Note politiche post-elettorali 2008 – di Costanzo Preve
(da Italicum marzo – aprile 2008)
L’esito delle recenti elezioni politiche italiane 2008 merita alcuni commenti a “caldo”, anche se saranno probabilmente necessari un paio d’anni per rendere possibile una valutazione storica seria e non puramente congiunturale. Per il momento, è bene accontentarsi di un insieme di note ancora un po’ disordinate da sottoporre ad una discussione più ampia.
In politica e nelle scienze sociali l’unica “oggettività” possibile consiste nell’esplicitazione veridica delle proprie premesse di valore e dei propri comportamenti. Chi scrive si è non solo astenuto in queste elezioni dell’aprile 2008, ma ha anche firmato un documento pubblico che invitava alla astensione. Non si è trattato da parte mia di un astensionismo di principio di tipo anarchico e comunista-bordighista. Dal momento che non sono un astensionista di principio, ma un sostenitore della forma democratica dello Stato moderno sovrano, non ho votato perché appunto non era oggetto di voto la sovranità economica e militare dello stato nazionale italiano, in quanto entrambe le formazioni (Berlusconi e Veltroni) erano unite nella sottomissione all’impero Usa, alle sue basi militari in Italia ed all’uso della Nato come mercenariato internazionale geopolitico (Afghanistan).
In quanto all’Arcobaleno, ci tornerò più avanti. Ritengo osceno un partito che presenta come icone poltiche positive da proporre ai giovani ed ai lavoratori i signori Luxuria e Caruso e che era guidato da un pagliaccio dilettante come Bertinotti, che invitava i suoi elettori a votare un progetto di auto-scioglimento della propria stessa identità. Più serio, affidabile e meno osceno era per me il classico estremismo di sinistra tradizionale (Sinistra Critica e Partito comunista dei Lavoratori, Turigliatto e Ferrando), e se fossi stato costretto militarmente a votare con una pistola alla testa, avrei votato per loro. Ma siccome non ero in questa situazione, mi è sembrato del tutto inutile avallare elettoralemte –sia pure in modo puramente testimoniale, data l’assoluta impossibilità di superare il quorum elettorale necessario, il solito progetto trozkista nelle sue due complementari varianti movimentista (Turigliatto) e partitista (Ferrando).
Ma bando alle dichiarazioni personalistiche e passiamo ad un tentativo di analisi politica di fase.
Non so se possiamo dire di trovarci nella seconda o nella terza repubblica, ed in ogni caso non è importante, perchè una periodizzazione storica largamente accettata non esiste ancora. Ciò che è invece sicuro è che la prima repubblica italiana (nella sua costituzione materiale, non in quella formale che è rimasta immutata) è stata abbattuta nel 1992 da un colpo di stato giudiziario extra parlamentare denominato impropriamente Mani Pulite, e denominato così in un mondo kafkiano e borgesiano alla rovescia, trattandosi di uno degli eventi più sporchi della storia italiana del novecento. La direzione strategica che aveva pianificato il colpo di stato aveva in testa una giunta presidenziale referendaria capeggiala dal notabile sardo ipodotato. Mariotto Segni, ma il diavolo fa le pentole e non i coperchi, la ciambella non riuscì con il buco, i giudici “onesti” non si arrestarono e distrussero sia la DC che il PSI, lasciando solo in piedi il mercenariato golpista metamorfico PCI-PDS-DS-PD, pronto a passare dal cosmopolitismo antinazionale monoclassiticosociologico-proletario al cosmopolitismo neoliberale-globalizzato ed imperiale USA. Il fenomeno Berlusconi che la supponente stampa straniera e la feccia snob italiana (Nanni Moretti, Pancio Pardi eccetera) riduce a cattivo gusto estetico da Bagaglino contrapponendole ciò che Stefano Benni chiamerebbe la sua Certa Kual Cultura, è stato in realtà “sottoprodotto largamente imprevedibile della ricaduta sfuggita di mano di questo colpo di stato giudiziario extraparlamentare.
La giunta giudiziaria golpista (intendo oggettivamente golpista, la sua soggettività può interessare solo i suoi parenti, zii e cugini) ha cercato di colpirlo e di golpizzarlo come aveva fatto con il PSI e la DC, ma non c’è riuscita, e non c’è riuscita perché il Berlusconismo si è rivelato sulla lunga distanza (e il periodo 1993-2008 è già in discutibilmente una lunga distanza politica) un fenomeno politico solido e strutturale. Si tratta allora di capire che cosa è stato ed è il berlusconismo. Il modo migliore per non capirlo è dare retta alla marmaglia intellettuale semicolta snob dei salotti e delle redazioni.
Il berlusconismo è nato come reazione politica delle classi medie contro l’alleanza politica informale, percepita come incombente e pericolosissima, fra quella che La Grassa chiama G-F+ID (grande finanza ed industria decotta) ed il mercenariato politico comunista riciclato in personale politico delle oligarchie finanziarie. Il berlusconismo ha innescato all’interno delle stesse classi medie una virulenta e ferocissima guerra civile cultural-simbolica fra gli “incolti dichiarati” (in genere berlusconiani) ed i “semicolti supponenti” (ferocemente anti-berlusconiani). Questa guerra civile simbolico-simulata, gestita da quindici anni dagli apparati mediatici sulla base del conflitto epocale fra Vespa e la Dandini, ha la funzione di non permettere di capire i dati strutturali dei due blocchi storici (uso qui il termine di Gramsci) che stavano dietro a Berlusconi da un lato, e a Prodi-Fassino-Veltroni dall’altro.
In strema sintesi, da un lato classi medie (Berlusconi), e dall’ altro alleanza fra lavoro subalterno sindacalizzato, pensionati picisti identitari, alta finanza e industria decotta, centri sociali urlanti parassitari, apparati semicolti di cinema topografici, ceto politico DC ed infine mercenariato PCI-PDS-DS dall’ altro.
Le tre vittorie elettorali consecutive di Berlusconi (1994,2001,2008, ma avrebbe vinto anche nel 1996 se si fosse alleato con Bossi) dimostrano il carattere strutturale di lunga durata del fenomeno Berlusconi e la forza dei ceti medi in Italia. Questo spiega anche la scelta di basso profilo di Fini, che dopo una fribillazione polemica di breve durata con Berlusconi ha scelto di “allinearsi” e “coprirsi”. Se fossi stato un suo consulente pagato, gli avrei consigliato esattamente questo basso profilo. Essendo più giovane di Berlusconi, spera che il dato anagrafico diventi un dato politico. Ma non è affatto sicuro che a tempo e a luogo possa raccoglierne ne l’eredità. Tutto dipende dalla profondità della crisi prossima ventura.
Tremonti è meglio piazzato di Padoa Schioppa per affrontarla, ma non dispone della sovranità “economica” monetaria e militare per affrontarla con successo. Il suo “comunitarismo” è puramente filosofico, saggistico e verbale. Ma senza sovranità “economica” e militare non si fa nessun comunitarismo. Un protettorato USA cosparso di basi militari straniere non è mai comunità , ma soltanto una tribù Cheyenne al servizio dei soldati “ blu”.
Sul piano interno, Berlusconi è meno pericoloso di Veltroni, ed in termini di minore pericolosità “sociale”la sua vittoria elettorale deve considerarsi, fra i due mali, il male minore. Ma il suo americanismo fanatico, unito al sionismo aggressivo (esemplare il caso di Fiamma Nirenstein) in un contesto di possibile aggressione americano-sionista al benemerito Iran di Ahmadinejad ed al benemerito governo di Hamas, resta molto pericoloso sul piano diplomatico internazionale (e se si pensi a fantocci coloniali USA come Scelli e la Contini). Intollerabile è poi ogni anti-islamismo fanatico da “guerra civiltà”. È però vero che su questo binomio americanismo-sionismo non vi sono differenze rilevanti fra Berlusconi e Fini, da un lato, e il trinomio Casini-Veltroni-Bertinotti, dall’altro, se non nel folklore retorico e nell’inganno “non-violento”.
Veltroni ha vinto o ha perso le elezioni? Dipende da che cosa intendiamo con questo termine. Da un punto di vista elettorale, Veltroni ha chiaramente perso, e perso presumibilmente per un lungo periodo, e le sue oligarchiche affamate dovranno sottoporsi ad una dieta di dimagrimento di posti, onori e prebende (la famosa “casta” di grilliana memoria). Ma da un punto di vista di passaggio storico-sistemico Veltroni ha vinto, o almeno ha pareggiato, perché in un colpo solo si è liberato del malefico Prodi e della zanzara fastidiosa Bertinotti. Veltroni non aveva vere chances in questo passaggio elettorale, in cui era destinato a perdere, nonostante l’appoggio della finanza e dell’industria decotta ed il gracidio culturalistico del ceto intellettuale di una certa Kual Kultura. Ma è riuscito a portare a termine il delicato passaggio del bipolarismo, e si può allora dire che – in un certo senso – ha se non vinto almeno pareggiato.
Walter Veltroni rappresenta il coronamento storico finale del comunismo italiano, mentre Fausto Bertinotti rappresenta la sua dissoluzione. So bene che questa affermazione può sembrare a prima vista spaesante e paradossale, ma senza un’operazione di questo tipo non è possibile uscire dal mondo virtuale del chiacchiericcio mediatico di regime politicamente corretto. Per capire la storia ci vuole un insieme di componenti, la dialettica hegeliana dell’unità degli opposti, la teoria marxiana dei modi di produzione, il senso dell’umorismo, il riorientamento gestaltico, lo straniamento brechtiano, eccetera. Del resto, anche Fini rappresenta il coronamento finale del neofascismo italiano e la Santanchè la sua dissoluzione nella xenofobia contro gli immigrati musulmani e l’asservimento definitivo ed integrale all’americanismo ed al sionismo, e cioè esattamente ai nemici del fascismo storico. Un minimo di riflessione spregiudicata farà sembrare quanto dico meno incredibile.
Quando aderii in giovane età ad un comunismo idealistico, lo feci in totale solitudine ed in conflitto edipico con la proposta paterna di integrazione nei valori e nei comportamenti della piccola borghesia conservatrice dei primi anni sessanta. Credevo infatti che il comunismo fosse un progetto storico di emancipazione universalistica (e lo credo ancora e sempre di più), sorretto da una scienza storica e da una filosofia umanistica. In poche parole, ed usando un ossimoro, una religione scientifica. Poi ho conosciuto i comunisti reali, non quelli ideali, e mi sono accorto che il “comunismo” non era quello che credevo, ma era un tipo antropologico-sociologico di massa, composto alla base da un popolo subalterno ed al vertice da un cinico mercenariato storicistico-nichilistico. E tuttavia, questa delusione non mi ha portato dall’altra parte, secondo una deriva che ha riguardato milioni di persone, e di intellettuali alla Sofri, Colletti, Flores d’Arcais, eccetera.
Walter Veltroni rappresenta il coronamento finale di un lungo processo di assimilazione storica e di adattamento al “corso del mondo”, dal monoclassismo sociologico proletario al cosmopolismo della globalizzazione USA a guida spirituale sionista. Il suo elettorato è nell’essenziale il vecchio elettorato PCI, in particolare nelle regioni rosse. Berlinguer lo benedice certamente dall’altro di un nuraghe sardo. Berlinguer pensava di essere moralmente migliore del popolo democristiano e craxiano. Veltroni pensa di essere migliore del popolo berlusconiano e leghista. Questa presunzione moralistica viene direttamente dalla subcultura dell’azionismo piemontese, convinto di essere moralmente migliore del “popolo delle scimmie” di gobettiana memoria.
È questo il solo razzismo veramente pericoloso in Italia. L’operaio leghista lombardo può lasciarsi andare a stupide frasi localistico-razziste, ma il solo vero razzismo in Italia è la pretesa di ripugnanti snob con la puzza al naso tipo Nanni Moretti e Marco Revelli di essere migliori del bottegaio berlusconiano e dell’operaio leghista.
È questo il paradossale coronamento del sentimento di superiorità coltivato al tempo del comunismo storico reale, che almeno era ispirato da sentimenti di eguaglianza sociale (ammessi dallo stesso Norberto Bobbio, che per questa ragione non si dichiarò mai “anti-comunista”, ma solo “non-comunista”), che oggi è soltanto sgradevole snobismo. Il fatto che sia stato punito in queste elezioni è stato molto positivo. Non ha perso il popolo. Hanno perso Caruso, Luxuria, Flores d’Arcais, Pancio Pardi e tutta la feccia intellettuale italiana.
Bertinotti è un personaggio da commedia dell’arte, un narcisista insicuro, suscettibile fino alla patologia, passato dalle pezze al sedere alla corruzione dei salotti romani pseudo-colti, percepito dagli stessi militanti di Rifondazione come un alieno. A suo tempo, fu insediato ai vertici di Rifondazione da un accordo di vertice fra Cossutta e Magri stabilito per detronizzare Garavini (vedine la ricostruzione accurata in Marco Rizzo, Perché ancora comunisti, Baldini e Castoldi, Milano 2007). Intronizzato con un golpe, Bertinotti meditava di sciogliere Rifondazione con un golpe di vertice, fortunatamente sventato dalla pittoresca e benefica catastrofe elettorale.
L’odio del giullare verso il comunismo storico novecentesco deriva da una complessa operazione ideologica, che trova il suo incunabolo nella vecchia Democrazia Proletaria, di cui fui io stesso a suo tempo inascoltato dirigente, e che quindi conosco molto bene. In estrema sintesi, si tratta di una riduzione, di una addizione e di una sottrazione. In quanto riduzione, il comunismo marxista è ridotto a sindacalismo conflittualistico duro di fabbrica, riduzione necessaria perché ne risulti l’ovvia insufficienza culturale. In quanto addizione, gli si addizionano tre elementi dissolutivi, l’ecologismo ipocrita e corrotto alla Pecoraro Scanio (nulla a che fare con il vero ecologismo rivoluzionario alla Dario Paccino), il
femminismo differenzialistico ed isterico-ripugnante alla Ida Dominijanni ed infine il pacifismo pecoresco ed estensivo che impone la non-violenza ai deboli e non la chiede ai forti. In quanto sottrazione, si sottrae al comunismo, ridotto ad impotente “sinistra”, la questione nazionale, la categoria di imperialismo, l’analisi ispirata a Marx, la geopolitica, la critica al sionismo ed all’impero americano.
Il risultato di questa triplice operazione di riduzione, addizione e sottrazione è un’emulsione ideologica velenosa e ripugnante. La delegittimazione elettorale di questa banda è stata quindi una cosa ottima. Purtroppo non risolutiva. Costoro hanno dietro i gruppi intellettuali spocchiosi della sinistra “suonata”, e saranno indubbiamente sostenuti da chi ha interesse ad avere una sinistra “addomesticata” di sionisti, pacifisti testimoniali belanti e pecoreschi, femministe da quote rosa ed anti-leghisti con la puzza al naso.
10. E tuttavia la storia non è certo finita. Due cose, le due cose che fanno maggiormente soffrire la gente comune, non sono alla portata della classe politica, non importa se berlusconiana o veltroniana. Da un lato, l’insufficienza di salari, stipendi e pensioni (la famosa “terza settimana”). Dall’altro, il lavoro flessibile e precario per i giovani, che impedisce la formazione di famiglie stabili. Entrambe le cose derivano dalla globalizzazione. Non credo che Tremonti ci potrò salvare, ma quanto meno sarà più attendibile della corruzione morale e politica di Pecoraro Scanio e della corruzione culturale da straccione arricchito di Fausto Bertinotti.