NON E’ TUTTO COMUNISMO QUELLO CHE ARROSSISCE

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Con Gianfranco La Grassa abbiamo fatto un video per “commemorare” i cento anni dalla nascita del Pci (http://www.conflittiestrategie.it/cento-anni-dalla-nascita-del-pci). Metto la parola commemorazione tra virgolette proprio perché non di celebrare si tratta per noi ma di analizzare quanto accaduto in un lungo periodo storico, nazionale ed internazionale, al fine di comprendere gli sbocchi odierni degli eventi. Credo che il video sia interessante ma, ovviamente, non esaustivo. Il PCI ha attraversato almeno tre tornanti epocali che ne hanno definito il ruolo nel tempo e nella società italiana. Il primo è quello che va dal 1921, anno della sua nascita, fino al 1944 (svolta di Salerno). Questa fase è caratterizzata dall’influenza che la rivoluzione sovietica aveva avuto sul clima europeo, poi dal fascismo e dal nazismo, dunque dalla guerra che si concluderà con l’occupazione americana (altro che liberazione!) dei paesi sconfitti. Appunto, nell’Aprile del 1944 Togliatti, su indirizzo sovietico, accantonava definitivamente i principi rivoluzionari del Pci per partecipare al governo di unità nazionale con le forze democratiche e liberali antifasciste. Fu il preludio a quanto sarebbe successo anche in seguito, con la conclusione del conflitto (ufficialmente nel 1945) e lo stabilmento di determinati equilibri mondiali tra i paesi vincitori, Usa e Urss, i quali si divideranno l’Europa limitando l’autonomia di tutto il Continente. Dopo quei fatti le velleità rivoluzionarie del PCI tramonteranno definitivamente ed il Partito resterà stretto tra l’essere inserito in una nazione sotto dominio statunitense e l’essere ideologicamente e finanziariamente dipendente dall’Unione Sovietica, dunque senza margini propri di manovra. Questa specie di equilibrio insano verrà spezzato da un’ulteriore giravolta i cui prodromi si avvertono tra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ’70. Nonostante l’apparenza di una subordinazione all’URSS la classe dirigente picciista prenderà la strada della Casa Bianca, sulle gambe di esponenti come Berlinguer e Napolitano, sorretta da camuffamenti ideologici come l’eurocomunismo (1976). Quella che inizialmente appariva solo una lettura senza prove o appena sintomale viene confermata dal desecretamento dei documenti ufficiali dei servizi Usa. Se Togliatti nel 1944 è costretto dalla forza di fatti soverchianti a ricollocare il PCI quanto avverrà in seguito rientra nel novero di opzioni molto più meschine, assimilabili al tradimento. Quest’ultimo è sì un fatto oggettivo ma richiede “forzature” dei tempi che non sono minimamente accostabili alle strettoie dei “tempi forzati”. Il caso togliattiano rientra nella seconda categoria (l’Italia era uno Stato sconfitto preso tra due blocchi di potenza), possiamo anche catalogarlo come opportunismo ma non oltre, quello berlingueriano è stato invece molto di più, uno studio consapevole a scopo liquidatorio, finalizzato a velocizzare una procedura dismissoria che avrebbe potuto avere esiti meno infausti. Non aggiungiamo altro ma la scenografia è abbastanza chiara. Rinviamo, a supporto di quanto esplicitato (anche in altri scritti sul nostro sito) a quello che scrive il giornalista Marcello Sorgi nel suo libro “Presunto colpevole” del 2020:
“La lettura, o la rilettura delle carte desecretate della Cia è molto interessante per capire il reale atteggiamento degli americani. Occorre partire dalla metà degli anni Settanta, quando appunto l’Italia appare agli osservatori americani un Paese allo sbando, a rischio di scivolare, non tanto nel comunismo, ma in una sorta di anarchia terroristica che dilaga senza argini, con una politica che non riesce a mantenere un livello accettabile di ordine pubblico. L’instabilità dei governi italiani è un lusso che gli americani pagherebbero a caro prezzo. Il territorio del Paese è strategico non solo per la sua posizione al centro del Mediterraneo, ma perché sul nostro suolo sono collocate le basi militari della Nato. L’obiettivo principale degli americani è la stabilizzazione dell’Italia, la politica e i suoi esponenti solo un derivato. La Cia arriverà a chiedersi a un certo punto se anche il Pci non possa dare una mano a trovare un baricentro al Paese. Un approccio sorprendente, se paragonato all’invalicabile argine anticomunista degli anni Cinquanta e Sessanta. Infatti, già prima della vittoria elettorale nelle amministrative del 1975, che porta il Pci a ridosso della Dc, facendo emergere, da parte dell’elettorato italiano, il desiderio di un’alternativa al ventennale regime democristiano, la Cia instaura un contatto stabile, ancorché riservato, con il gruppo dirigente comunista guidato da Enrico Berlinguer. Se ne occupa Martin Wenick, funzionario dell’ambasciata, che ha periodicamente appuntamento con Luciano Barca, membro della direzione del Pci, per scambiare impressioni e confrontarsi sulla situazione del Paese. Dopo ogni incontro, Barca manda una relazione scritta al segretario del suo partito. Ma quando la notizia di questi colloqui salta fuori, forse veicolata dallo stesso Pci, che dopo la vittoria elettorale può aver interesse a dimostrare che il veto degli Usa sta per cadere, l’amministrazione americana fa un passo indietro. Il visto per un viaggio in America, promesso a Giorgio Napolitano, uno dei pochi dirigenti del Pci che parli un inglese fluente, sarà negato e concesso solo nel 1978.
I colloqui però riprendono. E contribuiscono, nel giugno ’75, dopo i risultati elettorali, alla redazione di un rapporto segreto della direzione centrale della Cia, in cui per la prima volta si manifesta un’apertura verso i comunisti.
«Se il Pci entrasse nel governo, – recita il documento, – seguirebbe una linea relativamente moderata sul piano interno e sociale. In molti aspetti si troverebbe a destra del Psi. Il Pci si impegnerebbe a fondo in un negoziato con la Dc per avere una voce nell’amministrazione della gigantesca struttura parastatale. Non chiederebbe ulteriori nazionalizzazioni o radicali riforme economiche e sociali. Tutto quel che sappiamo, sia da fonti pubbliche sia segrete, lascia pensare che la leadership del partito crede e desidera una società democratica e un sistema parlamentare». Qualche dubbio rimane in materia di politica estera. Ma sarà presto fugato nel 76 dallo stesso Berlinguer, che in un’intervista rilasciata al «Corriere della Sera» dichiara di sentirsi piú sicuro «sotto l’ombrello della Nato».