Non i russi ma gli americani sono responsabili dell’instabilità europea

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Dietro alle fibrillazioni europee non ci sono i russi ma gli americani. E’ innegabile che, nella nostra epoca, vadano consolidandosi poli geopolitici alternativi a quello occidentale a guida statunitense ma nel vecchio continente si subiscono soprattutto gli effetti del ricollocamento strategico della “compagnia trumpiana” piuttosto che le presunte ingerenze di Mosca o di Pechino.
Ovviamente, il ripensamento strategico Usa, a livello globale, è conseguenza della rinascita egemonica dei suoi competitors euro-asiatici e di altre potenze regionali minori, le quali cercano contatti con le prime, ma occorre non dimenticare che l’Unione Europea è una colonia Atlantica, occupata militarmente e infiltrata, od ogni livello, dai servizi speciali d’oltreoceano, per cui ogni suo tentativo di aprirsi a Paesi fortemente “revisionisti” dell’architettura mondiale attuale, viene interrotto sul nascere o osteggiato in molti modi. E’ vero che, singolarmente, le potenze centrali europee, Germania e Francia, soprattutto, hanno la facoltà di battere qualche strada commerciale verso Est o impelagarsi in qualche avventura militare (preautorizzata) a sud ma se toccano interessi politici sostanziali i padroni a stelle e strisce fanno saltare affari e privilegi, per evitare il saldarsi di intenzioni più perniciose. Ne sappiamo qualcosa noi italiani. Ci fu impedito di far arrivare nella Penisola in via esclusiva il gas di Mosca, attraverso il southstream, progetto di pipeline con implicazioni internazionali non esclusivamente economiche. Il gemello tedesco, il north Stream, ha avuto maggiore fortuna, ed è in corso un raddoppiamento del tubo fortemente osteggiato dalla Casa Bianca, dalle sue “province” baltiche e da Stati come Polonia e Ucraina. Si teme che dai contratti sull’oro blu tra Germania e Russia, che tolgono centralità geografica a questi lacchè di Washington, possa un giorno svilupparsi qualcosa di maggiormente significativo. Sarà impedito al momento opportuno.
Tutte queste criticità in avanzamento hanno fatto maturare ad una parte dell’establishment americano la necessità di una rivisitazione dei propri piani di preminenza, con relativo puntellamento delle sfere d’influenza. L’indirizzo precedente obamiano ha raggiunto risultati incerti. Con Trump si intende effettuare una svolta. Quest’ultima richiede un allineamento di tutti i nodi “periferici” al nuovo corso in fase di affermazione. Le vecchie élite europee dovranno adattarsi con le buone alle mutate esigenze della prepotenza globale o finiranno respinte con le cattive. Bannon è in giro per l’Europa per assicurarsi che il processo non si strozzi o per rimuovere le varie difficoltà, non in nome del Presidente ma per conto dei suoi suggeritori.
Se il tycoon newyorkese (e i circoli che lo sostengono nell’ombra) reggerà alle resistenze dell’ “ancien régime” democratico la decadenza dell’internazionale “progressista” in tutto il mondo sarà irrefrenabile. Con la disfatta di questa periranno tutte le idee, malsane e imputridite, che attraversano le nostre società imperniate su una configurazione di potere ormai indebolita dagli avvenimenti. Come scriveva Cioran, là dove un’idea si impone ci sono teste che cadono; essa non può imporsi se non a spese delle altre idee e delle teste che le concepirono o le difesero.
La lotta ideologica senza esclusione di colpi (bassi), adesso in auge, nasconde tutt’altra posta rispetto a quel che si crede e si vede. La diatriba Politicamente scorretto-Politicamente corretto in “singolar tenzone” coinvolge emotivamente una opinione pubblica ignara dei piani “segreti” degli strateghi che si contendono la supremazia con mezzi e obiettivi da non rivelarsi “democraticamente”. I fedeli eserciti antipopulisti e populisti si scannano per opposti sentimenti (vedere la questione immigrazione e quella dei diritti delle varie minoranze giocati contro i diritti sociali delle classi medie e basse) che celano le fredde intenzioni di chi tira i fili da dietro le quinte.
In ogni caso, la guerra tra avverse fazioni è positiva perché i disastri degli ultimi decenni, causati dall’unipolarismo statunitense a pilotaggio progressista (o in strana alleanza con i neocon sulla politica estera) ha impoverito larghi strati sociali e inoculato instabilità nel tessuto connettivo comunitario, oltre ad aver tolto ogni residuo di autonomia alle potenze europee. Se gli antagonisti degli obamian-clintoniani prevarranno opereranno una ricontrattazione (pur sempre imponendo una certa subordinazione) con i loro referenti populisti, “pagando” meglio di chi c’era, affinché questi possano definitivamente affermarsi nei contesti nazionali di riferimento, col consenso dei loro popoli. È sicuramente un vantaggio auspicabile ma non è l’inizio della sovranità di cui parlano i vari partiti continentali che dicono di ispirarsi all’indipendenza dei loro paesi. Le “barricate in piazza” si fanno sempre per gli americani ma questa volta con qualche opportunità in più a causa della lotta intestina tra agenti Usa portatori di disegni dirimenti. Occorrerebbero, invece, avanguardie di altro genere, che guardassero più lontano, al totale sganciamento dagli yankee, manovrando nelle contraddizioni della fase, per essere protagonisti di una annunciata stagione multipolare, di immani sconvolgimenti, che schiaccerà chiunque non prenderà in mano il proprio destino.