QUANTA SOPPORTAZIONE CI VUOLE, scritto da GLG, 24 nov. ‘12
Per uno come me, abituato a “dire pane al pane….ecc.”, è difficoltoso seguire le vicende italiane senza indignarmi con gli interpreti meschini di una squallida farsa. Abbiamo ai nostri vertici dei figuri di basso livello, senza arte ne parte; quindi assai pericolosi per le nostre condizioni di vita in un futuro sempre più tenebroso. Essere alla mercé di gente simile dà molto fastidio. Comunque, ammetto che non serve a nulla offenderli né augurare loro la fine che indubbiamente meriterebbero. D’altra parte, attualmente la situazione mondiale, e italiana per quanto ci concerne più da vicino, è avvolta nella nebbia. Le incertezze sono tante e tipiche della neostrategia del caos seguita dagli Usa almeno dal 2006 (ma con accelerazione dall’elezione del nuovo presidente americano, adesso rieletto). Nel 2008 è iniziata pure una crisi economica che ci accompagnerà a lungo. Non si traggano però conclusioni circa rapporti di causa/effetto tra essa e il mutamento strategico; gli eventi s’influenzeranno a lungo vicendevolmente, pur non essendo strettamente interdipendenti.
La suddetta strategia del caos ha ottenuto risultati non indifferenti nelle pretese “rivolte arabe” (nel nord-Africa) del 2011; e sta conseguendo discreti risultati pure nel nostro paese, ormai avviato lungo una china discendente difficilmente risalibile. Lo sfacelo era già in pectore da tempo, ma si è accelerato dalla fine del 2010 (una data significativa è il 14 dicembre quando Berlusconi si salvò dalla sfiducia per appena tre voti, dopo l’abbandono di Fini, ecc.). In quell’anno vi erano stati gli importanti viaggi negli Usa dello stesso Fini (incontratosi con i democratici John Kerry e Nancy Pelosi) e soprattutto di Napolitano, il vero garante di Obama in Italia. Se l’ultimo premier regolarmente eletto nel nostro paese sia stato spaventato o si sia convinto a collaborare all’accelerazione del degrado italiano è assai poco importante. Prendiamo in considerazione soltanto alcuni “fatti” e vediamo se essi ci possono suggerire indicazioni di massima.
Intanto, dopo averlo ricevuto con tutti gli onori a Roma, Berlusconi abbandonò al suo destino nel 2011 Gheddafi, pur trincerandosi dietro un’apparente freddezza e distacco rispetto all’aggressione Nato e affidando i più sgraditi compiti a Frattini (agli esteri) e La Russa (alla Difesa). L’Italia partecipò pienamente, malgrado le apparenze, alla guerra contro la Libia (con un numero elevato di missioni aeree e non solo consentendo l’uso delle sue basi). Questo impegno, forse assolto troppo in sotto tono, non ha impedito il ridimensionamento drastico dei nostri interessi conquistati nel paese arabo, spesso in collegamento con la Russia. Fu anzi Putin, tornando proprio dalla Libia (e Algeria) nell’agosto del 2003, a fermarsi in Sardegna da Berlusconi, spingendo per l’accordo tra Eni e Gazprom che condusse al punto alto del progetto Southstream (da tempo l’Eni ha drasticamente ridimensionato la sua partecipazione in esso) e che ebbe comunque riflessi di rilievo pure nei confronti di un’alleanza con il paese arabo. Riflessi oggi molto ridimensionati, ma non completamente scomparsi proprio perché solo ufficialmente gli aggressori della Libia sono stati soprattutto francesi e inglesi (con dietro gli Usa che diedero una bella spinta e fornirono molti “servizi logistici”, fra cui la prima salva di oltre cento missili mare/terra che spianò la strada alle successive operazioni); gli italiani si sono conquistati alcuni “meriti”, tenuti però sotto traccia.
Complicità o costrizione alla stessa da parte di Berlusconi, questo ha oggi poca rilevanza. Egli se ne dovette comunque andare (forse l’accordo c’era fin dall’inizio o forse no) e arrivò Monti, evitando accuratamente le elezioni; evento già deciso da mesi e il cui verificarsi è stato preparato dagli Usa (di cui egli è un fiduciario decisamente “passivo” e remissivo, tanto quanto Draghi) tramite il loro garante italiano, il presidente della Repubblica. Da allora Berlusconi ha agito con un continuo andamento a zig zag, che ha disorientato il suo elettorato e ha infine condotto allo sfascio del Pdl e del centro-destra in genere (poiché, per altra via, si è trovato modo di mettere zizzania nella Lega, approfittando di reali reati commessi da suoi dirigenti e adepti, ma soprattutto aiutando l’ascesa di Maroni, ormai ben introdotto in dati ambienti filo-atlantici, pur se non allineato con il progetto “Monti premier”).
Fin dall’inizio, pensai che Berlusconi – ormai messo alle strette e impossibilitato a proseguire la politica internazionale che il suo “senso affaristico” gli aveva suggerito da un certo momento (2003 appunto) in poi – fosse entrato nella determinazione di liberarsi di un carico così grosso come il Pdl, ormai incartapecorito e con gruppi dirigenti sbandati in varie direzioni e nemici fra loro (alcuni addirittura pronti a votarsi a Monti, cioè a Napolitano, cioè a Obama, senza più se né ma), arrivando alla costituzione di un partito del 10-12% o poco più, sufficiente comunque a contrattare compromessi con altri schieramenti politici italiani in notevole frammentazione. Non sono sicuro di avere interpretato correttamente le sue intenzioni pur se quanto sta accadendo in questi giorni sembra rendere abbastanza credibile la mia impressione. In ogni caso, la questione interessante, da tenere presente, è la seguente: nel 2008 il Pdl prese il 37% dei voti, oggi i sondaggi lo danno al 15. Vi sono senza dubbio frange che si verseranno nel “Movimento 5 stelle”, ma sembra trattarsi di “frattaglie”. Vi è un 20% circa di elettorato (non del Pdl, proprio del corpo elettorale italiano) che al momento è in attesa e dunque sembra volersi astenere; diciamo che ha qualche somiglianza con l’elettorato Dc-Psi dopo “mani pulite”, sottovalutato da chi voleva attribuire il governo agli ex comunisti (e pidiessini), con il contorno di alcuni settori democristiani e socialisti del tutto minoritari; una massa di voti che alla fine si riversò su Berlusconi, “tirato per i capelli” ad entrare in politica per salvare se stesso.
Non credo che la storia si ripeterà. Allora fu abbastanza facile convincere un elettorato sprovveduto – e inviperito per un’operazione giudiziaria che aveva travolto i suoi partiti di riferimento, salvando artatamente l’ex Pci – del pericolo che i comunisti stessero arrivando al potere (appoggiati da Agnelli e dalla Confindustria, e dalla “manina d’oltreoceano” per usare un’espressione di Geronimo, alias Cirino Pomicino; proprio comunisti doc insomma!). Oggi, questo 20% non intende spostarsi a “sinistra”, ma certamente non è poi tanto spaventato dal “comunismo in agguato”. I maggiori sprovveduti sono attualmente i giornalisti e i propagandisti del centrodestra, in testa proprio i berlusconiani, che ancora rispolverano un simile pericolo e hanno il coraggio di indicare in Napolitano un nostalgico del sovietismo. Come semplice esempio, cito un pezzo di Sallusti (che non scuso pur comprendendo la sua amarezza per le vicende, senz’altro assurde, in cui sta incorrendo): “Non parliamo di Napolitano, capo della magistratura, che non ha proferito parola in tutti questi giorni dimostrando di essere quello che è: un rancoroso comunista [nemmeno tra virgolette, ndr] che pensa così di prendersi una squallida rivincita sulla storia che lo ha visto sconfitto” (Il Giornale, 23 novembre).
C’è invece da parlarne, eccome, perché Napolitano è un “comunista” che ha mantenuto a lungo tale etichetta, avendo però cambiato contenuto per almeno due volte. Intanto, da n. 2 della “corrente” (non ufficiale perché il Pci non aveva frazioni organizzate) amendoliana passò di fatto a fianco di Berlinguer, segretario nel 1972, ma già fortemente influente nel partito come vicesegretario dal 1969. In secondo luogo, in concomitanza con questa confluenza, iniziò proprio nel 1969 lo spostamento del Pci – per necessità mascherato durante un ventennio, ma sempre meno man mano che l’Urss s’indeboliva – verso l’alleanza atlantica, cioè verso la sudditanza agli Stati Uniti. Il viaggio “culturale” napoletaniano in tale paese (nel 1978) fu lungamente preparato, con molti risvolti segreti di cui è difficoltoso (e soprattutto pericoloso) parlare. Così come sarebbe da chiarire tutta la contemporanea vicenda del “rapimento Moro”, su cui non è mai stata detta la verità, bensì l’esatto contrario della stessa. Comunque, quel che qui interessa è soltanto la trafila compiuta dal Pci per passare da una sponda all’altra, passaggio in cui l’attuale presdelarep ha agito da protagonista (uno dei protagonisti), potendo tranquillamente vantarsi d’essere stato fra i vincitori, fra coloro che hanno puntato sul “cavallo” giusto. Gli sconfitti furono Moro (e Fanfani) e poi Craxi, che s’illuse nel 1989 di avere battuto gli avversari piciisti (difficile capire simile marchiano errore, che Andreotti non commise, subito consapevole che la sua “era” stava finendo).
Oggi viene battuto nella sostanza pure Berlusconi, dopo vent’anni in cui è riuscito soltanto ad intralciare il passo ai sedicenti comunisti (atlantisti!). Il “comunista” Napolitano è quello che lo ha richiamato alla realtà durante l’aggressione alla Libia – sulla quale il cavaliere, o realmente o per finta, giocava allo schizzinoso – ricordandogli che non si potevano abbandonare gli “alleati” della Nato, organismo che solo un mentitore potrebbe ritenere autonomo rispetto agli ordini perentori degli Stati Uniti. Il fallimento di Berlusconi, così come quello ormai evidente e finale dei suoi seguaci, è dipeso precisamente dall’aver voluto fingere l’esistenza di comunisti rancorosi perché travolti dalla sconfitta dell’Urss. La stupidità – o meglio la menzogna sciocca e detta per timore dei più potenti americani – ha infine travolto chi, fin dall’inizio del resto, non riuscì, lui, a travolgere gli ex piciisti, come sarebbe stato possibile ove si fosse avuto il coraggio di sfidare gli Stati Uniti. Si è agito invece da Don Abbondio di fronte ai “bravi”, servitori della potenza egemone, e si è quindi ricevuta la lezione degli ultimi due anni; forse inevitabile comunque.
A questo punto, credo si possa dare per scontata la vittoria elettorale di quella che ancora ci si ostina a chiamare “sinistra” (con la presunta esistenza di una “destra”, opinione ancora più ridicola dati gli esiti cui va incontro il Pdl e, credo con poca differenza, pure la Lega, che al massimo cercherà qualche sponda nel campo “ufficialmente” avverso). Il progetto più gettonato sembra essere: Monti alla presidenza della Repubblica, qualcuno del Pd premier con alcuni degli attuali “tecnici” governativi come ministri e con la presumibile presenza di scampoli di “centristi” alla Casini, Montezemolo e gente del genere. E’ però bene usare spesso il “sembra”, perché credo che non tutto sia ben definito e si lascino perciò aperte altre prospettive; fra l’altro, magari, una utilizzazione in tono minore dello stesso Berlusconi se riuscisse a ri-galvanizzare una parte di quel 20% di astensionisti cui ho sopra accennato.
Nel 1970-71, seguendo le analisi del mio Maestro francese Bettelheim, predissi la fine del “socialismo reale”, che non era comunque affatto il socialismo previsto dai comunisti marxisti; una fine certa (al 95%) nel se, incerta invece nel quando. Quando venne Gorbaciov (1985) – e questa volta in contrasto pure con Bettelheim – predissi che costui sarebbe stato il liquidatore di quel sistema sociale e politico (e quindi economico); anche in tal caso senza alcuna presupposizione sui tempi e modalità (che furono in effetti abbastanza sorprendenti per velocità e mancanza di una qualsiasi resistenza). Dico questo perché mi sento oggi di predire, sempre nell’ambito del certus an incertus quando, che il “sistema Italia” – indicato erroneamente come “seconda Repubblica” mentre, pur essendo crollata la prima, non si è mai transitati ad una nuova e si è utilizzata la decrepita Costituzione per fingere una consistenza politica del tutto inesistente – sta andando incontro al tracollo più indecente della sua storia. La “sinistra” al governo, con tutti i contorni possibili, sarà l’annuncio del finale “pirotecnico” cui, prima o poi, assisteremo. E c’è da augurarsi che a nessuno riesca di rimettere in piedi un nuovo “intralcio” tipo Berlusconi (o qualcosa del genere) perché il nostro crepuscolo sarebbe ancora più torbido e drammatico.
Credo si possa, a questo punto, ritenere assai probabile che il finale della farsa (tragica) sarà piuttosto traumatico. Dopo vent’anni di non politica – da “mani pulite” in poi abbiamo assistito soltanto al “Berlusconi sì oppure no” – la “scopa” che spazzerà via tutta l’“immondizia” purtroppo accumulatasi dovrà essere usata da mani energiche, qualunque sia la soluzione cui si andrà incontro: il ritrovamento di una nostra dignità e sovranità o l’accettazione di una simil-colonizzazione assai avvilente. “Frankestein” – una classe non dirigente di tipo economico-finanziario del tutto indecente, con i suoi referenti principali in un centro-sinistra altrettanto indecoroso – ha voluto creare il suo “Mostro” (Berlusconi). Così l’ha dovuto inseguire tutta la vita (come nel libro di Mary Shelley) e morirà con lui in un finale di squallore tra i “ghiacci dell’Artico” che, in questo caso, saranno probabilmente illuminati da sinistri roghi “purificatori”. E con l’Italia si troveranno in difficoltà, forse minori ma non inessenziali, altri paesi europei; molti saranno i cambiamenti cui si assisterà nel prossimo decennio.
Non ci resta che seguire l’andamento di eventi sempre più meschini e molto pesanti per la nostra sopravvivenza. Sarebbe necessario si creassero infine collegamenti opportuni tra coloro che credono ancora alla possibilità di una resurrezione italiana (e dell’Europa, ma delle nazioni!).