Putin è Zelig
Putin è Zelig
L’informazione occidentale ha creato una realtà parallela intorno alla guerra in Ucraina. Ormai sappiamo già tutto di quello che verrà pubblicato domani, e ciò sarà perfettamente coincidente con quanto previsto giornalisticamente in quella quarta dimensione propagandistica in cui si verificano esclusivamente le previsioni degli editoriali. Gli ucraini resistono eroicamente. Il presidente Zelensky è un eroe. Un tempo era un buffone ma quella era la realtà vera di ieri e quindi non conta nulla rispetto alla citata dimensione stampata. L’armata russa è impantanata. I militari russi si imboscano o si sparano alle gambe per non combattere. Non sapevano nemmeno di essere stati mandati alla guerra. È un conflitto a loro insaputa. Credevano che i cannoni fossero caricati a balle. Putin dopo essere già stato Hitler, Jack lo squartatore e la saponificatrice Cianciulli è ora anche un po’ Bin Laden. Ha persino la “postura” del dito dello sceicco del terrore pur essendo sprovvisto di barba e cammello. In ogni caso è un pazzo o un autocrate dalla razionalità limitata, secondo l’intuizione di Carlo Jean che parafrasando il colpo di genio dell’economista Simon si augura di vincere anche lui il nobel alla psicobanalisi se verrà mai istituito.
Ma come ha fatto Putin a fallire nonostante la schiacciante superiorità di uomini e mezzi? Semplice. Gli obiettivi sono stati stabiliti dai medesimi giornali. La guerra non è stata piccina picciò’, i russi hanno fatto male i conti, i generali e i servizi segreti hanno detto a Putin ciò che voleva sentirsi dire e non quel che sarebbe effettivamente successo sul terreno. Come hanno fatto i giornalisti e gli analisti a venire in possesso di queste informazioni? Hanno un filo diretto con una fonte a a Kiev che conferma tutto perché ha infiltrato persino il gabinetto di guerra russo. Strano che Zelensky lanci segnali sempre più favorevoli alla neutralità (che sarà solo formale perché dopo questo impegno militare i russi non si faranno più fregare). Il presidente ucraino, verosimilmente, più che al suo omologo russo si rivolge al suo padrone americano. Il Paese è allo stremo perché circondato mentre l’esercito russo fa il cinese guardando il fiume bagnarsi di sangue piuttosto che radere tutto al suolo.
Niente da fare, Biden ha stabilito che difenderà i valori occidentali ad ogni costo ucraino anche se si dovranno ripopolare i territori con i monumenti ai caduti.
Ma il folle è sempre Putin tanto più se rammenta a tutti che il genocidio è cominciato nel 2014 e che occorreva farlo finire, soprattutto perché danneggiava la sicurezza di Mosca. È un motivo convincente perché nella storia ce ne sono stati di più pretestuosi. Chi dice che la Russia è l’aggressore senza ragione si legga voracemente il testo sotto. Dopo la copertina di Giannini abbiamo la copertura storica di uno che non fa il giornalaio di professione. Meno male che qualcuno si salva, anche se c’è la guerra.
La guerra del Peloponneso ebbe inizio con
l’invasione spartana
dell’Attica (431 a.C.).
Quale situazione più limpida
di questa? Ma Tucidide, in disaccordo rispetto a tale «verità» apparentemente inoppugnabile, dedica un intero libro, il primo della sua grande
opera, a documentare che,
nonostante il dato evidente
della brutale invasione spartana dell’Attica, Sparta non
era sic et simpliciter l’aggressore, o, meglio, non aveva la
esclusiva responsabilità della
guerra. Nonostante le apparenze. E le apparenze erano
che Sparta, dopo aver posto
ad Atene un ultimatum improponibile (sciogliere l’impero), a sorpresa aveva invaso
l’Attica, non senza aver prima
attaccato e sottomesso (mesi
di assedio ci vollero) un minuscolo «satellite» di Atene
quale la cittadina beotica di
Platea.
Alla dimostrazione della
sostanziale responsabilità di
entrambi (Spartani e Ateniesi) nello scoppio della guerra
sono dedicati capitoli cruciali,
che tutti gli studiosi di geopolitica ben conoscono (I, 88 e I,
23). Ma in realtà è tutto il primo libro, con l’imponente inserto sulla trasformazione
dell’alleanza antipersiana (facente perno su Atene) in impero ateniese, e sul carattere
oppressivo e intrinsecamente
aggressivo di tale impero (la
cosiddetta «storia del cinquantennio») che ha lo stesso
obiettivo: presentare lo sviluppo dell’imperialismo ateniese come vero antefatto e
vera causa, profonda ma «inconfessata», della guerra.
E anche la immissione,
sempre nel primo libro, dei
due ampi episodi contrapposti (fine di Pausania e fine di
Temistocle) e del connesso
ultimatum, nonché dell’episodio di Cilone, anch’esso relativo ad un ultimatum, sta a
significare che la responsabilità della guerra non stava da
una sola parte. Donde la formula, apparentemente reticente, se non oscura, ma in
realtà chiarissima di I, 23, 4:
«La guerra la incominciarono
gli Ateniesi e gli Spartani»
(notare che gli Ateniesi sono
in prima posizione, pur essendo il Paese aggredito).
Formula esplicita nell’indicare la responsabilità di entrambi nello scoppio della
guerra: preceduta dai cruciali
capitoli 18-19, nei quali tutte le
azioni conflittuali o senz’altro
belliche degli anni 478-431
a.C., tra i due schieramenti
sono attribuite ad entrambi e
si ricerca nei comportamenti
remoti (dalla fine dell’invasione persiana in avanti) la causa
del conflitto.
È ovvio che una tale impostazione era in diametrale
contrasto con la presentazione ateniese (Paese aggredito)
della vicenda. Il furore antispartano dell’ateniese medio
in tempo di guerra è reso molto efficacemente da Aristofane nelle sue commedie. E proprio sul terreno del divario tra
realtà e propaganda Tucidide
si impegna con efficacia attraverso ilritrovato diriplasmare e dare in forma diretta i principali interventi oratori dei
protagonisti. Si pensi in particolare al discorso di Pericle
della «dichiarazione di guerra», che rifiuta l’ultimatum
spartano e dà le direttive per
resistere all’aggressione ormai imminente e per contrattaccare (I, 140-144). L’impostazione è chiara: da tempo
gli Spartani intendevano colpirci, e ora ci siamo (I, 140, 2).
Ma lo stesso Pericle, quando
la gente comincia a patire le
conseguenze della guerra, e il
suo consenso comincia a scemare, dirà: la guerra è necessaria per difendere l’impero,
«l’imperoètirannide», e
«non si può impunemente
uscire dall’impero» (II, 63).
Magistralmente Tucidide presenta entrambe le facce della
questione: la propaganda (I,
140, 2) e la sostanza (II, 63).