NON SIAMO SERVI DI NESSUNO di G.P.

La faccenda dei cablogrammi inviati dagli ambasciatori americani alla propria Amministrazione da ogni angolo del mondo, rivelata dal sito pirata Wikileaks, sta restituendo un'immagine poco efficiente dei servizi diplomatici Usa che non sembrano all'altezza delle loro responsabilità e della stessa congiuntura internazionale.

I rappresentanti diplomatici dell’Impero non fanno grandi sforzi per rendere edotti i loro referenti politici in Madre Patria sugli andamenti mondiali, essendo ormai palese che tali costruttori di relazioni internazionali si sono sin qui limitati a raccogliere, soprattutto nel caso italiano, rumors ed umori dei giornali interni (quasi tutti di sinistra), di quelli stranieri (che progressisti o conservatori si dimostrano ugualmente antiberlusconiani), nonché le opinioni dei circoli intellettuali della gauche caviar che col nostro governo non potevano certo essere teneri. Nonostante l’insulsaggine di queste informazioni, emerge nei feluchei statunitensi una preoccupazione non da poco sulla politica estera nostrana e sulle alleanze che l’Italia va configurando sugli scenari caldi del pianeta, in primis con quelle nazioni in crescita egemonica, soprattutto nell’Europa dell’Est, nel Mediterraneo, in Medio Oriente ed anche in Asia. Berlusconi viene effigiato da queste note confidenziali attraverso pettegolezzi attinenti al suo stile di vita che lo fiaccherebbe fino a renderlo inadatto alla funzione ricoperta. (A proposito, come mai vengono fuori solo i festini di Berlusconi mentre nulla si sa di tutti gli altri? Fini, per esempio,  o D'Alema, entrambi già Ministri degli Esteri. Eppure di costoro non si può dire che siano dei santi…). Ma questa presunta inettitudine non combacia con la realtà dei fatti i quali appunto ci dicono che il Cavaliere è diventato un punto di riferimento per leader un po’ machisti ma utilmente decisionisti come Putin e di Gheddafi. Qualcosa stride, dunque, tra la rappresentazione del Premier rilasciata dagli ambasciatori yankees e i timori profondi di Washington che in un frangente è giunta a domandare ai propri terminali diplomatici se, in caso di caduta del governo e sostituzione di Berlusconi al vertice, la situazione potesse rovesciarsi in un senso più favorevole ai loro programmi. La verità è che gli americani ci percepiscono non come un popolo sovrano ed indipendente, col quale intrattenere relazioni amichevoli fondate su basi paritarie, ma come colonia ubbidiente che deve essere ricondotta al ragionamento con le buone quando si può o, più pragmaticamente, con le cattive quando non riceve le loro raccomandazioni. Un esperto di geopolitica come Lucio Caracciolo, dalle pagine de “La Repubblica”, ha rimarcato un concetto lapalissiano: dai contenuti di questi messaggi emerge una tracotanza difficile da digerire laddove per gli americani l’alleato più fedele è quello che si comporta come un valletto che assolve i compiti impartitigli senza pretendere nulla in cambio ed evitando di fare troppe domande. Il ruolo giocato dall’Italia in Afghanistan, rammenta allora Caracciolo, si avvicina molto a questa disposizione che oltreatlantico considerano un attributo fondamentale per entrare nelle loro grazie. Ed, infatti, di questo approccio dimesso in quel contesto di guerra ci ringraziano apertamente. Quindi, per ottenere l'imprimatur Usa bisogna annullare la propria volontà e surrogare quest’ultima con una cieca fedeltà riverente e devota. Anche Franco Bechis, questa volta dalle pagine di “Libero” (ne riporto il pezzo sotto, soprattutto perchè il giornalista adombra il coinvolgimento israeliano in questa oscura vicenda), boccia le assurde e poco realistiche pretese stellestrisce rammentando a lorsignori transatlantici che non siamo coloni. Ciò equivale a dire che la Penisola non fa parte del giardino di casa di Obama il quale ha già le sue belle difficoltà nel riportare alle ataviche sudditanze di un tempo i nanetti sudamericani, i quali ormai si sono riscoperti (vedi Venezuela e Brasile) dei veri e propri giganti geopolitici. Gli Stati Uniti farebbero meglio, per evitare ulteriori figuracce, a prendere atto di questa svolta storica e a ridisegnare il proprio indirizzo globale, possibilmente accordandolo con il mondo multipolare dove i centri di regolazione strategica e di egemonia politica sono più di uno. E’ finita l’era delle decisioni fatte cadere sulla testa di tutti con un’arroganza imperiale senza precedenti e con la convinzione di farla sempre franca. Comunque, gli yankees siano un po' più comprensivi con gli italiani visto che sono stati essi stessi a sdoganare alcuni di questi Capi di Stato (vedi Il Colonello Gheddafi, in occasione della rinuncia della Libia alla costruzione di armi di distruzione di massa) che oggi considerano cattive compagnie solo perchè li frequentiamo più di chiunque altro. Obama non può nemmeno dimenticare di essere stato lui a premere il tasto reset con il Cremlino, inaugurando la c.d. diplomazia del sorriso tra Est ed Ovest. Noi ci siamo accodati al nuovo corso diplomatico lanciato dalla casa Bianca, mettendoci ovviamente del nostro. Siamo un popolo libero e creativo e vorremmo dimostrarlo ancora. Con o senza l'assenso di Washington.

Franco Bechis (Non siamo coloni)