmente credo che i lavoratori, tutti, debbano ricominciare a organizzarsi secondo nuovi moduli. Non sarà affatto un tragitto breve dopo i decenni di supina accettazione degli organismi, in un primo tempo apparentemente efficaci (durante il periodo bipolare, di illusioni circa la lotta tra capitale e lavoro, tra capitalismo e socialismo), oggi ormai fossilizzati. Se si vuole, intanto, superare quest’impasse, è d’obbligo passare per una congiuntura, non breve, in cui difendere l’assetto industriale più consono alla nostra sovranità; e si deve non essere supini alla UE, pur senza affannarsi ad uscire da essa. Andiamo alla ricerca degli obiettivi cruciali, altrimenti continueranno a portarci in giro su argomenti, facili per la comprensione dei superficiali critici, ma fasulli e comportanti l’esaurimento delle energie oppositrici. E’ esattamente lo scopo di questa fase transitoria di riassetto della GFeID “compradora” e dei reali “padroni” d’oltreatlantico, cui essa risponde. Non cadiamo nella trappola.

Appoggio critico a chi inizia a opporsi alla politica in atto, ma attenzione all’imbroglio e alla mistificazione. Ad esempio, si è capito che non è Monti, ma Napolitano, l’acerrimo sostenitore di questa politica, in pieno accordo con Washington? D’accordo, non possiamo dire di lui quel che vorremmo, nemmeno citare con maggiore precisione alcune fonti riguardanti la sua attività di decenni (a partire dall’ormai ben noto viaggio americano del ’78, anzi da ben prima, diciamo dal ’69). Non è comunque attaccando una persona che si raggiungerebbe il nostro scopo. Sarà invece d’uopo lavorare per una vasta ristrutturazione delle forze in campo. I nemici lo stanno facendo o almeno tentando. Pdl e Pd sono in pratica in liquidazione e si cerca il “grande pateracchio” che consenta di meglio attuare la dipendenza “compradora” dagli Usa di Obama. Anche l’opposizione a tale nefasto progetto deve quindi completamente rinnovarsi.