POLITICA E ANTIPOLITICA di G.P.

Accade alla realtà di presentarsi, prima facie, semanticamente invertita. Di fatti, è un’unica voce quella che, dalle bocche del circo mediatico ufficiale, alza i suoi alti lai contro l’antipolitica trionfante tra le italiche popolazioni, sempre più sfinite dall’infingardaggine e dal ladrocinio della cosiddetta “Casta” o “Cosca”. In verità, se il termine politica indica, nel suo significato etimologico, l’interesse e la cura per le cose e i fatti della polis è ovvio che l’antipolitica è meglio rappresentata da chi si fa gli affaracci propri perpetrando odiosi appannaggi mentre tutto intorno è una valle di lacrime senza fine. 

Mastella, ieri a Ballarò, si sentiva crocefisso da accuse infamanti (tra le quali l’aver pagato appartamenti in zone metropolitane a prezzi popolar-parlamentari o quella di aver utilizzato aerei di stato per portare a spasso il figliuolo)e tirava verso di sé la Legge, quella che lui ha sempre rispettato e che oggi rappresenta “degnamente” come Ministro di Giustizia. Ciò che il Gargantua di Ceppaloni non ha capito, a testimonianza di quanto questa classe dirigente sia andata completamente a ritrecine, è che il popolo è stanco proprio di queste leggi “ad castam” che tutelano lui e i suoi sodali  parlamentari e ministeriali. Queste leggi, così come sono, consentono di differenziare i cittadini tra persone di serie B (noi tutti) e persone di serie A (i politici, ma non solo loro), motivo per cui il popolo chiede all’unisono la giusta abolizione di tali “franchigie”(si dirà che sono sempre esistite, verissimo, ma la crisi economica incipiente rende insopportabili, oggi più di ieri, le infinite ruberie). Poiché è il Parlamento che legifera ci si aspetta che siano le Camere a disporre un mutamento palingenetico delle leggi che preservano uno statu quo ormai indecente. E’ ovvio che i nostri politici non lo faranno mai perché sono loro il vero cancro che agisce in combutta con i gruppi dominanti finanziari i quali, a loro volta, li sorreggono per motivi ancora meno nobili; si dà il caso che gli inquilini di Montecitorio sono divenuti così ricattabili che la paura di colpi di coda da parte del serpente a doppia testa della GFeID (a propria volta sostenuto da forze dominanti d’oltreoceano) può causarne la rovina politica ed economica.  Proprio l’altro giorno è apparso un articolo sul Manifesto, a firma di Alessandro Ribecchi, che denunciava la casta imprenditoriale italiana che si muove alla stessa maniera di quella politica. Il capitalismo familiare italiano si è solo dato una spruzzata di "similmanagerialismo" all’americana, ma i vecchi capitani d’industria, ritirandosi o passando a miglior vita, hanno prima piazzato figli e figliocci in tutti i CdA che contano. Dai De Benedetti, ai Romiti, agli Agnelli ecc. ecc. i nomi della casta economico-finanziaria sono sempre gli stessi nonostante le generazioni si siano inesorabilmente susseguite. Il modus operandi di questi rampolli continua ad essere quello dei loro padri e privilegia la  più facile sottrazione dei soldi pubblici al rischio imprenditoriale in proprio. Per tutti citiamo la solita Fiat che è riuscita ad ottenere dal governo di Centro-Sinistra prebende di ogni tipo, trasferimenti di denaro pubblico che il "fascistissimo" governo Berlusconi si era sempre rifiutato di concedere alla brigata montezemoliana.

Un esempio varrà a chiarire come si è sostenuta finora l’azienda torinese. Pare, di fatti, che solo negli anni ’90 quest’ultima abbia ricevuto dallo Stato trasferimenti “pubblici” pari ai dividendi distribuiti ai propri azionisti “privati”. Tradotto significa che siamo noi italiani a pagare le operazioni della Fiat, soprattutto quando la stessa sbaglia i propri investimenti.

Allora ha ragione Ribecchi, urge una "lotta di casta" senza quartiere che spazzi via al più presto tutto il marciume politico ed economico di questa Italia sempre più depressa.