Parthenope

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Ho visto Parthenope, il film di Sorrentino. Mi sono appena svegliato. Per carità, nulla a che vedere con quella letargia lunga e profonda che induce il cinema contemporaneo nazionale ma un sonno diverso, molto più soffice e delicato. Parthenope è un film da non vedere già pisciati e cacati (contrariamente a quanto risponde il professore Universitario, interpretato da Silvio Orlando, allo studente che prima dell’esame chiede di poter andare in bagno) in modo da potersi alzare per andare a fare qualcosa di utile tra una scena e l’altra, potendone cogliere l’interruzione nel flusso di immagini che scorrono senza un filo conduttore. Di cosa parla Parthenope? La pellicola è una allegoria allegorica, una metafora metaforica. Simbolizza il simbolismo dunque ognuno può vederci quello che vuole o non vuole almeno finché resta con gli occhi aperti o riesce a non distrarsi. Persino la colonna sonora appare del tutto fuori luogo rispetto alle scene che si svolgono senza accadere. Non succede quasi niente eppure tutto va a parare da qualche parte anche se non si sa dove. Mi metto nei panni degli stranieri che lo vedranno sottotitolato, magari in polacco. Non sarà all’altezza del film cecoslovacco con sottotitoli in tedesco, proposto dal Professor Guidobaldo Maria Riccardelli, ma se qualcuno lo considererà una cagata pazzesca almeno avrà fatto giustizia dell’ingiustizia riservata al maestro Eisenstein. Ovviamente, colpa mia che non ho quel livello di sensibilità giusta per capire certe opere, dove l’alto della terrazza sul mare incontra i vicoli sudici dei quartieri bassi, quelli della “borghesia più ignorante d’Europa e del popolo più analfabeta” per citare un vero capolavoro.
La protagonista mi è però venuta subito sul gozzo dopo che ha liquidato Althusser, durante l’esame universitario, come pensatore determinista e strutturalista. Ci mancava che gli attribuisse pure la degenerazione sociale della cultura patriarcale per aver ammazzato la moglie. Parthenope zoccolleggia allegramente e tristemente, somatizza piacere e dolore invertendo le emozioni e soprattutto mantenendo sempre la stessa espressione su cui si affaccia costantemente un leggero sorrisetto ebete. Piange pure ma quando lo fa è ormai difficile crederle. Finge di darsi a tutti senza concedersi veramente a nessuno finché non si lascia masturbare da un cardinale non per un motivo preciso ma “per tutto il resto”. Sicuramente è anche questa una figurazione di qualcos’altro ma figuratevi se possa arrivarci io che tutto sommato sono strano in maniera normale.
Nella storia capita qualche tragedia, come del resto anche nella vita reale e pure di più che nella finzione, solo che nella realtà non parte la canzone di Cocciante “era già tutto previsto” messa lì un po’ a caso come “tutto il resto”
Alla fine il film finisce e ti chiedi cosa ti ha lasciato? La domanda è sbagliata. Il film si è preso più di due ore e come dice anche Parthenope o è un colpo di genio o è una truffa. Forse è tutta fuffa. Ma anche la fuffa è importante, come le radici dell’altro film.

gp

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“Parthenope, sperpera e rende nauseanti i troppi mezzi usati, le stilizzazioni ossessive, l’estetismo
esasperato, le varie astuzie che finiscono per annoiare invece che colpire e sorprendere. Insomma, un’orgia di quelle che vengono offerte come foto bellissime, memorabili, ipnotiche. Ma fotografia e scenografie non bastano a fare un film. L’autore accumula, ammucchia le sue trovate. Invece di far recitare gli attori (per lo
più mediocri), li fa mettere ripetutamente in posa. In sostanza, il regista stesso è in posa, nella posa di superesteta provocante. Qua e là un personaggio o l’altro se ne esce a vuoto con
una bella frase da ricordare: ma non
la si ricorda, perché dietro le frasi
non ci sono situazioni teatrali e narrative. In mancanza di vera inventiva,
il regista a ogni inquadratura s’inven –
ta qualche colpaccio a sorpresa. Erotismi e sesso naturalmente abbondano, si sprecano. La protagonista, dinome Parthenope, è e non è bella. Lo è a volte come oggetto fotografabile,
ma non lo è in quanto donna e personaggio”. Alfonso Berardinelli (Roma, 11 luglio 1943) è un critico letterario, saggista e italianista italiano, collaboratore di vari quotidiani italiani