Nuovo secolo americano, solita sottomissione europea
Mentre l’Ue si incarta sul Brexit, ai suoi confini le grandi potenze, insensibili alla kantiana pace perpetua, perpetuamente mostrano i muscoli per avere ragione sui nemici. L’uso della forza, in queste aree contese, è un’opzione concreta (e praticata) per modificare le sfere d’influenza, penetrare negli spazi d’instabilità e affermare il proprio predominio indiscusso.
E questo è solo un assaggio ed un passaggio dei futuri conflitti su grande scala che si avranno con l’ingresso nel più accentuato multipolarismo e poi nell’epoca policentrica.
Bruxelles viene trascinata dalla Nato in tali scenari caotici come gregaria obbediente, impotente e priva di prospettive.
L’Unione si adegua alle scelte americane accollandosi gli effetti collaterali delle azioni spregiudicate della Casa Bianca che fa i suoi interessi spacciandoli per sicurezza collettiva.
Parliamo, soprattutto, (ma non solo) della regione del Mar Nero dove le scosse geopolitiche in aumento rischiano d’innescare terremoti sparsi, aprendo pericolose linee di faglia nelle zone interne della stessa comunità europea, in cui basta una piccola scintilla per incendiare tutta la prateria. I nodi verranno al pettine con o senza il balsamo delle buone intenzioni dei nostri politicanti pacifisti con i forti e guerrafondai con i deboli.
I segnali lanciati da queste situazioni complicate aumentano quotidianamente ma i burosauri che ci governano badano solo a truccare le carte per conservare un misero potere subordinato ai diktat atlantici.
Eppure non passeranno secoli per scoprire che le isterie collettive alimentate ad arte nei paesi baltici o in quelli balcanici, dalla minaccia di un improbabile revanscismo russo, erano solo un pretesto per ingabbiare e sottomettere l’Ue da parte statunitense.
Una sezione dell’establishment tedesco sta lanciando l’allarme ma il resto della compagnia finge di non sentire o, persino, giunge a negare l’evidenza per coprire il suo padrone. Del resto, in Europa sono tutti convinti che la trazione tedesca ci porterà al Reich “miliardario” e che occorra bilanciare lo strapotere finanziario dei crucchi con la (lunga) mano militare degli yankees. Sarà la nostra rovina.
Tanto il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier che alcuni giornalisti come Theo Sommer hanno provato a mettere in discussione la russofobia preconfezionata con la quale l’Alleanza atlantica giustifica le sue provocazioni contro il Cremlino, per allargarsi ad est. Tintinnio di sciabole, dice Steinmeier, al quale i russi non possono rimanere indifferenti.
La reazione dei filo-americani all’ “insinuazione” teutonica è stata rabbiosa, tanto in patria che fuori. Agenti di Putin li hanno stigmatizzati, a maggior ragione perché i due hanno chiesto di chiudere il contenzioso con Putin accettando l’annessione della Crimea che, come ha scritto Sommer, per storia e logica strategica, appartiene da sempre ai russi.
In fondo, se i pagliacci di Kiev non fossero arrivati al punto di rinnegare il trattato per la base di Sebastopoli ora la penisola sarebbe ancora in Ucraina e quest’ultima non piangerebbe miseria grazie ai 40 miliardi di dollari promessi dai vicini per l’estensione del contratto.
Ma chi ha voluto mettere Putin all’angolo cercava proprio questa rottura (quasi) insanabile.
Adesso che il dado è tratto la violenza deve essere messa in conto e non si possono accusare i russi di averla praticata unilateralmente e irragionevolmente. Piuttosto, l’Europa dovrebbe attrezzarsi in tal senso per non essere presa in contropiede dai prossimi avvenimenti.
Gli equilibri sono stati spezzati e la crescente militarizzazione che caratterizza il Mar nero ne è la conseguenza più evidente. I focolai di scontro frontale non resteranno nemmeno confinati qui, perché la scacchiera mondiale non è a compartimenti stagni. Le azioni in un quadrante geopolitico scatenano reazioni e sbilanciamenti in un altro, in assenza di un unico centro regolatore capace di dosare i rapporti di forza reciproci. Gli scenari, dunque, s’intersecano accendendo dispute differenziate in ogni angolo del pianeta. Di fatti, le grane si moltiplicano ovunque e vorticosamente sotto gli occhi disorientati dei propugnatori della stabilità e della pace ad ogni costo e a poco prezzo: Medio-Oriente, Mediterraneo, Caucaso e altri teatri, anche infra-europei, che qualcuno credeva definitivamente stabilizzati dopo le guerre fratricide del recente passato. Non è ancora la terza guerra mondiale (e non è detto che ci si arrivi) ma l’aumento della conflittualità per l’egemonia globale e regionale è visibile a chiunque abbia occhi per vedere. Non ci si illuda, pertanto, di poter risolvere le dispute internazionali con la sola diplomazia perché il clima è cambiato. Gli Stati Uniti sono ancora i più temuti ma non hanno più l’energia sufficiente per essere “eccezionali” e risolvere le cose a modo loro. A causa di ciò la Storia è tornata ad essere ribollente e a secernere contrasti diffusi che non trovano camere di compensazione come certi organismi sovranazionali ormai anacronistici (vedi l’ONU o l’OSCE)
Come affermano gli studiosi del RIA (Russian International affairs council): “La crisi ucraina ha messo in evidenza la dimensione strategica del ‘vicinato condiviso’ (Moldavia, Ucraina, Armenia e Georgia) per l’UE e la NATO, da un lato, e per la Federazione russa, dall’altro… In risposta alla crisi ucraina, Romania, Polonia, Lituania e Lettonia hanno già annunciato l’intenzione di aumentare il loro budget per la difesa”. Gli Usa, che temono di perdere la supremazia mondiale, insidiati soprattutto da Mosca, si riversano in Europa per respingere il nemico russo e spegnere le sue aspettative di recupero egemonico. Essi temono che russi ed europei possano stringere patti alle loro spalle per ricacciarli sulla loro sponda dell’Atlantico. Sarebbe il canto del cigno del loro destino manifesto. Ma imbrigliando l’Europa, inimicandole la Russia ed estendendo la presenza militare della Nato ai suoi margini orientali contano di riorganizzarsi per evitarlo. Il new american century corrisponderà ad un secolo di tragica sottomissione europea.