Perché qualcosa sta accadendo qui.
Perché qualcosa sta accadendo qui. E lei non sa che cosa. Non è vero Mr. Jones?
O del “crollismo”
di P. Pagliani
1. In concomitanza con la crisi vengono riproposte oggi le cosiddette “teorie del crollo”.
Si possono leggere per ogni dove titoli (di sinistra) come “L’Apocalisse del capitalismo”, “Il crollo del capitalismo” o “La catastrofe si avvicina”.
Joseph Ratzinger, più profetico, già nel 1985 aveva scritto un saggio che prevedeva, oltre al crollo del comunismo, anche quello del capitalismo liberista (e moltissimi di questi “crollismi” si riferiscono di fatto a questo “tipo” di capitalismo, identificandolo quasi sempre col capitalismo tout-court, incuranti che il liberismo abbia occupato nella storia del capitalismo finora conosciuto lassi di tempo relativamente brevi e mai in forma pura[1]).
2. A suo tempo Engels era convinto che il capitalismo fosse agli sgoccioli, e la sua sintesi teorica del marxismo che univa le leggi (dialettiche) della sfera naturale e della sfera umana, descriveva, per l’appunto, proprio un percorso ineluttabile nella sua materiale naturalità verso il crollo e il superamento del capitalismo. Ma a parte specifiche considerazioni critiche di carattere filosofico, Engels era a quei tempi testimone di una lunghissima crisi, la Grande Depressione (1873-1896) che sembrava confermare palmarmente ipotesi escatologiche come quella della caduta tendenziale del saggio di profitto. E tuttavia la Grande Depressione non era destinata ad essere il momento finale del capitalismo, che non crollò nemmeno per il sottoconsumo, come presumeva Rosa Luxemburg, ma sfociò nel rilancio finanziario e imperialistico della Belle Époque, che a sua volta non era la “fase suprema del capitalismo”. Incidentalmente, “fase suprema” non significava necessariamente “fase finale”, anche se Lenin giocava politicamente sull’affinità semantica dei due termini, dato che una fase suprema potrebbe anche essere un “ultimo stadio” permanente. Paradossalmente, Lenin riuscì a fare la rivoluzione proprio perché mise tra parentesi – con una sorta di “epoché” fenomenologico-rivoluzionaria – il supposto decorso naturalmente fatale del capitalismo, facendo entrare nel quadro la soggettività del Partito, rappresentante di quella coscienza, quel “per sé”, proletaria che secondo l’ortodossia marxista allora vigente avrebbe dovuto dischiudersi come una crisalide grazie a processi storico-naturali.
3. Per certi versi l’ipotesi della caduta – per via rivoluzionaria, s’intende – di un capitalismo ormai gravato dal peso delle sue contraddizioni interne, concludeva il ciclo filosofico e politico soggettivo di Engels, iniziato con le rivoluzioni del 1848.
Se ciò imprimeva al successivo marxismo storico il marchio dell’epica e della tragedia filosofiche e politiche, ai nostri giorni, sotto il segno della farsa, canuti intellettuali e politici di sinistra e loro nuovi adepti si immaginano la chiusura del cerchio pseudo-rivoluzionario iniziato col 1968, grazie a supposte “incurabili” crepe del sistema, conclamatesi urbi et orbi quarant’anni dopo.
Non che la situazione non sia grave (lo è e ancor più lo sarà, per miliardi di persone). Il fatto è che non è seria, come avrebbe detto Ennio Flaiano. Ovvero, non è affrontata in modo serio. La poca serietà si vede innanzitutto in un fenomeno paradossale. Mentre soli pochi anni fa il cosiddetto movimento “no-global” con centinaia e centinaia di migliaia di partecipanti contestava nelle piazze l’imperialismo statunitense all’attacco col suo codazzo dei G8, oggi che questo attacco segna il passo, oggi che registra serie difficoltà, sembra che ogni critica antimperialistica (o più precisamente, contro un mondo monocentrato) si sia affievolita. La strage di Gaza di questi giorni pare non riuscire a trovare una più qualificata attenzione politica e analitica nella sinistra di quanta ne abbia ricevuta la “rivolta tibetana” o quella dei monaci birmani, nel senso che al di là di una istintiva mobilitazione che grazie al cielo sembra in crescita, tranne poche lodevoli eccezioni non si è ancora in grado di inserire questo criminale evento – o non lo si vuole inserire – in un quadro antimperialistico e geopolitico decentemente coerente. Una incapacità-nolontà di distinguere tra massacri sub-imperialistici e scontri pianificati e fagocitati da agenzie di intelligence come la Freedom House di Washington o la Soros Foundation e di posizionarli adeguatamente tra le scosse che caratterizzano le spinte telluriche che stanno ridefinendo gli assetti planetari.
Di fronte all’incrinarsi del sistema a dominanza-egemonia USA e al delinearsi all’orizzonte in modo sempre più preciso dei suoi competiror, Russia e Cina in primo luogo, il “movimento” o tace o viene preso da sacri furori “internazionalisti” così che, per fare un esempio, il documento di convocazione della manifestazione dell’11 ottobre scorso, salutata come il “rilancio della sinistra di classe e antagonista”, si sentiva in dovere di denunciare l’imperialismo USA ma anche la “sindrome di grande potenza che sta impossessandosi della Russia di Putin” (sic!). Una posizione addirittura incomprensibile dopo l’attacco simil-genocida della Georgia all’Ossetia del Sud di due mesi prima, che invece di suscitare una levata di scudi contro l’ennesima mossa criminale dell’imperialismo USA, ha dimostrato invece fino a che punto si possano disarmare le coscienze e le capacità di analisi.
4. Evidentemente all’ombra della NATO non vivevano solo gli interessi economici, finanziari, politici e ideologici dei ceti dominanti. Prendevano corpo anche le pulsioni comunisteggianti, socialisteggianti e moralistiche di chi, in buona fede oppure opportunisticamente, voleva dar voce ai diritti dei dominati o diceva di volerlo fare. E su quell’ombra disegnava forma e contenuti, virandoli in negativo attraverso collaudati, ancorché poco efficaci, schemi interpretativi.
Ma ora il ristagno della marea montante statunitense sta iniziando a far emergere i profili di nuove terre, con grande sgomento dei cartografi di sinistra. Di fronte a domini della conoscenza con su scritto "Hic sunt leones", si volta la testa dall’altra parte per non perdere rassicuranti certezze teoriche, esistenziali e identitarie, oppure – ciò che è lo stesso – si applicano storici modelli astratti (o più che altro la loro vulgata) a determinazioni concrete nuove e ancora tutte da esplorare, col rischio di esportare teoria non meno che democrazia. Col rischio serio, cioè, di rallentare se non proprio impedire il deflusso della marea statunitense, volenti o nolenti, consapevolmente o inconsapevolmente (a questo, ad esempio, serve il culto trascendentale dei “Diritti Umani”, bellissimi in teoria ma il cui utilizzo concreto maggiore, essendo astratti, è stato finora quello di transponder per bombardieri).
5. Da una parte penso che la stragrande maggioranza di chi scendeva in piazza contro la cosiddetta globalizzazione fosse in buona fede. Ammesso che questo sia un pregio e ammesso che questa maggioranza fosse mossa da una hegeliana coscienza infelice e non dal “demone meridiano”, dalla malinconia a causa della quale, come diceva Alberto Magno, chi ne è preda “multa phantasmata inveniunt”. Dall’altra parte – e proprio per questo – non posso che sottolineare le carenze, la pigrizia mentale e l’inerzia di chi per ruolo, posizione e capacità aveva la possibilità di elaborare nuove idee e nuove prospettive. Certo, ciò non è avvenuto per questi difetti del ceto politico ed intellettuale di sinistra, ma anche troppo spesso per disonestà intellettuale, per difendere una nuova “ortodossia dei fini”, come già fece, all’inizio del Novecento, Kautsky (che ad ogni modo era sì un rinnegato, ma cento volte meglio dei liquefatti leader e intellettuali della sinistra oggi in servizio).
Oh sicuro, sarebbe stato più comodo che un Impero acefalo si fosse diffuso nel mondo, come vaneggiato da Toni Negri. Si avrebbe avuta la saldatura teleologica tra “ortodossia dei fini” e “moltitudini desideranti”. Non sarebbero apparse nuove terre: tutte livellate, sommerse dalla marea. Non sarebbero nati nuovi problemi. E io non avrei dovuto lasciare i miei studi di Logica Matematica, che mi divertono di più e che mi danno molte più soddisfazioni, anche perché ci capisco di più e faccio meno fatica.
Un dovere morale? Un dovere intellettuale?
Chi lo sa. Più probabilmente non mi va di sentirmi dire: “Perché qualcosa sta accadendo qui. E lei non sa che cosa. Non è vero Mr. Jones?”
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1. Pare che il ministro Tremonti abbia collaborato con papa Benedetto XVI alla stesura della prossima enciclica. Così Tremonti, tra una citazione di Marx e una della dottrina sociale della chiesa, “si porta a spasso per il paese l’amore sacro e l’amor profano”.