ODESSA ATTENDE LA SUA VENDETTA
Dopo Odessa nulla sarà come prima. Un massacro pianificato e realizzato scientificamente dai terroristi di Kiev (perché i terroristi stanno al governo e non altrove) segna il punto di non ritorno di una guerra civile che non sarebbe mai cominciata senza i dollari americani, il supporto strategico della Cia e quello delle alte sfere militari statunitensi. Le visite di rappresentanti istituzionali prima degli assalti nel sud-est, dal capo della Cia Brennan al vice-Presidente Biden, sono l’emblema dell’escalation, pretesa e guidata da Washington.
Basterebbe seguire l’odore dei soldi per dipanare tutta la matassa Ucraina e portare i colpevoli alla sbarra, di fronte ad un tribunale internazionale per crimini contro l’umanità, se non fosse che ormai l’afrore acido della carne bruciata rende del tutto inutile tale operazione, almeno sotto il profilo della compensazione del rancore che reclama un diverso tributo.
Qualcuno ha voluto alzare il livello dello scontro e ora dovrà pagarne le conseguenze. Ci saranno ancora violenze, ma non tutte le violenze sono uguali. La vendetta porterà a quella purificazione dall’odio che nessuna sentenza sarebbe mai in grado di garantire a chi ha subito lutti e umiliazioni. Del resto, gli pseudonazisti che hanno perpetrato l’eccidio di Odessa conoscono soltanto la lingua del terrore. Nella Casa del sindacato, dove si è svolta la rappresaglia, Pravy Sektor non ha semplicemente ucciso ma ha violentato le donne, vilipeso i cadaveri, bruciato le prove.
Non sarà il diritto a chiudere questa partita perché tutti quei morti chiamano i parenti e gli amici alla rivalsa che non tarderà a manifestarsi. Vorrei augurarmi il contrario ma immagino che le cose andranno così. La brutalità di Odessa è un refrain, un film già visto su altri scenari più lontani dietro ai quali, guarda caso, ci sono sempre gli americani.
Questa volta però anche l’Ue è stata parte attivissima, sin dai primi momenti, dell’esasperazione dello scontro. Fior di rappresentati europei facevano la spola tra Bruxelles e Kiev per dimostrare al popolo ucraino di essere pronti ad accoglierlo nella famiglia europea. Promettevano alla piazza, sotto un vergognoso sventolio di bandiere naziste e simbologia celtica, che solo un cieco non avrebbe notato, di voler condividere con essa ricchezza e democrazia.
Finora sono riusciti a darle un piano lacrime e sangue del FMI e una guerra fratricida con centinaia e centinaia di cadaveri. Chi ha sostenuto quel gioco sporco di giuramenti fasulli si è reso indirettamente complice di assassini e criminali. Li ha spinti ad una risolutezza che già non mancava alla frange più estreme di majdan, ha legittimato i carnefici alla “soluzione finale” del problema russo, assicurando loro l’impunità e una terra promessa di libertà nel grembo della Nato che era un miraggio, non la realtà.
Odessa è il risultato di queste dinamiche prevedibili che nessuno ha voluto evitare. Quasi trecento morti dicono gli odessini, nonostante la polizia stia provando ad occultare i corpi ed eliminare gli indizi. I responsabili di questo massacro sono a piedi libero e la Junta di Kiev sta impedendo indagini indipendenti perché dietro l’eccidio ci sono i suoi ordini. Nessuna trattativa tra le parti potrà essere possibile finché lo Stato Ucraino sarà in mano ai serial killer di Svoboda o di Batkivshchina. Lo ha detto anche Sergei Tigipko, membro del Partito delle Regioni, il quale ha chiesto nella Rada le dimissioni dell’esecutivo sotto il quale è avvenuta la mattanza.
La storia è sì magistra vitae, ma quasi sempre inascoltata. Ed ecco che qualcuno continua ancora a soffiare sul rogo di Odessa, reclamando ancora più distruzione. Il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti ha rilasciato una dichiarazione orribile che non rispetta i morti della casa del sindacato e nemmeno il sangue versato nel Donbass: ‘Kiev ha mostrato “grande moderazione”, sullo sfondo degli eventi in Ucraina orientale’, ha chiosato Washington. Senza parole. Le pecore nere di Kiev non potevano che essere state partorite da un montone ancor più immondo.
Fin qui la parte più emotiva che non ci direbbe nulla di veramente comprensibile su quello che sta avvenendo ad Est senza un’analisi più stringente della situazione geopolitica, benchè appena abbozzata. Il taglio razionale degli eventi ci suggerisce che gli Usa stanno mettendo in pratica una nuova strategia di accerchiamento delle potenze, con aspirazioni globali, nelle quali prevedono stia nascendola sfida concreta al mantenimento delle sue sfere egemoniche nella presente conformazione. Questa dichiarazione di guerra, perché di questo si tratta, degli Usa alla Russia mira a prevenire, o almeno rallentare, l’avvento di un mondo policentrico.
La Russia, in questo senso, non può rinunciare ai suoi sbocchi sul mare. Odessa rientra tra questi. E’ il suo punto di osservazione sull’Occidente, sul Mediterraneo e sul teatro africano, in una fase di massima allerta per gli equilibri in tali aree. Privata di questo avamposto Mosca diventerebbe una potenza regionale quasi orba, tagliata dal mediterraneo, snodo di palcoscenici multipli, con un campo visivo e d’azione molto più angusto. E’ vero che c’è la Crimea e la base di Sebastopoli ma se gli Usa installassero una loro postazione ad Odessa la prima sarebbe neutralizzata. Proprio come in Siria, dove i russi annoverano le basi di Tartus e Lakatia e si ritrovano ostacolati dal conflitto scatenato dagli Usa contro Assad.
Che farà allora il Cremlino? Sicuramente reagirà anche se non possiamo prevederne modi e tempi, ma lo farà per non vedere vanificati i suoi obiettivi vitali di risalita geopolitica. La sua strategia dolce o gentile, come l’ha definita il nuovo procuratore della Crimea, nonostante le continue istigazioni della Nato, assomiglia a quell’area centrale di calma, detta in termine tecnico occhio, intorno alla quale si creano pian piano i venti che si trasformano in tifoni. E i tifoni prima o poi si abbattono prendendo delle direzioni. Staremo a vedere con quale forza e fin dove si spingeranno.