Pio XII e gli esorcismi antisovietici, di O. M. Schena

Pio XII e gli esorcismi antisovietici, di O. M. Schena

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Pio XII e gli esorcismi antisovietici

 la presidente  Meloni e la sospensione dell’incredulità

 

tratto da:  LA CADUTA DEL FASCISMO, ROMA  E GLI EBREI (p. 219-226)

di KARLEINZ – DESCHNER – Tullio Pironti ed. 1997

 

(Telegramma dell’ambasciatore vaticano tedesco, 8 ottobre 1943)

“Il papa nonostante i presunti e diffusi attacchi, non si è fatto strappare nessuna dichiarazione significativa contro l’evacuazione degli ebrei da Roma… anche in questa difficile situazione egli ha fatto il possibile per non aggravare i rapporti con il governo tedesco e con le sue rappresentanze a Roma”.

(Lettera dell’ambasciatore vaticano tedesco 28/10/1943)

La politica di PIO XII, perfetto “diplomate de l‘ancien regime” continuava a mirare al raggiungimento di una pace separata che arginasse e possibilmente annientasse l’Unione Sovietica. Il papa era, infatti, come ogni pontefice, “un dichiarato uomo di pace, ma non certo a costo di loschi compromessi”. Così, senza interrompere i suoi tentativi di salvataggio nei confronti dei fascisti, nel 1943, prima che gli anglo-americani sbarcassero in Italia egli passò con decisione dalla loro parte.

Mussolini era ormai spacciato. Il 18 maggio 1943 il New York Times, le cui notizie in proposito venivano considerate ufficiose grazie ai buoni contatti della testata con l’arcivescovato di New York, scriveva: “il Vaticano ha comunicato al governo americano e britannico che un crollo dell’Italia potrebbe comportare delle conseguenze disastrose qualora non si intervenisse subito per neutralizzare il paese o farlo occupare il più velocemente possibile dalle truppe alleate”. Ecco quali erano i titoli del Times: “Appello di Mussolini al papa”. “La dirigenza italiana avrebbe sollecitato il Vaticano ad usufruire dei suoi buoni rapporti con gli alleati”. “il Vaticano annuncia di aver messo in guardia Londra e Washington contro il pericolo di un crollo fascista”.

Il 10 luglio gli anglo-americani sbarcavano in Sicilia, ma il quotidiano della Curia taceva. Il telegramma di Roosevelt al pontefice in cui il presidente annunciava a “Sua Santità” il “massiccio sbarco di truppe americane e britanniche” non suscitò “grande entusiasmo”, così come non fu motivo di gioia la destituzione di Mussolini, legato al papato da un rapporto ventennale. Il 25 luglio il re rimuoveva il duce da tutti suoi incarichi e ne ordinava l’arresto. Il fascismo cadeva. In Italia nessuno intervenne in favore di Mussolini o del partito, anzi le istituzioni da lui create vennero ovunque distrutte e occupate, ancora prima che il nuovo presidente del Consiglio, il vecchio maresciallo monarchico Pietro Badoglio, “eroe della prima guerra mondiale e della conquista dell’Abissinia”, emanasse il decreto di scioglimento. Il suo governo, appoggiato fortemente dal Vaticano, collaborò con gli alleati occidentali.

Allo stesso tempo Pio XII intervenne anche a favore degli ex fascisti incriminati, dello stesso Mussolini e dei suoi familiari. Alla lista dei beneficiari mancavano, guarda caso, il genero del duce, conte Ciano e sua moglie Edda. Ciano, dal 1943 ambasciatore italiano presso il Vaticano, era (diventato) segretamente ostile ai tedeschi. Si dice che egli avesse predisposto il piano della congiura contro Mussolini e allacciato poi contatti con gli alleati. La cosa non sembrò risultare gradita al pontefice che voleva essere il solo ad usufruire di tali contatti e che manifestava un certo riserbo nei confronti del governo Badoglio.

Il papa temeva ancora che dopo il crollo del regime fascista ci sarebbe stata una rivoluzione comunista. La Curia aveva espresso questo timore insieme con gli ambienti di destra. Perciò ci fu solo un parziale ricambio di politici al governo e i fascisti continuavano a mantenere il loro incarico. I quotidiani comunisti furono pubblicati solo per due giorni e vennero poi nuovamente vietati. Badoglio lanciò un appello agli italiani perché “rimanessero fedeli al re e a tutte le altre istituzioni consolidate”. E la Chiesa mise in guardia contro la rivoluzione bandendo qualsiasi forma di resistenza.

Il 13 giugno 1943 il papa si rivolgeva personalmente ai lavoratori italiani per scoraggiarli da qualsiasi azione sovversiva. Nei suoi frequenti colloqui con gli ambasciatori dei paesi occidentali egli premeva su Gran Bretagna e Stati Uniti affinché ponessero delle condizioni accettabili poiché in Italia “la minaccia del comunismo” continuava a crescere.

Il 3 settembre 1943 il maresciallo Badoglio stipulava a Cassibile, in Sicilia, un armistizio, inizialmente segreto, con gli alleati occidentali sbarcati quello stesso giorno vicino Reggio e il 9 settembre nei pressi di Taranto e di Salerno. Solo il 13 ottobre il maresciallo dichiarava guerra alla Germania. Già il 10 settembre Hitler aveva occupato Roma e ordinato al Comando Supremo di far accerchiare dalle truppe la citta vaticana dove ora si cominciava appena a stare meglio.

“Il fatto è”, comunicava via telegrafo von Weizsacher a Berlino il 4 agosto 1943, “che la Chiesa sta attraversando un momento di grande inquietudine. Il comunismo è e resta il suo acerrimo nemico, sia in politica estera che in politica interna”.

Nel nuovo messaggio telegrafico di von  Weizsäcker del 3 settembre egli affermava di ricevere “costantemente prova del grande disappunto di Roma per la politica degli anglo-americani i cui portavoce vengono considerati precursori del bolscevismo”.

Pio XII condannava severamente qualsiasi piano volto a indebolire la Germania poiché un Reich forte veniva considerato come il presupposto indispensabile per il futuro del cattolicesimo. “Secondo quanto appreso da fonti riservate in merito al colloquio tra il papa e un pubblicista politico italiano, riferisco che alla richiesta di una sua opinione sul popolo tedesco il pontefice ha risposto: “Si tratta di un grande popolo che nella lotta contro il bolscevismo non si sacrifica soltanto per i suoi amici, ma anche per i nemici del momento. Non riesco a credere che il fronte orientale crollerà

Il 23 settembre von Weizsäcker trasmetteva a Ribbentrop la constatazione del cardinale Maglione riguardo al governo italiano: “Il destino dell’Europa dipende da quanto la Germania riuscirà ad opporre resistenza contro il fronte russo. L’esercito tedesco è l’unico “baluardo” contro il bolscevismo. Se questo dovesse crollare per la civiltà europea sarebbe la fine”. E il 7 ottobre l’ambasciatore afferma: “È superfluo riferire le espressioni di antibolscevismo. Le sento quotidianamente … l’avversità è davvero un caposaldo della politica estera del Vaticano. Tutto ciò che serve a combattere il bolscevismo è bene accetto alla Curia che non sopporta l’idea di un accordo tra gli anglo-americani e la Russia sovietica. Insistere su tale accordo sarebbe ottuso e potrebbe causare il protrarsi della guerra. Una coalizione tra le potenze occidentali e la Germania sarebbe, invece, la soluzione migliore, o almeno si vorrebbe vedere una Germania chiusa e forte fare da barriera contro la Russia sovietica”.

Perfino quando il 16 ottobre 1943 nel quartiere ebreo di Roma vennero compiuti arresti di massa, cioè quando quasi sotto le finestre del papa vennero fermati 1259 ebrei romani e ne furono deportati 1007 ad Auschwitz, il “Santo Padre” non ritenne di dover protestare. E von Weizsacher scriveva a Berlino: “Il papa nonostante i presunti e diffusi attacchi, non si è fatto strappare alcuna dichiarazione significativa contro l’evacuazione degli ebrei da Roma. Benché egli sappia che il suo atteggiamento gli verrà rinfacciato dai nostri avversari e verrà utilizzato a scopi propagandistici contro il cattolicesimo dai protestanti dei paesi anglosassoni, anche in questa difficile situazione egli ha fatto tutto il possibile per non aggravare i rapporti con il governo tedesco e con le sue rappresentanze a Roma”.

Allora erano già oltre 3 milioni gli ebrei uccisi nelle camere a gas.

Lo Obersturmführer delle SS, Kurt Gerstein, un testimone oculare che ne era molto scosso, volle informare il nunzio Orsenigo e già nell’agosto del 1942 inviò la sua relazione al vescovo di Berlino perché la inoltrasse al Vaticano.

E dal papa non venne una sola parola contro l’assassinio dei deportati! Un’unica volta egli accennò vagamente al fatto, ma senza nemmeno nominare gli ebrei. “Pio XII non era a conoscenza dei fatti”, asserisce mentendo il gesuita Leiber, suo segretario per decenni, nel 1963, invece il pontefice ne era informato, questo è risaputo. Nel 1964 perfino Civiltà cattolica ha ammesso che il papa “era al corrente di come stavano le cose”. Però taceva.

Egli non proferì parola nemmeno sul massacro delle Fosse Ardeatine.

Nel chiaro pomeriggio del marzo 1944 alcuni uomini della resistenza fecero un attentato nel centro di Roma ad una compagnia del reggimento delle SS di Bolzano in marcia a via Rasella: 22 morirono sul posto, altri 11 perirono nelle ore successive in seguito alle gravi ferite riportate. Il giorno seguente le SS fucilarono 335 ostaggi arrestati a caso. Tra questi 253 cattolici e 70 ebrei tra i 14 e i 75 anni, operai, studenti, artisti, impiegati, diplomatici, poliziotti, professori, avvocati, generali, medici, contadini, commercianti, venditori ambulanti, scolari e anche un religioso cattolico. Lo stesso plotone di esecuzione non riuscì a rimanere impassibile: un giovane ufficiale in un primo momento si rifiutò, un soldato svenne, l’intero commando ricorse all’alcol e per dieci giorni continuò ad ubriacarsi, sera dopo sera, fino a perdere i sensi. Prima che venisse compiuto il massacro, tra le 15,30 e le 20, “papa Pio XII aveva deciso” scrive l’americano Robert Katz nella sua dettagliata e sconvolgente testimonianza “Assassinio a Roma” “di non immischiarsi di sopportare in silenzio il massacro e di osservare la massima cautela”. I tedeschi avevano bisogno della Curia e credevano (e credono!) di averne ancora bisogno. E fu per questo che nel 1944 dopo aver seguito durante l’estate, “ora per ora con dolore e paura”, l’avanzata dell’Armata rossa in Polonia e l’isolamento di un governo polacco a Lublin, Pio XII si oppose con fermezza all’idea di una resa incondizionata. Su questo punto egli trovò più comprensione in Churchill e de Gaulle di quanta ne avesse trovata in Roosevelt con cui il pontefice aveva insistito ancora una volta per ottenere una rapida riconciliazione con la Germania: impellente necessità del momento onde evitare che il  bolscevismo mietesse le sue vittime. Anche nel suo discorso natalizio  del 1944 egli continuò a premere per una pace riconciliatrice. “In tutto il messaggio” Commenta con indignazione la Pravda del 31 dicembre “non viene fatto il minimo accenno ai crimini inauditi e ineguagliabili commessi dalle canaglie fasciste”. E il 7 gennaio 1945 il quotidiano moscovita polemizza: “si sa che i fascisti di Hitler hanno amici e protettori. Gli stessi difensori delle loro ignominie cercano di confondere le idee e i sentimenti di coloro che sono più facilmente influenzabili. Basta guardare l’astuzia con cui diversi quotidiani americani interpretano il discorso di Natale del papa. In questo modo si spera, ovviamente di riuscire ad ottenere l’appoggio dei fedeli per la “giusta” soluzione di problemi basilari collegati con la guerra e con la pace. In linea di massima il messaggio del papa non fa che proseguire la tradizionale politica del Vaticano, che come è già stato spesso osservato dalla stampa straniera, “cerca di difendere i fascisti tedeschi e di sottrarli alle loro responsabilità.” Ma intanto la Curia passava sempre più chiaramente dalla parte dei vincitori, come già aveva fatto durante la Prima guerra mondiale. Non è forse vero che a partire dal 1940 PIO XII cominciò a ricevere soltanto personalità dell’“asse”? Adesso con l’accumularsi delle sconfitte tedesche egli accoglieva anche il generale Clark, il ministro della guerra Stimson, W. Churchill e de Gaulle. E in un telegramma a Roosevelt del 19/6/1944 il papa sottolineava la profonda affinità esistente tra gli ideali cristiani e la democrazia americana. Mentre le truppe stavano ancora avanzando, i vescovi iniziarono a familiarizzare con i nuovi padroni. Ad ovest, si sa, con le potenze occidentali, a Est con i comunisti.

Il 1 marzo 1945 il settantatreenne Wiski, vescovo di Lodz, esiliato dai tedeschi e tenuto in gran considerazione dal papa, issò senza averne ricevuto l’ordine, la bandiera rossa sulla sua cattedrale. Nella regione ucraina dei Carpazi il vescovo uniate T. Romscha aveva già accolto amichevolmente l’Armata Rossa; in passato egli era intervenuto come oratore in occasione dell’anniversario della rivoluzione nel novembre del 1944. Nel 1947 il vescovo venne a mancare in seguito ad un incidente automobilistico “probabilmente inscenato”. Perfino il più nero dei neri l’arcivescovo Septyckyj  che si era tanto dato da fare prima per l’imperatore austriaco e poi per Hitler si affrettò ora a passare dalla parte di Stalin. Al loro arrivo i russi non gli torsero neanche un capello e il 14 ottobre 1944 egli dispose in una sua pastorale che “ciascuna parrocchia raccogliesse entro il 1 dicembre una somma di almeno 500 rubli per i feriti e i malati dell’Armata Rossa e la inviasse al Concistoro metropolitano che avrebbe poi provveduto a farla pervenire alla Croce rossa”. Tutto ben strutturato dalla croce alla croce uncinata poi alla Croce rossa e infine all’Armata Rossa.

Ma non finiva qui. Solo pochi anni prima il metropolita di Lemborg  si era appellato al papa per un esorcismo antisovietico pregandolo di consentirgli il martirio poiché sarebbe stato vantaggioso “che qualcuno fosse stato vittima di questa invasione”. Nel 1944, verso la metà di ottobre, lo stesso scriveva a Stalin: “tutto il mondo china il capo dinanzi a Lei … dopo la vittoriosa avanzata dal Volga al San. Lei è riuscito a ricongiungere i territori occidentali alla Grande Ucraina. Tutto il popolo La ringrazia per aver esaudito la testamentaria preghiera e il desiderio degli ucraini che da secoli si considerano un unico popolo e desiderano vivere in uno Stato unitario. Questo evento glorioso risveglia nella nostra Chiesa e in tutto il popolo la speranza di godere in URSS sotto la Sua guida la libertà del lavoro e del progresso…

Fu questa l’ultima grande azione del principe della Chiesa. Due settimane più tardi l’ottantenne arcivescovo conte Andreas Septyckyj, moriva non da martire dei soldati sovietici, ma di morbillo. Quando il 5 novembre 1944 la sua salma interamente coperta da crisantemi bianchi, sfilò in un pomposo corteo funebre per le strade di Lemberg, tra le centinaia di preti e studenti di teologia e le migliaia di fedeli venuti a porgergli l’ultimo saluto c’era anche un rappresentante delle autorità sovietiche: il segretario del partito ucraino Nikita Kruscev. Il successo di Septyckyj arcivescovo Slipyj, si affrettò a concludere la raccolta per i feriti dell’Armata. Così, mentre un fratello dell’arcivescovo defunto e altri due clerici riuscivano a consegnare al Cremlino (purtroppo non a Stalin in persona) la somma di 100.000 rubli e il fronte russo avanzava verso l’Oder, monsignor Slipyj ricalcando le ultime- orme del suo predecessore appoggiava l’esercito sovietico e combatteva, elogiato da Mosca, contro i partigiani ucraini del movimento clandestino radicale di destra. Intanto i vescovi tedeschi incalzavano per l’ultima battaglia contro i rossi.

Il patriarca Aleksij lanciò allora da Mosca un appello agli uniati ucraini: “Guardate, cari padri e cari figli, a cosa vi ha portato la vostra guida spirituale in questo momento storico… È chiaro che il Signore ha benedetto le armi di coloro che si sono sollevati contro Hitler… Davanti agli occhi di tutto il mondo Dio tiene il suo indice puntato contro questi cannibali per i quali sta per scoccare l’ultima ora. Ma dove vi hanno portato il defunto metropolita Andreas Septyckyj e il suo più stretto collaboratore? Vi hanno portato a sottomettervi al giogo di Hitler, a piegare il capo dinanzi a lui. E dove vi porta il Vaticano? Nel suo messaggio augurale di Natale e Capodanno il papa ha parlato di fratellanza con i banditi fascisti, di misericordia per Hitler il più grande malfattore della storia dell’umanità..”

 

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la presidente  Meloni e la sospensione dell’incredulità

Presidente Meloni: “mai usato la parola “vittoria” per l’Ucraina.- Meloni ha detto mille volte: “Io sto inviando armi a Zelensky affinché l’Ucraina perda la guerra contro i russi“.-  In un’altra occasione Meloni ha detto: “L’Italia sta inviando armi a Zelensky per impedire agli ucraini di vincere in battaglia“. – E poi salta fuori questo video in cui Meloni dice accanto a Zelensky: L’Italia scommette sulla vittoria dell’Ucraina.

(https://www.ilfattoquotidia”no.it/…/meloni…/7920063/)

 

Francesco Orlando ritiene che “la letteratura funzioni in virtù di una fondamentale “Sospensione dell’incredulità”. Certo per effetto di quella retorica che la letteratura condivide con l’inconscio si può dire e No contemporaneamente. Sarebbe dunque plausibile che la Presidente Meloni, evidentemente abituata a fare a riffa e a raffa, dotata d’una smisurata fiducia nella propria intelligenza, e capacissima di salmodiare per ore e ore ad altissima voce, nonché capace di liberare il reale da ogni coalescenza, si sia data alla letteratura, ma se ne ignorano gli intenti. La plausibilità trova il suo fondamento sulla considerazione che pare davvero un’ardua impresa porre in dubbio la validità del principio di non contraddizione, ovvero affermare una cosa e subito dopo il suo contrario, logico e semantico, se non al prezzo di una sospensione dell’intera credibilità del proprio discorso, senza timore alcuno per l’inarrestabile flusso di parole sempre più umide, sempre più appiccicose, sfidando ad ogni parola, a causa della debordante umidità, la scivolata nell’irrazionalità, di cui potrebbe ben dirsi con l’Orlando, sempre più furioso, con un futuro sempre più distopico:

 

“Forse era ver, ma non però credibile

a chi del senso suo fosse signore;”

 

«le manifestazioni semiotiche − linguistiche in senso lato − fanno posto da sole, simultaneamente, a due forze psichiche in contrasto diventate significati in contrasto.» Anche la letteratura è una formazione di compromesso che fa convivere gli opposti, perché pur riconoscendo il versante ufficiale e conformista del mondo, ed esprimendo quindi il punto di vista dell’ideologia e dell’ordine che trionfa, al tempo stesso dà voce e solidarizza con tutto ciò che nel mondo incontra diffidenza, condanna e rifiuto.

Con tutti quei desideri che non trovano spazio sufficiente nella realtà, la letteratura diventa insomma il risarcimento immaginario a quel disagio della civiltà che Freud aveva descritto come il necessario percorso di rinunce di ogni progresso. Se quindi la letteratura non ignora e non cancella affatto leggi e regole vigenti, sarebbe saggio raccogliere la sfida che essa ci lancia.

 

STORMY SIX – arrivano gli americani-

https://www.youtube.com/watch?v=jGvzqmpkz74