REPORT, SERVIZIO ANTITITALIANO. NON FACCIAMOCI GABBARE DALLA “GABBANELLI”.

MilenaGabanelli

Milena Gabanelli ha colpito ancora. A tradimento. Per questo la chiameremo “Gabbanelli”, colei che fa informazione facendosi beffe della realtà. Innanzitutto, costruire un’inchiesta intervistando esclusivamente manager dimessisi o licenziati dal Cane “sestupede”, i quali hanno le loro buone o cattive ragioni per serbare rancore contro l’azienda, è già un espediente disonesto per direzionare l’indagine verso conclusioni precostituite.

La Signora ha notiziato, con quel suo sorrisino soddisfatto, che è stato Paolo Scaroni, attuale Ceo del gruppo, a sottrarsi all’intervista registrata, pretendendo una partecipazione in diretta che è fuori dalle corde del programma. Già, e vorrei vedere, conoscendola bene nessuno ci tiene a farsi infilzare su uno spiedino mediatico affinché le si alzi lo share mentre si affloscia la credibilità del malcapitato, soltanto per rispettare una fasulla ritualità da seconda serata. Report, ovviamente, non ha sentito ragioni perché il format è sacro allo stesso livello di profanazione delle somme tirate sempre in anticipo.

Di Fatti, la giornalista è abituata a costruire i suoi teoremi e a fare in modo che il mondo esterno vi si adatti. Per far questo sguinzaglia un esercito di free lance, lancia in resta o piuttosto faccia tosta e poca testa, che al posto delle domande fa provocazioni con un tono fastidioso e irriverente. Come accaduto con Antonio Fallico, Presidente di Banca Intesa a Mosca, accreditato quale mediatore di Berlusconi in Russia, al quale, per fargli capire il clima inquisitorio, gli è stato immediatamente sbattuta in faccia la parentela con Dell’Utri. Della serie chi frequenta il demonio è almeno un servo di lucifero. Ergo, il pubblico a casa doveva dedurne che il mediatore era un tipo poco raccomandabile, essendo tutt’uno con persone raccomandabili per niente. Se la Gabbanelli gradisce, per curare questi business border line, potremmo sempre allestire una bella selezione dalle orsoline. Possiamo stare sicuri che le nostre penitenze saranno infinite senza trovare mai il perdono dei nostri concorrenti che esulteranno più di lei.

Mi dispiace che nel trappolone sia caduto anche il ghost writer di Enrico Mattei, Marcello Colitti, col quale siamo stati a cena a Roma, insieme a Gianfranco La Grassa, qualche anno fa. In quell’occasione Colitti non fu meno tenero con gli attuali vertici aziendali essendo stato un membro dell’esclusivo gruppo dirigente costruito dal “Conducator” marchigiano, sui cui mirabili risultati c’è poco da aggiungere, ed in seconda battuta in quanto, dopo le privatizzazioni degli anni ‘90, a suo parere, l’Eni ha cambiato identità, smarrendo la propria mission nazionale. Può essere, ed è la stessa sensazione confermataci dal Prof Nico Perrone, anche lui vicino all’Eni per molto tempo, anche se non è la forma giuridica della proprietà in sé a determinare la maggiore o minore “vocazione” di Stato di un’impresa, come dimostrano le grandi multinazionali americane che pur private seguono e concordano il da farsi col loro governo in ambiti cosiddetti strategici. Comunque, collocata così la sua intervista, tra le accuse all’Eni di pagare tangenti all’estero, corrompendo funzionari per aggiudicarsi gare e appalti, e quella di assumere spie russe in società, si è ottenuto l’effetto di convogliare nello stesso pentolone anche le sue opinioni di tutt’altro tenore. Perché, ci metto la mano sul fuoco, se avessero fatto una domanda diretta sulle bustarelle a Colitti, che ai tempi d’oro del gigante energetico nostrano, ne avrà viste girare anche di più pesanti, la sua risposta li avrebbe fulminati sul posto. Quello dell’energia è un settore dove non si va tanto per il sottile poiché gli interessi delle compagnie si incrociano con quelli degli Stati e degli apparati di potere, nazionali e internazionali. Con le intese in tale campo non si fa esclusivamente business ma si veicola anche la politica estera di un corpo sociale nazionale e delle sue varie anime.

La Gabbanelli non vede o non vuol vedere che i mezzi utilizzati dai competitors di Eni sono molto più drastici e, in ogni caso, non escludono la corruzione di burocrati e managers. Il fatto che non emergano scandali non è indice di moralità, semmai di massima organicità e coordinazione delle classi dirigenti coinvolte sulle questioni statali dirimenti. Se i nostri alleati decidono di sbarazzarsi di noi e soppiantarci nei contratti sono molto più sbrigativi. O ci fanno fuori il Presidente piazzandogli una bomba sul jet, oppure, s’inventano una guerra, ci costringono a sparare con loro, vedi la Libia, e dopo averci dato una pacca sulla spalla ci schiaffeggiano prendendosi tutto quello che prima era nostro.

Cosicché l’illustre giornalista non ci arriva proprio a capire che tutti quegli accordi con i russi servivano a costruire una rete di protezione per i nostri interessi, sia politici che economici, senza la quale si viene disarcionati all’istante. Ma a lei questa dipendenza da Mosca, che dipendenza non è, non va a genio, mentre la subordinazione da Washington, attraverso l’assoluto rispetto delle regole di mercato, valevole per noi e meno per gli altri, è sinonimo di purezza di spirito. Ed infatti, come lo spirito evaporeremo senza resistenze e senza commozione dei nostri fantomatici partners occidentali.

Infine, davvero sconcertante il messaggio che si è fatto passare sulle estrazioni petrolifere nel nostro territorio. Le comunità locali sono spontaneamente restie all’invasività della tecnologia nel proprio recinto, anche se l’avvento delle innovazioni porta progresso e ricchezza dietro l’uscio di casa. La gente diventa facilmente preda di sciacalli che esaltano i disagi e nascondono i vantaggi di determinate scoperte, manipolando l’emotività pubblica ed il naturale attaccamento dell’uomo all’integrità del proprio ambiente. Così in Basilicata i soliti assaltatori della notizia ad ogni costo si sono presentati tra le persone del luogo per supportare i propri pregiudizi, recandosi ad interpellare unicamente ambientalisti e detrattori della modernità che vivono sulle paure collettive e traggono vantaggio dall’estrazione di sentimenti di ansia della popolazione. Come diceva Ludovico Geymonat, il popolo spesso aggirato dagli avvoltoi del profitto (perché sicuramente le compagnie petrolifere non sono associazioni caritatevoli) viene persino gabbato, anzi Gabbanelli, dagli untori dei timori sociali, i quali hanno la pretesa di fermare il progresso invocando argomenti puramente moralistici o tentando di contrapporgli vecchie concezioni del mondo a sfondo idealistico, “la vera contraddizione principale della nostra cultura non è quella fra il progresso scientifico [e tecnico] e l’aspirazione romantica a un tipo di vita che fu proprio dell’era prescientifica (era che può apparire degna di rimpianto solo a chi non ne abbia esaminato realisticamente tutti gli aspetti, anche i più crudi e ripugnanti)…i mezzi cui bisogna fare ricorso per estirpare i mali generati, entro questa società, dal progresso scientifico-tecnico sono ben altri e ben più seri di quello spesso proposti dai romantici denigratori della razionalità scientifica e, con essa, di tutto il mondo moderno”. Per Geymonat le masse [il linguaggio è vecchiotto ma rende bene l’idea, oggi diremmo le avanguardie sociali sinceramente nazionali] devono affrontare il problema a viso aperto, non per riportare l’umanità ad una utopistica civiltà di tipo agrario-pastorale, ma per dare inizio ad una civiltà nuova. Noi oggi ci accontenteremmo di una comunità nazionale consapevole dei suoi compiti storici e della necessità di garantirsi la sua indipendenza, politica ed economica, nella fase multipolare. Ieri sera, uno di questi ecologisti del piffero, è riuscito anche a sostenere che il petrolio lucano sarebbe quasi finito e che si sta procedendo a svuotare i pozzi più velocemente per riempirli di gas proveniente dalla Russia. Se questa non è dietrologia non so cos’altro possa essere, considerato che le riserve lucane sono le più grandi d’Europa. La teoria del picco in testa, in salsa strapaesana. Per chiudere, la Gabbanelli consiglia ai lucani di dedicarsi al turismo e all’acqua, altra importante risorsa regionale, lasciando perdere le estrazioni che sono dannose e non profittevoli per la collettività. Ci vogliono (sono lucano d’adozione) una Regione di pastori e di camerieri per tornaconti indicibili che non collimano con le nostre aspirazioni. Chiudessero il becco e pensassero a non avvelenare il pozzo delle nostre speranze di sviluppo. Gabbati dalla gabbanelli è l’ultima cosa che accetteremo.