NON USIAMO STEREOTIPI di G. La Grassa
A mio avviso, abusiamo di vecchie abitudini linguistiche che corrispondono troppo poco ai fatti; con ciò sviliamo anche analisi che sarebbero corrette. Prendo l’ultimo caso: la strage compiuta dagli israeliani a Gaza (adesso si sono ritirati, ma ne vedremo ancora delle “belle”). Subito, ci si è lanciati a dire che l’esercito di quel paese si è comportato come i nazisti. In altri casi, si parla invece di fascismo; quelli dell’altra parte (i “destri” ottusi) straparlano a volte di comunismo o di bolscevismo. Ci ricordiamo poi bene come Milosevic, Saddam, oggi il presidente iraniano, vengano definiti con “grande fantasia” i nuovi Hitler. Infine, nell’usuale polemica “intergruppettara” a sinistra, ci si scaglia reciproche accuse di stalinismo, considerandola la peggiore delle offese. E così via. A me sembra che non ci si capisca più nulla.
Tornando agli ultimi avvenimenti a Gaza, che fanno seguito a non so quanti decenni di feroce repressione dei palestinesi da parte di Israele, sarebbe sufficiente dire che tale paese sta compiendo gli stessi massacri di quelli che vogliono imporre la loro predominanza, spesso di tipo tutto sommato coloniale. Solo per citare pochi casi, tra le centinaia e migliaia che sarebbe possibile elencare se si facesse una casistica storica completa, ricordo lo sterminio delle grandi civiltà precolombiane da parte degli spagnoli, o quella dei nativi del nord America (i cosiddetti pellerossa) da parte di un miscuglio di avanzi di galera inglesi, poi irlandesi, e via via tutti gli altri che vi si sono aggiunti. Non parliamo della tratta dei neri. E nel secondo dopoguerra, gli americani (che già si erano distinti come bombardatori di popolazioni civili, anche con il lancio di atomiche) hanno compiuto eccidi di massa contro chiunque non condividesse l’american dream. Sarebbe anche da ricordare, per spirito “patriottico”, tutto ciò che hanno combinato gli italiani (“brava gente”) in Libia, Somalia ed Etiopia, in Jugoslavia e Grecia, ecc. (salvo poi lamentarsi e parlare di feroci persecuzioni subite per la “faccenda” delle foibe).
Gli ebrei, va senz’altro ricordato, hanno da secoli e millenni subito persecuzioni d’ogni genere sfociate poi nei campi di sterminio della Germania di Hitler. Una volta raggruppatisi in uno Stato – la cui costituzione è stata favorita da molte contingenze e interessi (occidentali) che sinceramente non mi interessa qui discutere – hanno preso l’“allegra abitudine” di massacrare a loro volta chiunque non desideri accettare il loro predominio che, lo ripeto, se non è coloniale in senso stretto, assomiglia comunque molto a quest’ultimo. Disgusta certamente che questo popolo, per giustificare gli eccidi che sta compiendo, si trinceri dietro le persecuzioni, certo orrende, che ha subito. Sarebbe come se il sottoscritto, aggredito e picchiato da un energumeno di peso e forza mille volte superiori, cercasse un bambino di una decina d’anni per dargliele di “santa ragione”; e a chi lo insulta per questo comportamento infame e vigliacco, rispondesse che ha le carte in regola per via del torto precedentemente patito.
Malgrado tutto ciò, starei attento a non fare paragoni troppo stretti con la Germania nazista che era una delle grandi potenze in lotta nel conflitto policentrico, iniziato con il declino della predominanza inglese nella seconda metà dell’800 e conclusosi con la seconda guerra mondiale (e, in senso ancora più specifico, con il crollo del “socialismo reale” e dell’Urss nel 1989-91), eventi che hanno condotto alla nuova supremazia da parte degli Usa. Israele è armato fino ai denti, è una piccola potenza di tutto rispetto ma è, in ultima analisi, la longa manus, o meglio il sicario, degli Stati Uniti nel Medio Oriente; è dunque una potenza “regionale” utilizzata – quale stretto “alleato” in posizione sostanzialmente subordinata, pur con alcuni “gradi di libertà” nella sua nefasta azione violentemente repressiva – dalla grande potenza a tutt’oggi predominante nel mondo, pur se questa sua predominanza è messa vieppiù in discussione da un certo numero di competitori che stanno crescendo, in particolare, ad est.
Dico questo affinché non si perda di vista che il problema centrale è sempre la prepotenza statunitense. Come tutti i “servitori”, Israele si assume spesso compiti feroci e sanguinosi (si sa che spesso i sottufficiali sono, all’apparenza, più carogne, e dunque più odiati dalla truppa, dei colonnelli e generali), ma i veri banditi, i grandi criminali della politica internazionale odierna, sono i gruppi dominanti degli Stati Uniti. Questo non significa che si possa dimenticare Israele e non si debba denunciare il fatto, vergognoso, che non vi è alcuna comunità ebraica nel mondo (non sto parlando di singoli personaggi che, come i Thomas Mann o i Brecht nella Germania nazista, condannano la bestialità dei dirigenti del loro paese) in grado di pronunciarsi con chiarezza contro la politica di massacro attuata dai vertici di quello che è in effetti il “loro” paese (a meno che qualcuno non voglia fingere per ipocrisia di non entrarci per nulla).
Tuttavia, diciamo pure che i palestinesi non faranno la fine degli Aztechi o Incas, ecc. E non soltanto perché dietro di loro ci sono le “masse arabe”; mi dispiace notare che queste ultime sono in gran parte ancora troppo divise e incapaci di liberarsi di regimi – in primo luogo, quelli dell’Egitto, dell’Arabia saudita e, in una zona più lontana ma geopoliticamente nevralgica, del Pakistan) – ipocriti, reazionari, strettamente legati alla politica imperiale statunitense. Per fortuna, non ci sono solo le “masse” (a mani nude o come kamikaze; o al massimo con fucili mitragliatori, bazooka e qualche missile terra-aria, di quelli “portatili”); ci sono in particolare alcuni grandi paesi (e nazioni!), del tutto privi di grande pietà e solidarietà verso gli oppressi, eppur consci che la loro crescita di potenza – implicante, alla fin fine, il miglioramento netto delle condizioni di vita di via via più larghe quote della loro popolazione, processo indispensabile a mantenere certi gruppi dirigenti al potere nelle nazioni in oggetto – non può non scontrarsi sempre più decisamente con la potenza statunitense e, dunque, anche con quella dei suoi sicari: che si tratti di Israele in Medio Oriente, o del Pakistan un bel po’ più “a est”.
E’ tuttavia necessario non dare per scontato che tutto procederà linearmente, con lenta ma sicura progressione, verso il declino inesorabile della supremazia americana e la crescita della forza di altri paesi. Dopo che un paio d’anni fa, ad esempio, era apparsa tutta la forza di penetrazione cinese in Africa, è inutile far finta di non notare che gli Usa stanno reagendo; ricordo soltanto l’aggressione (con occupazione di fatto) dell’Etiopia alla Somalia, certi avvenimenti in Costa d’Avorio (in cui anche i francesi sembrano vittime di tale reazione). Non so valutare bene i recenti fatti in Nigeria, ma credo assai poco ai conflitti solo interetnici e ad altri “racconti” del genere. Più grave ancora appare l’impasse ormai evidente della sedicente Resistenza irachena. Adesso, ci si vuol “rifare la bocca” con il viaggio a Baghdad del presidente iraniano; ma si tratta di questione del tutto diversa, non c’entra nulla la Resistenza dei popoli all’aggressione straniera (e imperialista), siamo in tutto un altro ordine di processi: appunto legati a lotte di potenza, anche di tipo minore, di tipo “regionale”. Del resto, nel mentre avviene questo viaggio, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu vota pressoché all’unanimità (una sola astensione) nuove misure contro l’Iran. Tutta ipocrisia, certo, ma che dimostra come anche Russia e Cina perseguano al momento vie assai tortuose per affermarsi di contro alla superpotenza statunitense.
In ogni caso, dovremmo dotarci di punti d’osservazione, e di strumenti e metodi per osservare, assai migliori di quelli di cui disponiamo. A mio avviso, siamo superficiali anche nel giudicare ciò che avviene in Sud America. Troppi pensano che sia in atto un processo pressoché irreversibile di sganciamento dagli Usa, e addirittura di contrapposizione a questo paese. Starei attento a non confondere processi legati ad una certa strategia statunitense con una ormai definitivamente acquisita autonomia della maggioranza dei paesi sudamericani. A me sembra piuttosto che, con la presidenza Bush (attorniato dallo staff dei suoi consiglieri detti “teocon”), sia stata condotta una politica aggressiva ma pure un po’ avventuristica, fondata sulla convinzione che gli Usa potessero intervenire contemporaneamente, in modo massiccio, in numerosi (fino a tre) “punti di crisi” della loro sfera d’influenza imperiale. Simile strategia sembra in via di netto fallimento; e già sono state apportate revisioni che stanno prevedendo interventi meno diretti e più subdoli (le varie “rivoluzioni arancione”, le false decisioni “democratiche”, magari con “elezioni”, ecc. ecc.). Con la nuova presidenza, probabilmente, la revisione strategica proseguirà; la mia sensazione è che essa prevederà, fra l’altro, una maggior attenzione a ciò che accade in Sud America, area su cui ci si era ultimamente un po’ “distratti” (solo un po’, ovviamente, ma quanto è bastato a creare certe speranze che temo si riveleranno, in tempi relativamente brevi, piuttosto illusorie).
Invece, qui da noi, abbiamo una gran massa di “bischeri” che parlano solo di un “pacifismo senza se e senza ma”; sembra di essere tornati ai fasulli del ’68 che predicavano di “mettere fiori nei cannoni”. I meno peggiori inneggiano alla “virtù” (innata?) dei popoli che “resistono” all’aggressione. Invece, questi ultimi si trovano al momento in gravi difficoltà: che si tratti della Palestina o dell’Irak o anche del Pakistan, dove non sopravvaluterei certo la “carnevalata” delle elezioni (ha vinto di misura il partito della “martire”, ma la partecipazione alle urne, mai rivelata con chiarezza, sembra essere stata intorno al 35%, ancora inferiore al 42 del 2002), ma terrei conto di una qualche impasse del movimento “islamico”, che uscirà effettivamente da una simile situazione quando Russia e Cina si esprimeranno in modo più efficace (anche se non roboante e non troppo “ufficiale”) su alcuni nodi tuttora irrisolti.
Noi viviamo e agiamo qui in Europa, in uno dei suoi paesi politicamente più arretrati, sia per le difficoltà economiche (e sociali) in cui si trova sia per la permanenza di forze dette di “sinistra” affette da reazionarismo “romantico”, da una arretratezza culturale da far paura; siamo sempre al vecchio “idealismo”, che svaluta scienza e tecnica, elementi fondanti della possibilità di contare in ambito geopolitico, liberandoci della supina sudditanza agli Usa. E’ veramente necessaria intanto una sorta di “rivoluzione culturale” in grado di eliminare l’arretrata “sinistra” detta “radicale”, in cui allignano tutte le peggiori incrostazioni politico-ideologiche, che rappresentano ormai un macigno messo di traverso rispetto alla modernizzazione di questo paese in dissesto. Basta con i verdi e con i pacifisti di cervello piccolo e di smisurata presunzione. Non sono i principali nemici, certamente, ma inoculano veleni paralizzanti che impediscono la ripresa di una vera critica (avanzata) dell’attuale capitalismo (sub)dominante. Sono, almeno oggettivamente (ma, più spesso di quanto si creda, anche soggettivamente) i migliori alleati dell’Impero americano, della nostra classe dirigente (economica, politica e culturale) succube di quest’ultimo. Liberiamocene, e senza più complimenti!