PERPLESSITA’, DETTO GENTILMENTE; di GLG

gianfranco

 

L’articolo di Stratfor sulla primavera araba suscita in effetti alcune perplessità che si addensano fin da subito, fin dal primo suo capoverso. Secondo i canoni con cui viene definita la “democrazia” dei nostri paesi “occidentali” – canoni che riteniamo falsi e puramente ideologici nel senso peggiorativo di tale termine (che ha anche un significato più nobile) – l’unico paese, tra quelli devastati dalla “primavera araba”, da poter essere considerato in mano ad un dittatore, ad un tiranno, era la Libia. Mai gli Usa e gli altri paesi della nostra area ci hanno raccontato, ad esempio, che in Tunisia e, soprattutto, in Egitto vi erano “regimi tirannici” e che un Mubarak era un mero dittatore. Se lo sono tenuto per decenni (e prima di loro anche i precedenti), lo hanno presentato come il contraltare “democratico” dei vari Saddam, Assad, Ahmadinejad, Gheddafi appunto, ecc. In Hamas non è indicato un qualche dittatore, ma lo si accusa d’essere un movimento fondamentalista, nemico della democrazia e dei “valori di libertà”, ecc. Adesso, scopriamo che i vari movimenti – spesso ben controllati dai militari – nati in quei paesi nella primavera del 2011 chiedevano libertà dalle tirannidi e dai dittatori. La coerenza non sembra il punto forte di certi ideologi.

Ancora più sorprendente l’affermazione che Usa e Israele c’entrano poco in questi movimenti. Non so Israele, ma gli Stati Uniti sono contati molto, fin troppo. I militari egiziani, e anche tunisini, non si sono certo mossi in contrasto con gli ambienti politici e militari statunitensi. Quanto alla Libia, la marina americana ha lanciato un pesante attacco con svariate decine (oltre cento) missili quale “preparazione” dell’aggressione Nato. E pensare tale organismo militare come attivo nel sostanziale disinteresse americano fa sorridere (e anche un po’ incazzare). Francia e Inghilterra (e altri “seguaci” fra cui l’Italia di Berlusconi e, soprattutto, Frattini, con la “benevola” spinta di Napolitano) hanno agito soltanto da sicari; i mandanti reali sono in tutta evidenza gli Stati Uniti e l’Amministrazione Obama. Quindi, si prega di non sostenere tesi che hanno del comico pur riguardando eventi della massima tragicità.

Debbo inoltre rilevare che non mi sembra totalmente vero quanto affermato circa l’Asia dove, al contrario che nei paesi arabi e mediorientali, esisterebbero regimi stabili e consolidate istituzioni politico-militari da molti decenni. E’ in parte vero, ma l’Afghanistan – paese non destinato a divenire una potenza, esposto tuttavia alla massima turbolenza in quell’area – è assai instabile. Il Pakistan ha qualche problemino pur se sembra dotato di stabilità soprattutto perché inserito nei vari giochi delle potenze che lì si incrociano, giochi ancora controllati dagli Usa; che, quando l’hanno deciso, si sono fatti fuori Bin Laden, sicuramente protetto dai Servizi pakistani (magari obbligati, almeno in una loro parte, a rendersi complici dell’assassinio). In ogni caso, non credo che l’eventuale supposta stabilità dei regimi dei paesi asiatici comporterà maggiore facilità di dispute nella zona marittima. Se gli Usa se ne andranno dall’Afghanistan, nel contempo stringendo un “cordone sanitario” tutto intorno alla Cina a est e a sud (nel Pacifico e Oceano Indiano), non è escluso, nel medio-lungo periodo, un acuirsi di dispute fra le potenze in crescita nell’area territoriale asiatica ovest-meridionale.

Resta comunque la sensazione che chi ha scritto l’articolo, cui sto accennando, appartenga ai critici dell’attuale strategia statunitense (per semplicità le attribuiamo il nome di Obama). E’ evidente la preoccupazione che il gioco sfugga di mano e favorisca improbabili radicalismi islamici (mi sembra ancora esservi una buona predisposizione ad agitare l’ormai squalificato motivo del presunto “terrorismo”, magari sempre di Al Qaeda), mettendo in grave pericolo Israele. Ho molti dubbi che negli Usa esistano ambienti strategici (non sto parlando di qualche sciocco ideologo convintosi delle proprie ossessioni, il che può sempre accadere) effettivamente preoccupati per l’esistenza del “terrorismo islamico”, dello “scontro tra civiltà”, ecc.; insomma di spinte provenienti dal mondo arabo e islamico così forti da creare difficoltà al predominio statunitense.

Scusatemi, ma non credo a simili difficoltà. Le persone intelligenti, rimanendo all’analisi lucida e fredda (e anche molto cinica) dei vari processi in corso nel mondo, sanno che l’unica possibilità di indebolimento della preminenza Usa proviene dall’azione di Russia, Cina e altre potenziali potenze. Le due diverse strategie puntano a ritardare, e possibilmente far arretrare, il multipolarismo e, tanto più, un effettivo policentrismo (un tempo chiamato imperialismo, prima che tale termine venisse imbarbarito dal suo uso banale e generalizzato da parte di tanti stupidi critici del capitalismo, alcuni che perfino si credono marxisti). Si tratta di comprendere sempre meglio lo scontro tra queste due strategie. In ogni caso, esse puntano alla prevalenza mondiale degli Stati Uniti. Finora hanno trovato modo di scontrarsi senza tuttavia indebolire il paese.

L’articolo conclude: “La primavera araba…… ha a che fare con la limitazione della potenza americana mediante la rottura dell’autorità su cui Washington contava per esercitare la sua influenza”. Forse l’articolista ci crede, ma dubito che i fautori della “prima strategia” americana, quella degli anni trascorsi dalle Torri Gemelle fino alla fine del 2006 (sostituzione di Rumsfeld con Gates, strategia cambiata però soprattutto con l’Amministrazione Obama), ci prestino molta fede. Tuttavia, alcuni ambienti influenti non sembrano convinti dell’efficacia della politica tesa alla divisione tra diversi settori islamici e alla creazione del caos nella zona mediorientale, quale parte di più vaste operazioni – con gli stessi fini caotici e di innesco di conflitti tra paesi – in direzione dell’Europa onde renderla ancor più subordinata agli Usa, facendone il perno dell’ostilità politica verso la Russia. Certamente, lasciando aperta la possibilità di relazioni, in specie economiche, che tuttavia mirano subdolamente al sostanziale infiacchimento della potenziale potenza russa.

A questo proposito ci sarebbe da dire qualche parolina pure sulla recente vittoria elettorale del “filo-russo” (un magnate miliardario!) in Georgia; potrebbe non essere vero oro, ma patacca con qualche spruzzatina dorata. Comunque, tempo al tempo. Cerchiamo di capire meglio quanto si sta svolgendo, cercando di non abboccare al primo amo che ci viene gettato.