QUALCHE RIFLESSIONE SU “ BEHEMOTH” DI FRANZ NUEMANN: PERCHE’ HA VINTO IL NAZIONALSOCIALISMO – II° PARTE
Perché vinse il nazionalsocialismo in Germania e quali trasposizioni storiche si possono calare sulla realtà italiana di oggi? Un grande quesito che richiede una elaborazione ed un approfondimento del periodo in esame, partendo dalle caratteristiche della struttura economica sociale del periodo della repubblica di Weimar con il concorso, a seguire, degli eventi che contribuirono alla precipitazione improvvisa di quella esperienza, nell’avvento del Nazionalsocialismo: una precipitazione della storia, in tempi e modi inusuali, simile al venticello che diventa una gran tempesta. Una sua ricostruzione storica è possibile soltanto in moviola, nel “fermo immagini” con alta densità di contenuti, dapprima, nella prima grande guerra mondiale del ‘15-18 come rappresentazione di un ‘evento’ drammatico, di una guerra combattuta tra popoli, nella convivenza di un passato storico, entro una stessa civiltà politica (si pensi all’ingresso in campo dell’interventismo socialista su fronti opposti, subito dopo un congresso “dell’Internazionale” che si era già pronunciato sull’inutilità di una guerra tra e contro popoli inermi) a cui seguì un dopoguerra altrettanto drammatico, che con la fine del conflitto, apriva ad una fase (storica) con nuove aspirazioni e cambiamenti sociali e politici, come riflesso dei “10 giorni che sconvolsero il mondo,” che trasformarono in Russia, quella guerra fratricida (’15-18) condotta in nome e per conto di interessi Imperiali, nella “Rivoluzione d’Ottobre”.
Per non affastellare avvenimenti storici, osservati in frammenti da “caleidoscopio,” conviene procedere per ‘spaccati-sociali’ come appare nell’elaborazione di Neumann su “Behemonth- Struttura e pratica del nazionalsocialismo,” a partire anzitutto dai rappresentanti socialdemocratici della ‘Classe Operaia’ nella loro funzione spiccata predilezione politica, alla concentrazione monopolistica industriale-finanziaria, durante tutto il periodo della Repubblica di Weimar ( proseguita in tutto il Novecento come vezzo culturale-politico di tutte le sinistre, comunisti compresi ). Con la sconfitta della Germania, la Nuova Costituzione tedesca (1919) assegnava un particolare riconoscimento ai sindacati nei “Consigli di Fabbrica” del 1920 che introdussero gli elementi di “un governo costituzionale dell’impresa;“ tra Imprenditore e Consigli Sindacali si potevano raggiungere accordi, su eventuali licenziamenti, attuazione dei contratti collettivi di lavoro, regolamenti d’azienda, e per ultimo, ricorrere in Tribunali del Lavoro, l’introduzione infine, di una indennità di disoccupazione per prevenire forti cali di salari e la partecipazione dei disoccupati nella realizzazione di opere pubbliche. Più in generale, il tentativo di dare alla classe operaia un controllo diretta dell’impresa non ebbe grande successo, anche se (la classe operaia) esercitò una notevole influenza sulla sconfitta prima, nel gennaio 1919 dell’insurrezione di Berlino guidata dai capi “spartachisti, Rosa Luxemburg e Karl Liebknechet e successivamente, del putsch di Kapp del 1920 ( il tentativo di golpe delle forze reazionarie, a cui partecipò il nascente partito “Nazionalsocialista”), indicendo uno sciopero generale.
“I sindacati, più dei partiti politici, erano sostenitori di una nuova forma di organizzazione sociale, un ponte tra la burocrazia statale (rimasta intatta dalla caduta dell’Impero) ed il popolo, un agente di trasformazione, da una democrazia politica a una democrazia sociale.” Con i sindacati operai iniziò un periodo di tolleranza, introdotto dal nuovo potere sociale, che inibì le disposizioni speciali del codice penale e delle forze di polizia, sulle proibizioni delle attività sindacali. Tutti i sindacati facevano riferimento ai partiti: i “Sindacati Liberi” erano collegati al partito Socialdemocratico, quelli “Cristiani” al partito di Centro (con diramazioni, al partito nazionalista tedesco). Il partito Socialdemocratico, il più importante di quel periodo, dipendeva finanziariamente dai sindacati i cui funzionari eletti al ‘Reichstag’ (Parlamento tedesco) furono numerosi ed influenti tali da imporre, attraverso la ‘cogestione’ (tra sindacati e partito socialdemocratico), la trasformazione dell’economia capitalistica da ‘concorrenziale’ in Capitalismo Monopolistico di Stato, per il tramite di Cartelli e Trust, nel “Kombinat;” tale concentrazione capitalistica Monopolistica, si caratterizzò in una maggiore estensione burocratica delle forme organizzative del lavoro. A fronte di una diminuzione di operai specializzati espulsi a seguito dell’introduzione dei
grandi macchinari ( dovuti ad una ‘rivoluzione industriale’ svoltasi in tutti i campi, in particolare nella chimica), si contrappose il contemporaneo aumento di impiegati, funzionari, tecnici ed operai generici scarsamente qualificati e addetti ai processi di manutenzione delle fabbriche. L’estensione inoltre della Legislazione Sociale (resa possibile dai crediti Usa concessi alla Banche tedesche e utilizzati nelle ‘politiche sociali’ socialdemocratiche) facilitò ulteriormente quelle concentrazioni, con salari più alti, orari corti e migliori condizioni di lavoro, creando nel contempo, oneri sociali insostenibili per le piccole imprese che dovettero chiudere liberando una quantità enorme di manodopera, elevando i livelli di disoccupazione e mutando la composizione della popolazione attiva. Ma del resto, i sindacati operai socialdemocratici e comunisti consideravano i Monopoli Industriali-Finanziari come forma superiore di organizzazione capitalistica, una sorta di ‘architrave’ del Socialismo a seguito di una maggiore socializzazione dei fattori produttivi e finanziari (e su questo aspetto il “Capitale Finanziario” di Hilferding ebbe una grande rilevanza); di converso, nella percezione delle classi subalterne, in prevalenza di matrice socialdemocratica (e comunista), di avere quasi raggiunto il Socialismo, aumentando di conseguenza la disaffezione allo sciopero ed ai sindacati, anche perché lottando contro i Monopoli si lottava un “pò contro se stessi;” gli scioperi del 1931, nel periodo di maggiore crisi economica-finanziaria mondiale ( Wall-Street), si ridussero drasticamente. Il “pluralismo politico,” del periodo di Weimar, assunse la forma di uno organismo burocratico, appiattito nelle Istituzioni in modo quasi simbiotico, nell’identificazione con la macchina amministrativa e legislativa dello Stato. In particolare, la ‘Burocrazia Sindacale’ diventò potente e ramificata organizzazione, composta da apparati pletorici, che garantivano molti posti di lavoro nei sindacati, nelle proprietà sindacali delle imprese edilizie ed immobiliari, case editrici, finanche una Banca del Lavoro…; alcuni funzionari sindacali ricoprivano 5 o 6 incarichi politici sindacali contemporaneamente. In conclusione, il sindacato(i) non riusciva(no) più a svolgere le normali funzioni di rappresentanza di difesa dei lavoratori disoccupati, né a indire scioperi nel momento della maggiore crisi politica-finanziaria del ’32, nè con le “pre-dittature”di Bruning e von Papen.; su questo vuoto politico-sindacale si ramificò il nazionalsocialismo fino alla sua presa del potere (’33).
Il quesito posto all’inizio sul perché vinse il Nazionalsocialismo, ritorna più inquietante che mai; del resto, il Nazionalsocialismo non poteva non vincere. La sua vittoria si sviluppò anzitutto su precondizioni politiche createsi fin dal dopoguerra(1918), dalla socialdemocrazia tedesca che trasformò il periodo di Weimar, da economia industriale, a economia con prevalenza del Finanziario (sull’Industriale), gestito da apparati burocratici (politici) in totale dipendenza agli indirizzi produttivi degli interessi finanziari Usa-(Inglesi). La prevalenza del Capitale Finanziario sull’economia (soprattutto per i debiti di guerra ed i prestiti concessi dagli Usa alle banche tedesche nella metà degli anni ’20) fece assumere al Nazionalsocialismo (quello della prima ora, delle famigerate squadre “SA”) caratteristiche politiche inusitate, guidate da un forte anticapitalismo e antimonopolismo, di denuncia nei confronti dei sistemi “Plutocratici” (finanziari-industriali) nazionali in dipendenza di quelli internazionali che impedivano ogni sviluppo produttivo autonomo; un paragone alla situazione attuale, potrebbe essere nel riferimento al sistema ‘Simil-Plutocratico’ del FMI (Fondo Monetario Internazionale) che, sotto il pieno controllo Usa, gestisce in modo imperiale, cioè selettivo secondo le proprie priorità, il finanziamento da concedere ai paesi membri. L’altro fronte di conquista del Nazionalsocialismo fu l’accordo (non senza prima aver fatto i conti al proprio interno con le famigerate squadre naziste SA) con i maggiori gruppi monopolistici industriali (Krupp, Flick, Mannesmann, ) con un inversione di tendenza dello sviluppo economico, nella prevalenza questa volta dell’Industriale sul Finanziario, rompendo o allentando tutti i vincoli bancari internazionali, e da ultimo infine, l’effetto forse più eclatante, impresso dal nuovo regime nazionalsocialista nella creazione nel breve volgere di tempo (un anno circa) di 6 milioni di posti di lavoro.
Seguendo il filo del discorso di Neumann, il partito nazionalsocialista dopo la presa del potere, decise di lasciare in vita i vari sindacati, ponendoli sotto la sua guida con un unico simbolo (NSBO); I due presidenti dei “Sindacati Liberi” “Leipart e Grassmann”, sciolsero l’alleanza con il
partito socialdemocratico e promisero la futura neutralità politica del movimento sindacale. “Il primo maggio del ’33 venne celebrata la nuova festa nazionale; numerosi funzionari sindacali, insieme a pochi iscritti, che ancora speravano di salvare la loro struttura organizzativa, parteciparono alle celebrazioni a fianco dei nazionalsocialisti. Il giorno successivo, camion carichi di camicie brune e nere fecero incursioni in tutte le sedi sindacali arrestando i dirigenti in mezz’ora esatta, la colossale organizzazione dei sindacati crollò. Non vi fu alcuna resistenza: nessuno sciopero generale e neppure una dimostrazione di un qualche rilievo..” Nello stesso mese di maggio, la Procura di Berlino confiscò tutte le proprietà dei sindacati e riunendo le tre categorie principali, impiegati, operai, datori di lavoro in un unico sindacato denominato “Fronte del lavoro” che si propose di distruggere le differenze naturali create dalla divisione del lavoro, creando un sistema di “Comunità Industriali Federali.” Il Fronte del lavoro fu una organizzazione composta da 25 milioni di membri “ Esso è l’espressione più caratteristica del processo di completa atomizzazione delle classi lavoratrici….Il Fronte del lavoro… non è una organizzazione contrattuale poiché non ha nulla a che vedere con la regolamentazione dei salari e delle condizioni di lavoro …. i singoli operai non sono membri delle comunità federali ma solo ed esclusivamente dell’organizzazione generale….il compito principale del Fronte del lavoro (in quanto organismo affiliato al partito) è l’indottrinamento della classe operaia tedesca e la distruzione degli ultimi residui di socialismo e di marxismo.”
Ma sulla base della atomizzazione delle classi lavoratrici e di come quest’ultime abbiano aderito al regime nazista (‘in toto’ al cento per cento) nacque il grande ‘rebus storico’ che ha arrovellato, solo i pochi(ssimi) studiosi che si sono cimentati in questo arduo compito, tra cui Neumann. L’autore ricorda che l’innesto di questa ideologia della “comunità aziendale” di stampo nazista, ha trovato il ‘focus’ ideale nell’ideologia delle comunità nei rapporti di lavoro lasciate in eredità da Weimar, che con l’istituzione nel 1921 dei Consigli di Azienda, si aboliva una precedente legislazione, già esistente con “l’Impero di Guglielmo,” con la quale il datore di lavoro in quanto proprietario, doveva sopportare tutti i rischi inerenti al funzionamento della sua impresa. Nell’idea della nuova comunità dei Consigli di Azienda, il dipendente era “un anello vitale” del rischio insieme all’imprenditore e “Fu una comunità delle perdite mai dei profitti” O come si dice oggi nell’esperienza italiana della “Grande Impresa Decotta ed Assistita”: la socializzazione delle perdite nella privatizzazione dei profitti.
La base ideologica del concetto di comunità nei rapporti di lavoro, estesa e consolidata durante Weimar, permise al nazionalsocialismo di realizzare un ulteriore passo in avanti, decisivo, per raggiungere l’obbiettivo dichiarato dell’atomizzazione dei rapporti di lavoro ed attraverso questo, “ l’annullamento di ogni accordo individuale su cui poggiano i contratti collettivi.” Il corollario a questa interpretazione era che “ il rapporto di lavoro è un rapporto comunitario basato sull’onore, la fiducia,e la dedizione, in cui un dipendente utilizza la sua forza lavoro per un imprenditore il lavoro non è una merce; il lavoro è onore.” La Carta del Lavoro del 1934 comincia così: “ In azienda lavorano l’imprenditore come capo, gli impiegati come gregari, per realizzare insieme gli scopi aziendale e nel comune interesse dello stato e del popolo;” come si può dedurre, un ricalco del concetto di azienda nazionalsocialista su quella lasciata in eredità dalla repubblica di Weimar.
Per fare una ‘quadratura del cerchio’ sia pure approssimativa, si deve aggiungere che quel profondo ed improvviso cambiamento, ebbe una lunga gestazione durata circa dieci anni; la ricostruire di quel periodo è possibile solo con un lavoro di archeologia politica, nei segni delle ‘similitudini ideologiche’ che vennero a formarsi e che fecero da traino drammatico (in)tra i due passaggi storici fino alla “rivoluzione dentro il capitale.” E’ altrettanto indubbio, che l’ideologia marxista (della III° Internazionale) permeava tutta la società di Weimar, non a caso il partito socialdemocratico era il primo partito e che i movimenti nazionalisti-radicali della prima ora non potevano non essere influenzati se volevano avere una certa presa sul disagio sociale politico-economico crescente. Lo ‘pseudoegualitarismo’ insieme ad un anticapitalismo fece da collante ideologico e maturò dall’interno della nuova formazione economica sociale, come necessità endogena di un apparato industriale altamente razionalizzato e necessitato di una estensione
numerica continua, “dell’operaio specializzato,” emblema e simbolo della Nuova Grande Industria tedesca.
Similmente alla idea di Socialismo della III° Internazionale, realizzato per il tramite della socializzazione dei fattori della produzione, così nel nazionalsocialismo l’ideologia della socializzazione rappresenta l’alba della nuova società, nell’espressione di un più spinta Socializzazione, in una “espressione altamente razionalizzata,” nella forma del Capitalismo (Monopolistico) di Stato, insieme ad un più approfondito nascondimento del rapporto sociale, tra dominanti (agenti del ‘capitalismo manageriale’ del nazionalsocialismo) e dominati: un rapporto di dominio reale, dentro una finzione di egualitarismo e che, “non acquista valore intrinseco per il fatto che risulta fondata nella natura dello spirito stesso e si presenta così, in determinate condizioni, con una specie di universalità e regolarità.” Il totale asservimento del dominato, nella ‘Nuova Società’ del nazionalsocialismo, si afferma, come corpo sociale compatto al servizio della ‘tecnoscienza;’ la ferrea organizzazione del lavoro viene tenuta in vita e gestita dall’ideologia di potenza della scienza, dove l’automatismo della macchina si umanizza, come nella rappresentazione del bel film “Metropolis” di Fritz Lang, prodotto nella seconda metà degli anni ’20 durante il periodo di Weimar.
G.D. Dicembre ‘07