Patto di servitù

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Hanno una gran voglia di menare le mani, a parole, i nostri piccoli pistoleri della Nato che scrivono sui giornali o cianciano in parlamento. Sono pronti a sacrificarsi per l’Ucraina perché se Kiev cede finisce il mondo. Sarebbe invece per noi un lieto fine e un buon inizio questa strage di servi e di cialtroni che abusano della lingua per leccare e della penna per accecare. L’Italia risorgerebbe sull’assenza di idioti. Ovviamente, questi piccoli dottor Stranamore vogliono la pugna e con essa l’esonero per loro stessi e i loro figli impegnati negli Erasmus o nei master d’oltreoceano. Ce li vedreste in prima linea o in trincea con i loro Harvard Ph.D? Ma in fondo chi sarebbe contento di fare la guerra e di morire sotto false bandiere e miseri ideali che non scaldano il cuore nemmeno ai maiali? Quale Generale guiderebbe le proprie truppe al massacro dietro insegne arcobaleno a difesa del linguaggio di genere e del politicamente corretto? Non è meglio la barbarie del nemico? Chi si immolerebbe per le Patrie ecologiste e le nazioni ztl? Hanno rammolito tutto e tutti e ora reclamano la battaglia fino all’ultimo sangue offrendo un roseo futuro di auto elettriche e di zero emission a cavalieri a km0. Con questi valori hanno ridotto i popoli in poltiglia ma ora lorsignori invocano la carne da cannone perché le grigliate ucraine sono terminate.
Scelgo a caso dalle dichiarazioni di un giornalista piuttosto famoso: “Si vis pace, para bellum: se vuoi la pace prepara la guerra dicevano i romani. Anche se ne siamo gli eredi non abbiamo ancora capito l’efficacia di questa filosofia. Se vuoi evitare che Putin faccia cazzate devi contrapporgli una deterrenza efficace. Anche l’idea di Macron. La questione non riguarda l’Italia o la Francia, non è quella la dimensione del conflitto, ma la Nato. E di certo non puoi abbandonare l’Ucraina: verrebbe meno appunto lo stesso ruolo della Nato”.
Non so se vi è chiara non la dimensione del conflitto ma quella della sciocchezza pronunciata da costui. Dopo aver addestrato i soldati ucraini e inviato armi a Zelensky, ora non si esclude l’invio diretto delle truppe Nato. Ma proprio per la dimensione del conflitto non sono stati mandati subito soldati occidentali (e ancora non lo si farà), peraltro già presenti come mercenari o mascherati, aspetto che avrebbe anche fatto risparmiare mezzi, proiettili e ordigni all’Alleanza ma non il rischio di uno scenario peggiore derivante da un coinvolgimento aperto.
Nemmeno i domestici sono più quelli di una volta, così maldestri non servono a nessuno, nemmeno a chi li paga. Di loro resterà un grido di guerra, senza guerra.


Le dittature godono di maggiore appoggio popolare rispetto alle democrazie, soprattutto se eterodirette dall’esterno come quella italiana. Dovremmo augurarci di entrare in una nuova epoca seriamente autoritaria per riavere indietro la nostra autonomia. Quelle che in Occidente chiamano dittature si fondano su un largo consenso sociale, esattamente quello che manca alle democrazie in cui ormai vota la metà degli aventi diritto. La narrazione non muta pertanto la realtà, dove dominano a parole libertà e democrazia lì c’è assenza di una e dell’altra. Anzi, libertà e democrazia sono l’involucro del peggiore dispotismo che impedisce alle persone di esprimersi e partecipare ai destini del proprio Paese se non in forme elettorali passive e inconcludenti. Solo le false élite sostengono queste ultime mentre le nuove, se emergeranno, dovranno presentarsi in antitesi a tale ritualità mortificante e ingannatoria.

IL TRATTATO SEGRETO CHE GLI USA NON VOGLIONO PUBBLICARE
di Giuseppe DE RUVO
Nel 1954 l’Italia firmava un accordo con gli Stati Uniti, noto come Bia (Bilateral Infra- structural Agreement). Il testo è ancora classificato ma, a quanto si apprende da diverse fu- ghe di notizie, disciplinava, e disciplina ancora oggi, le «procedure organizzative per l’appli- cazione pratica dei programmi infrastrutturali bilaterali» 1 e «la presenza militare americana nelle infrastrutture italiane» 2, con particolare riferimento alle basi di Vicenza, Napoli, Gaeta e Sigonella 3. L’articolo portante del trattato, stando agli Usa 4, è il secondo. Esso sancisce che gli Stati Uniti «si impegnano a usare le infrastrutture oggetto dell’accordo sulla base dello spirito e del quadro della collaborazione atlantica. Il governo americano si impegna a utiliz- zare le installazioni in oggetto solo per portare avanti le sue responsabilità atlantiche e, in ogni caso, si impegna a non usarle per scopi di guerra, a meno che essi non dipendano da disposizioni Nato o siano stati concordati con il governo italiano» 5 (corsivo nostro).
Come sempre, il diavolo sta nei dettagli. Come emerge da alcuni documenti trafugati da WikiLeaks, nel giugno 2008 Washington ha infatti risposto negativamente alla proposta di Roma di desecretare il Bia. Il motivo è semplice: gli Stati Uniti hanno sempre interpreta- to il linguaggio dell’articolo 2 in termini piuttosto laschi 6, ritenendo che, previo accordo col governo italiano, essi potessero utilizzare le infrastrutture e le forze speciali presenti nel nostro paese per compiere operazioni militari fuori dagli schemi Nato.
Roma non si è mai opposta a questa pratica. Anzi, quando nel 2004 gli americani
chiesero all’Italia di riformare il trattato proprio per regolare tali operazioni, gli interlocuto-
ri italiani si rifiutarono 7. Essi temevano che un dibattito politico avrebbe reso inaccettabile una tale interpretazione dell’articolo che, effettivamente, suonava come una «rinuncia alla sovranità nazionale» 8. Dunque, ragionavano gli italiani, meglio non intervenire sul trattato, che già offriva sufficienti garanzie agli Usa. Tradotto: l’uso a scopi bellici (fuori dagli sche- mi Nato) di Forze armate americane e infrastrutture presenti sul nostro territorio non deve essere regolamentato da un trattato o, peggio, negoziato politicamente. Meglio l’informali- tà e la segretezza: «L’Italia potrebbe trovare un modo per adattarsi alle necessità americane di rapidità di risposta sotto il presente accordo» 9.
È per questo che nel 2008 gli Usa si sono opposti alla desecretazione del Bia. Essi te- mevano che la sua pubblicazione potesse generare rigurgiti anti-americani, i quali avrebbero potuto portare Roma a chiedere alla controparte statunitense di specificare meglio l’articolo 2, magari limitando lo spazio d’azione delle Forze armate americane alle sole operazioni Nato 10. Secondo gli ufficiali americani, infatti, «se il linguaggio (dell’articolo 2, n.d.r.) fosse stato reso pubblico, i partiti politici che si oppongono alla presenza americana in Italia e all’impegno statunitense all’estero potrebbero pressare il governo italiano affinché interpreti l’articolo 2 in maniera più restrittiva, rendendo obbligatorie per gli Usa delle lunghe negozia- zioni formali per portare avanti operazioni non Nato» 11. Inoltre, se gli italiani leggessero il Bia potrebbero interpretarlo come una limitazione troppo evidente della loro sovranità naziona- le 12. In sintesi: siamo stati noi, nel 2004, a fornire agli Usa gli argomenti attraverso i quali essi hanno poi rifiutato la pubblicazione del trattato.
Entriamo ancora più nel dettaglio. Con l’accordo Shell del 1995 Roma e Washington hanno istituito una commissione militare congiunta che si occupa esattamente di coordina- re quelle operazioni militari che impegnano uomini e infrastrutture disciplinate dal Bia 13. È in questa sede che Italia e Usa negoziano (eufemismo) cosa le truppe americane posso- no e non possono fare. Secondo gli americani, la commissione funziona molto bene, an- che perché gli italiani si sono sempre dimostrati «estremamente accondiscendenti» 14. In particolare, gli Usa affermano che le forze speciali e le infrastrutture presenti nella Peniso- la sono servite per supportare la Sesta Flotta durante operazioni in Africa e nel Mar Nero 15.
Il Bia, ovviamente, è ancora in vigore. Così come è in vigore l’accordo Shell. Esiste dunque una commissione militare congiunta che si occupa di organizzare le operazioni militari americane e di negoziarle informalmente. E, come si è visto, il Bia regola forze e infrastrutture (almeno) nelle basi di Sigonella, Napoli, Gaeta e Vicenza. Di conseguenza, se gli Usa vogliono organizzare un’operazione militare fuori dagli schemi Nato utilizzando truppe o infrastrutture presenti nel nostro paese, essi devono passare dalla commissione congiunta. L’Italia, insomma, deve essere quantomeno informata.
Questo dettaglio, in una fase particolarmente convulsa come l’attuale, è di fondamen- tale importanza. E il motivo può essere chiarito da un semplice esempio . Come è noto, nell’aprile 2022 l’esercito ucraino è riuscito ad affondare la nave ammiraglia russa Moskva. Secondo un’indiscrezione raccolta dal Times, tale operazione è stata resa possibile dalle informazioni raccolte da un drone americano, che avrebbe fornito a Kiev dati estremamen- te precisi sulla posizione della nave nemica. Drone che sarebbe partito proprio dalla base di Sigonella 16. Se le cose stanno così, dobbiamo presumere che la commissione militare congiunta italo-americana fosse a conoscenza della partenza da Sigonella del drone statu- nitense. Peraltro, gli Stati Uniti hanno tradizionalmente utilizzato le infrastrutture e le forze presenti in territorio italiano per operazioni nel Mar Nero 17, e il Moskva è stato affondato proprio al largo di Odessa. Insomma, se le procedure del Bia sono state seguite corretta- mente, l’Italia avrebbe contribuito all’affondamento della nave ammiraglia russa. Natural- mente non vi è certezza al riguardo. Forse però possiamo capire meglio perché Mosca ci definisce «paese nemico».