PACIFISTI E GUERRAFONDAI di G.P.
La vicenda del militare italiano morto in Afghanistan riapre una questione annosa, quella della presenza dei nostri contingenti nelle zone calde dei conflitti internazionali. Qualsiasi valutazione sugli eventi di questa fase dovrebbe partire da un dato di fatto inequivocabile: il nostro paese va a traino di aggressioni imperiali che sono parte di una strategia militare complessiva, a guida Usa, per il controllo delle aree strategiche del globo.
Il problema, dunque, non è morale, perché la guerra è sempre “cattiva” e solo pochi pazzi potrebbero affermare il contrario. E’ devastante per i popoli che la subiscono, e tra questi, lo è ancor di più per le classi subalterne che ne pagano il prezzo più alto. Ma la guerra è anche un affare per molti soggetti. E non stiamo parlando delle solite industrie di armamenti e delle lobbies militari.
La guerra può diventare merce di scambio anche per movimenti ed organizzazioni che predicano il pacifismo a parole salvo ammansirsi quando giungono i finanziamenti governativi per le iniziative a sostegno dei civili. In questa asserzione c’è tutto lo scoloramento delle bandiere arcobaleno e di quell’universo di sigle che dietro i drappi variopinti confonde gli “alti” scopi di riconciliazione del mondo con gli interessi di bottega.
Non vogliamo fare nomi ma tutti sanno, più o meno, che questi gruppi prendono soldi dai governi per cui, a parte le convocazioni rituali di piazza con le quali si garantisce la catarsi identitaria ai pochi allocchi che ci credono, difficilmente scelgono la strada della contrapposizione frontale con il potere esecutivo.
Il controsenso aumenta se al governo siedono moralizzatori di sinistra da sempre “vicini” ai problemi dei popoli vessati dalla guerra. Questi stessi pacifisti soccorsero D’Alema quando gli fu ordinato di bombardare
In questo momento così delicato i pacifisti sono addirittura spariti, si sente, di tanto in tanto, qualche dichiarazione “con molti se e molti ma”, tutto il contrario dell’ardore con il quale si contestavano le scelte guerrafondaie del governo Berlusconi. Nel programma dell’Unione, quello con il quale si chiese il voto agli elettori, era stato scritto che, per il futuro, il governo di centro-sinistra avrebbe lavorato al fine rafforzare il ruolo degli organismi internazionali (questi non sono mai stati così deboli e inutili quanto oggi). Oltre a ciò veniva caldeggiato il rientro dall’Irak. Già in questo episodio Prodi & c., nonostante gli annunci su un ritiro immediato, non si distanziarono affatto da Berlusconi e attesero la data fissata da costui per il rientro delle nostre truppe. Beffa delle beffe, il giorno dopo sentimmo i cespugli della coalizione e i soliti pacifisti ad intermittenza che si prendevano il merito di questa scelta “coraggiosa”.
Dell’Afghanistan, scenario molto più complicato, nel programma elettorale non veniva fatta parola ma la tendenza di fondo, dato il continuo civettare tra gruppi pacifisti e partiti di governo, lasciava presagire, perlomeno, che non ci sarebbero stati altri rifinanziamenti. Ed invece il parlamento, nel marzo e nell’agosto del 2007, approvò il rifinaziamento per ben due volte con gli pseudopacifisti di sinistra che si stracciarono le vesti e la coscienza perchè non potevano far tornare Berlusconi per alcune divergenze riguardanti la politica estera.
Oggi apprendiamo che i nostri uomini laggiù sono aumentati di 300 unità, in totale 2160 soldati (ai quali vanno aggiunti 25 uomini della missione Eupol e 105 di Active Endeavour).
L’attacco dell’altro ieri, quello che ha causato la morte del maresciallo Daniele Paldini, dimostra quanto il contingente italiano sia ormai percepito dai taleban per quello che realmente è, un esercito di sostegno all’aggressore americano. Motivo per il quale la frottola sulla forza d’interposizione a tutela dei civili non regge più in Afghanistan e non terrà a lungo nemmeno negli altri scenari dove è impegnato l’esercito italiano.
Il tragico evento non ci ha risparmiato il solito balletto delle dichiarazioni dei nani della politica e dei giornalisti di regime che coprono con il “patriottardismo” più becero l’accattonaggio verso il paese dominante. Ma lo spirito della Patria (quella con
Ovviamente, non posso che dirmi umanamente dispiaciuto per la fine atroce di un uomo ma non ho nessuna intenzione di associarmi al coro unanime di chi nasconde le proprie responsabilità dietro le solite affermazioni di circostanza. Le false manifestazioni di cordoglio, proferite a iosa in momenti come questo, dimostrano quanto il patriottismo dei nostri politicanti sia misero e straccione. Per loro il limite che distingue un eroe da un terrorista è tutto nella sua appartenenza al mondo civilizzato occidentale, chi non ne fa parte non può riceverne onore o compassione.
Nel frattempo anche Bertinotti e il suo partito si sono smarcati dalla richieste di ritiro immediato. Le ultime manifestazioni delle sinistra sedicente radicale per porre fine alla missione afghana risalgono alla primavera scorsa, dopodichè superiori interessi di governo (e di cadrega) hanno imposto maggiore cautela ai rimasugli comunisti(quelli che con lo pseudopacifismo dichiarato e mai perseguito avevano raccolto un bel po’ di voti). Oggi risulta che ci sono circa 7714 militari italiani sparsi sullo scacchiere internazionale. Solo nella missione UNIFIL in Libano ne sono impegnati circa 2450, altri 2255 sono stanziati nei Balcani.
Due guerre direttamente volute dagli Usa e una condotta dagli israeliani conto terzi, quale eroismo potrà mai venir fuori da tutto ciò?