NOTERELLE SPARSE


Al convegno dei giovani imprenditori a Capri, apparentemente Mieli ha fatto autocritica rispetto all’invito, rivolto agli elettori nel marzo dello scorso anno, di accordare la propria preferenza al centrosinistra. Ha brutalmente affermato che, se questo Governo non sa fare di meglio e decidere (secondo i desideri di coloro, dei quali è portavoce autorevole), è ora che se ne vada, è perfino preferibile che si torni a votare. Subito uno dei “coloro” in questione, “il Monty”, l’ha apparentemente contraddetto e corretto affermando che, pur se indubbiamente questo Governo non combina nulla e dovrà farsi (o altrimenti essere messo) da parte, non si può andare a votare adesso; prima deve essere approvata una (del tutto mitica) nuova legge elettorale, senza la quale mancherebbe “la governabilità” (altro “specchietto per le allodole”, solo utile a ritardare il voto).
In genere, nell’esercito, il maresciallo punisce duramente i soldati per mancanza di disciplina. Poi interviene il capitano (talvolta perfino il colonnello) e ammorbidisce la pena; così la lezione è impartita, ma l’ufficiale prende la gratitudine della truppa (nel caso di “Monty” anche i finanziamenti dello Stato, cioè del Governo), mentre il sottoposto concentra su di sé l’acredine della stessa. Il gioco tra Mieli e il “presidentissimo” (di Confindustria) è esattamente dello stesso genere. Mara-dona direbbe: “Hijos de puta” (detto con affetto y simpatia, va da sé).
Le strigliate “padronali”, sempre più rudi, a questo Governo dipendono sia dal discredito crescente che si diffonde nel paese, investendo tutte le manovre e manovrine della politica “ufficiale” – discredito che rischia di ostacolare pure i giochi della GFeID – sia dalla necessità di preparare comunque il terreno a tali manovre che puntano, come sempre da quindici anni in qua (da “mani pulite”), a rifare un nuovo centro, con sinistra quale sua appendice, in quanto perfettamente succube e consenziente ai voleri dei “poteri forti”. Questi speravano veramente che le ultime elezioni dessero il tocco finale all’operazione. Invece si sono verificati eventi negativi per l’establishment: una vittoria risicata del centrosinistra, il rafforzamento al suo interno dell’ala detta “radicale” (che pesca i suoi voti nella parte meno fortunata della popolazione e, se la tradisce troppo, perde quanto necessario a far eleggere i suoi capi e capetti), l’affermazione personale di Berlusconi (la rimonta della destra in extremis è del tutto opera sua, mentre Fini e Casini hanno fatto tutto il possibile per preparare il disastro). A questo punto, l’operazione “grande” centro, con sinistra indebolita al seguito, è andata in pappe; il Governo si è vieppiù incartato, dopo aver creato una quantità mai vista di ministri e sottosegretari, onde soddisfare un po’ tutti e prepararsi a veleggiare, e galleggiare, in piccolo cabotaggio.
Nel contempo, la situazione economica si è fatta pesante, con ritmi di sviluppo in netta decresci – ta. In una congiuntura del genere, si è avuta la “bella pensata” di accrescere la pressione fiscale; non certo per rilanciare un minimo di sviluppo né per migliorare in qualche modo i servizi pubblici e rendere più “veloce” l’amministrazione statale, poiché la spesa dello Stato (crescente) è prevalentemente indirizzata a soddisfare clientele varie, camarille finanziarie e industriali (dei settori meno innovativi e non di punta), gli amici degli amici, i costi della politica (su 60 milioni di abitanti, un milione e trecentomila vivono di pura politica; oltre ai circa 4 milioni di dipendenti fra Stato ed enti locali).
La situazione è disperante, la GFeID non sa come accelerare l’operazione PD (con Veltroni “Re”), che è “l’ultima sua spiaggia”; lo stesso “Monty” deve forse prepararsi alla discesa in campo, quanto meno come carta di riserva e di sostegno. Se però si va ad elezioni adesso, vince sicuramente la destra e l’odiato Berlusca torna a rompere le scatole al cosiddetto “salotto buono” dei dominanti. Bisogna, quindi: a) attaccare il Governo, corroderne le basi, separare (solo all’apparenza, per ingannare chi si fa ingannare) le proprie sorti dalle sue, dare qualche soddisfazione verbale al lavoro “autonomo” ormai al limite della sopportazione, nel mentre non è migliore lo stato d’animo di settori importanti (pur minoritari) dei lavoratori salariati; b) impedire ad ogni costo che si vada subito ad elezioni, sperando nell’invecchiamento e logoramento di Berlusconi, e in una serie di “ammuine” (che richiedono tempo) per sgretolare AN e UDC, e magari anche parte di Forza Italia
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(vista la tensione creatasi con i “circoli” della Brambilla), al fine di scompaginare e mescolare gli schieramenti attuali (adesso “si scopre” perfino che non vale più la tradizionale dicotomia destra-sinistra; una “grande” scoperta con un ritardo di vent’anni o poco meno). Ancora una volta: “hijos de puta”.
Comunque, non credo affatto che abbiano a disposizione tutto il tempo che ci vorrebbe. Strascicando in questo modo disgustoso una situazione, che più marcia non potrebbe essere, tirano avanti certamente, ma preparano un disordine e una putrefazione della società, che diventeranno miscela esplosiva, sul cui “botto” è inutile fare adesso previsioni.
Sul referendum organizzato dai sindacati per far approvare dai lavoratori la loro approvazione, di fatto puramente filo-governativa, del cosiddetto protocollo sul Welfare, è inutile spendere molte parole. Si conferma quello che dicevo recentemente sulla necessità che avrebbe questo paese (come in fondo gli altri del capitalismo “occidentale”), per il bene degli stessi lavoratori, di chiudere e sigillare le sedi di simili associazioni filocapitalistiche, e ripartire da capo con l’elezione diretta dei rappresentanti sindacali e il loro mantenimento a spese dei rappresentati (che dovrebbero poterli mandare a casa a calci in c …. non appena sgarrano e si fanno burocrati). I sindacati non sono certo la causa, ma il prodotto, ormai però non riformabile e non eliminabile se non con la brutalità di cui appena detto, di un capitalismo del tutto degenerato, completamente in mano ad un apparato finanziario molto simile a quello preminente nella Repubblica di Weimar che inoltre, proprio come il nostro attuale, era pesantemente “condizionato” dal (per non dire subordinato al) grande capitale del paese divenuto oggi predominante (gli USA ovviamente).
Il concetto di democrazia in voga in tale paese, da cui noi l’abbiamo importata supinamente e senza fantasia, è quello di una massa di cittadini ridotti a “opinione pubblica”; anche in tal caso non semplicemente attraverso i massmedia. Bisogna ripetersi: questi ultimi sono prodotto e non causa; sono appunto mezzi, strumenti di un predominio, di cui ricercare i motivi con una analisi strutturale, come era abituato a fare il marxismo prima della degenerazione odierna del ceto intellettuale, tanto “raffinato” e “colto” da sventagliare ai quattro venti chiacchiere ed elucubrazioni del tutto rarefatte. La decadenza e l’ottenebramento da cui è colpita la nostra “civiltà”, la nostra (in)cultura, sono a mio avviso del tutto evidenti; e la democrazia (puramente elettoralistica, piena di imbrogli e trabocchetti e completamente permeata dalla menzogna) è il loro sintomo più evidente. Contro questa “democrazia”, falsa e devastante, è necessario tuonare con tutte le (poche) forze rimaste. Tuttavia, sapendo i pericoli che si possono correre.
Non si deve lasciare libero il passo a chi propagandasse una sorta di nuova Repubblica dei Saggi, di predominio di supposte élites con l’instaurarsi di rigide gerarchie onde ripristinare un “ordine antico”, che del resto sarebbe forte solo in apparenza; nasconderebbe invece una grande fragilità e potrebbe poi spezzarsi, trascinando però i popoli verso avventure poco piacevoli come già avvenuto più volte nella storia. Altrettanto indesiderabile è un caos puramente anarcoide, diffuso e disgregante, che produrrebbe situazioni talmente invivibili, da “lupi contro lupi”, per cui verrebbe infine invocato il “potere forte” con la ricaduta nel discorso precedente. Difficile credo, sempre che si desiderino veramente dei profondi mutamenti, evitare un punto di crisi, una congiuntura di forte disordine e confusione, di apparente mancanza di idee (o invece di una loro tale sovrabbondanza da provocare solo “rumore” in crescita esponenziale). Poi deve comunque sopraggiungere un nuovo ordine (cioè l’“Ordine Nuovo”), in cui non ci siano semplici elezioni una volta ogni tanto, ma ben altra partecipazione; che non sarà mai completa, inutile raccontare fole. Chi agisce in politica deve però battersi non per accrescere l’apatia e l’indifferenza, e nemmeno per inscenare una carnevalata variopinta (magari “arancione”) di “senza idee”, portati in piazza nelle più svariate guise al seguito di abietti individui prezzolati dal grande capitale internazionale.
Non sarà facile riprendere un discorso di vera democrazia non elettoralistica. Sarò condizionato dal passato, ma credo che non si possa evitare di rimisurarsi con La Comune o i Soviet; senza però ripetere a pappagallo le esperienze di allora, che non sono certo passibili di applicazioni così come furono. Occorre ciò su cui insisto spesso: una loro traduzione in “lingua moderna”. Questa loro traduzione esige allora la già accennata analisi strutturale (non però meramente economicistica o supina di fronte al “Destino della Tecnica”). Oggi, praticamente nessuno la fa, e tanto meno i “marxisti” (del resto dei superstiti) che non sono per nulla marxisti, non sanno rinverdire una teoria che ebbe vera grandezza (ma ormai rimpicciolitasi da tempo). Tuttavia, se si fanno chiacchiere sulla democrazia, le sue mere regole e istituzioni possibili, credendo di farle “assorbire” a livello di massa tramite pura “agitazione ideologica”, con fini discussioni tra “sapienti”, ecc., saremo sempre battuti da quelli che accettano le strutture così come esse sono, e curano semplicemente l’accettazione di una loro immagine falsificata da parte delle masse “educate” a tali menzogne.
Occorre una convenienza per tradurre in pratica una nuova democrazia, che un tempo si diceva sostanziale per opporla a quella formale delle classi dominanti (capitalistiche). La sostanza non può appunto essere disgiunta dalla convenienza; e se quest’ultima ha aspetti che per gli schizzinosi intellettuali di certa sinistra sono troppo “materiali”, me ne dispiace: tanto peggio per questi intellettuali, che faranno la fine che hanno sempre fatto nei periodi di veri cambiamenti “strutturali”. Prima predicano l’avvento di “nuove ere”, immaginandole radiose e felici; poi, quando tutto si dimostra un po’ più fangoso, con più ganga che oro, si limitano a brontolare e criticare. La loro sorte è evidentemente segnata; segnata proprio strutturalmente.
Tuttavia, il grave dell’attuale situazione è che, lasciando pur perdere gli inutili (anzi dannosi) intellettuali sognatori e fantasiosi di cui appena detto, non riusciamo ancora a trovare la strada (strutturale) della convenienza, che possa condurre alla rivolta contro questa democrazia elettoralistica, di cui fulgido esempio – per tornare al punto da cui ero partito – è la consultazione dei lavoratori da parte di queste melmose istituzioni dello Stato che sono gli attuali sindacati (i vertici della “Triplice” ben nota, sia chiaro, non chi si arrabatta contro la totale degenerazione di quelle organizzazioni che furono, nella “preistoria”, vera espressione delle classi lavoratrici).
PS Nel mentre il PdCI almeno denuncia i brogli e il voto plurimo dei lavoratori (per il “si”) – sembra di assistere al film Il grande McGeenty di Preston Sturges del 1940 (1940!) – Bertinotti, Mussi e Ferrero (il più “sinistro” fra i “sinistri”, quello “tanto buono” con gli immigrati) sparano a zero su chi soltanto solleva il minimo dubbio sull’onestà di questi apparati di Stato (CGIL, CISL e UIL), che credo siano fra i peggiori, più putridi e costosi in Italia. Sia chiaro, comunque, che i brogli e il voto plurimo sono un “di più” rispetto alla “perversione” rappresentata dalla democrazia elettoralistica di per sé stessa. Solo il “cretinismo parlamentare”, del tutto innato e consustanziale al ceto politico delle finte “democrazie occidentali”, può portare a tanta degenerazione. Fino a quando la stragrande maggioranza dei lavoratori non capirà in quale abisso di abiezione siano caduti i suoi presunti rappresentanti (nominati a vita, come quei senatori che salvano ogni giorno il Governo), è ridicolo sentir parlare di “Classe”; non esiste proprio, nemmeno “in sé”.