POLIBIO RELOADED (di G. Gabellini)

Il Vicino Oriente è una regione del mondo assai complessa e intricata, le cui dinamiche particolari appaiono del tutto incomprensibili all’italicissimo, eterno provincialismo, altezzosamente “disattento” verso l’aggressione all’Iraq e alle continue minacce all’Iran ma curiosissimo di sapere cosa bolle in pentola in quel di Palazzo Grazioli o di altri mignottai consimili.
Contrariamente ai deliri propugnati dalla presuntuosa e ignorante Oriana Fallaci e alle illazioni costruite a tavolino dal politologo reazionario Samuel Huntington, millantatori del sedicente "scontro di civiltà", Il crescente livore che i popoli arabi mostrano chiaramente di nutrire nei confronti delle nazioni occidentali va chiaramente analizzato e valutato alla luce degli eventi storici verificatisi all'incirca dalla metà del diciannovesimo secolo in poi.  L'evento cardine che ha determinato l'interesse morboso per la regione vicinorientale è stato senza dubbio il passaggio al petrolio, notoriamente traboccante in quell'area, come fonte di approvvigionamento energetico primaria. La portata di questo cambiamento epocale è stata sempre sottostimata, valutata in difetto in tutti i tradizionali manuali di storia contemporanea, laddove ha rappresentato con ogni probabilità il principale fattore di instabilità dell'intera area. Il panorama politico dell'epoca vedeva un'accesa rivalità di stampo puramente imperialista tra le quattro principali potenze "classiche": Francia, Russia, Inghilterra e Impero Austro – Ungarico, tutte interessate ad accaparrarsi i territori compresi nel gigantesco e declinante Impero Ottomano. I primi indizi rivelatori relativi alle mire imperialiste delle potenze in questione emersero al Congresso di Berlino del 1878, durante il quale l'Inghilterra, fungendo da mediatrice, riuscì a frenare l'impeto della Russia zarista maturato in seguito alla vittoria riportata ai danni dell'Impero Ottomano solo pochi anni prima. Ne ottenne come premio la concessione dell'isola di Cipro, da decenni in mano ottomana. Solo quattro anni dopo l'Inghilterra si lanciò nell'occupazione dell'Egitto, paese situato in una posizione fortemente strategica, schierando di fatto le proprie truppe alle porte dell'Impero Ottomano. Dal canto suo, l'Impero Ottomano, allarmato da questi sviluppi, decise di avviare un processo di modernizzazione forzata che determinò la nascita del movimento ultranazionalista dei "Giovani Turchi", i quali imboccarono immediatamente la strada dell'autoritarismo interno nel tentativo di compattare l'enorme costellazione di etnie contenute all'interno dell'Impero sotto l'egida turca. Questo processo di modernizzazione spinse le grandi potenze europee a rivedere radicalmente i propri piani, cosa che le portò a scoprire le carte; le popolazioni balcaniche furono autorizzate immediatamente ad espellere le cospicue minoranze turche con le quali convivevano da secoli mentre all'Italia di Giolitti fu concesso, nel lontano 1911, di occupare la Libia e di perpetrare crimini indescrivibili a danno delle popolazioni indigene. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale palesò invece apertamente il progetto di suddivisione dell'Impero Ottomano architettato da Francia e Inghilterra, progetto che si tradusse con la sottoscrizione del Trattato Sykes – Picot del 1916, mediante il quale le due potenze firmatarie tagliarono arbitrariamente i territori ottomani con linee del tutto insensate e prive di coerenza, applicando forzatamente il concetto di "nazione" occidentale ad un'area spaventosamente inadeguata a tale frammentazione. L'impero Ottomano era un vero e proprio modello di stato "federale", entro il quale ogni popolazione viveva in amalgama con tutte le altre, dando luogo a una "mescolanza" variegata interetnica e interculturale, retta da un equilibrio che ancora oggi i paesi occidentali si sognano di raggiungere. I popoli contenuti entro l'area vivevano infatti mischiati senza soluzione di continuità territoriale, e l'applicazione del modello di stato nazionale occidentale in un contesto simile non poteva fatto altro che fomentare svariati dissidi tra etnie a danno delle popolazioni minoritarie, linguisticamente e culturalmente non omogenee. La pretesa criminale di tracciare linee immaginarie nel terreno ignorando qualsiasi aspetto sociale e geopolitico della zona ha determinato la separazione forzata e incoerente di questi popoli che erano vissuti per secoli a stretto contatto gli uni con gli altri. In questo desolante scenario si colloca alla perfezione il trattato di Sevres del 1920, vera e propria pietra miliare nella storia della vergogna umana, che affermò il predominio francese sulle neonate nazioni di Siria e Libano, e quello britannico sulla Palestina e sull'Iraq. L'Inghilterra si comportò in maniera particolarmente ripugnante, contravvenendo alla promessa fatta agli arabi, che avevano accettato di fornire quantità massicce di carne da cannone all'esercito di sua maestà britannica in cambio della piena indipendenza in caso di vittoria contro gli ottomani. Fu il famigerato e pittoresco archeologo "Lawrence d'Arabia" a convincere e guidare gli arabi all'amara vittoria. L'impero britannico, al momento del dunque, rovesciò però i patti, integrando nei trattati di pace la sciagurata dichiarazione Balfour, che risaliva al 1917, tramite la quale il governo britannico si impegnava a riconoscere ai sionisti il diritto di creare un "nucleo nazionale" in Palestina, peggiorando ulteriormente la già gravissima situazione, della cui determinazione erano gli unici veri responsabili. E' in questa caotica situazione che sono fioriti i movimenti di resistenza nazionale: laici come quello guidato da Nasser o come quello guidato ancora oggi da Gheddafi, o islamici (che definiamo impropriamente "fondamentalisti"), come "Fratellanza Musulmana", fondato dall'insegnante egiziano Hassan Al Banna, che si era prefissato l'obiettivo di trovare una strada che coniugasse i precetti islamici con la modernità incombente, o come i più recenti Hamas ed Hezbollah, organizzazioni che perseguono l’obiettivo di preservare la propria terra dalle grinfie imperialiste “esterne”. Gli odierni “sinistri” occidentali, una teppaglia di mutanti semicolti in preda a una fortissima crisi dissociativa, guardano con orrore o malcelato disprezzo questi movimenti, riproponendo nella maggior parte dei casi una versione rivisitata e corretta della famigerata scelta di Polibio, che aveva accolto il predominio romano sulla Grecia come “male minore”. Costoro si mettono dapprima sulla difensiva, ammettondo che sì, talvolta gli Stati Uniti e le varie potenze occidentali hanno commesso “errori” imperdonabili nella zona, che sì, magari Israele “esagera” un po’, per poi passare al contrattacco: “Ma come”, squittiscono, “Queste inezie non vi porteranno mica a solidarizzare con i fondamentalisti islamici di Hamas a discapito del “moderato” e “laico” Abu Mazen?”, “Ma come”, proseguono, “Non vorrete mica schierarvi con i caudillos Hugo Chavez e Fidel Castro?”, “Non vorrete mica appoggiare i “dittatori” sanguinari Milosevic e Ahmadinejad?”, e via delirando. Molto meglio appoggiare le cosiddette “rivoluzioni colorate”, edulcorate ad arte da questi strapagati scribacchini di corte, che fanno strame dell’intelligenza umana, mediante l'ipocrita retorica "diritti u
mani" a geometria variabile e a corrente alternata, a seconda di chi sia il destinatario della bolletta della luce. Tutto un gran cianciare della cosiddetta “Asse del male”, nient’altro che un’ignobile etichetta che si riservano di affibbiare regolarmente a chi non ci si china "a pecora", previo vaselinamento, al cospetto del più forte, che sappiamo tutti chi è.