Riepilogando sulla Libia di Ennio Abate
Dopo il Forum del 17 maggio 2011 a Cologno Monzese.
Καὶ ἠγάπησαν οἱ ἂνθρωποι μᾶλλον τὸ σχότος ἢ τὸ φῶς.
[E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce]
(Giovanni, III, 19)
Mi auguro che una coscienza sempre più precisa
di quel che succede al mondo e al nostro paese
costringa un numero sempre più grande di uomini e di donne
a unirsi per distruggere il potere degli assassini,
degli sfruttatori, dei pubblici mentitori
e per spezzare le armi dei loro complici.
Non voglio dire nemmeno una parola
per confermarvi in quello che già sapete.
È agli altri, a quelli che non sanno, che bisogna parlare.
Bisogna parlare a quelli che fingono di non sapere.
E parlare sapendo bene che gli uomini non si muovono
né con le parole né con l'esempio,
ma che solo di parole e di esempi possiamo disporre.
Quindi bisogna sapere bene che cosa dire e che cosa fare.
Saperlo assai meglio di quanto non lo si sia saputo in questi tre annii.
La rabbia non basta. La ragione non basta. La verità non basta.
Se bastassero, non ci sarebbe bisogno di politica.
E invece ce n'è sempre più bisogno.
Chi vuol salvarsi l'anima la perderà.
E invece è necessario prepararsi a non perdere più nulla;
che è il primo modo di vincere.
(F. Fortini, Per un comizio, in Un giorno o l’altro, p.434, Quodlibet, Macerata 2006)
1.È dal 1991 (prima guerra del Golfo) che l’Italia – servile e ipocrita, di destra e di sinistra – ripudiando nei fatti la sua Costituzione, esteriormente omaggiata da tutti i leader politici, partecipa attivamente, con mezzi e uomini, alle guerre “postmoderne” (Kossovo, Afghanistan, Irak, e ora Libia). Eppure, adeguandosi al linguaggio dei padroni statunitensi, quasi tutti lo negano o chiamano tali guerre (con quante migliaia di vittime mai lo sapremo) “umanitarie”. L’ipocrisia sulla guerra è – chiariamolo – “senso comune democratico” diffuso in alto e in basso, sia nel ceto politico che nella “società civile”. E scorre attraverso la TV ma anche nei discorsi che si fanno nei consigli comunali, nei bar, con gli amici. Investe persino i gruppi pacifisti, man mano azzittitisi. I loro militanti in cuor loro sono sempre contro ogni guerra “senza se e senza ma”; però regolarmente, dopo ognuna di queste guerre, regalano voti ai partiti che le sostengono e offrono la loro “partecipazione” per “migliorarli”.
2. Come liberarsi dalla spazzatura dei luoghi comuni “democratici” sulla pace e la guerra? Parlando, come suggeriva nella citazione qui sopra Fortini, con quelli che sembrano non sapere? In piccolo, questo si è tentato di fare a Cologno Monzese martedì 17 maggio 2011 nell’Auditorium di Via Petrarca con un’assemblea pubblica indetta dal FORUM CITTADINO, sostenuto da CSD (Lista civica Cologno Solidale e Democratica) e dall’Associazione culturale LEFT. (Tra parentesi. Era la prima volta, da quando il 19 marzo scorso cominciò l’attacco della Nato contro la Libia, che una discussione sulla Libia veniva proposta in città. Per quasi due mesi né l’Amministrazione di centro-sinistra né alcun partito ha aperto bocca in proposito. E – altro dettaglio importante – essendo il FORUM luogo di discussione aperto, avevamo cercato di far venire relatori o testimoni di qualsiasi orientamento, senza preclusione alcuna).
3.Breve cronaca della serata: Si sono presentati all’appuntamento soltanto i relatori o i testimoni da me invitati: Osvaldo Pesce, che il 4 aprile 2011 allo Spazio Tadino di Milano aveva organizzato una tavola rotonda sulla Libia col Coordinamento milanese «Dalla parte dei lavoratori» e il blog “penna biro”; Paolo Sensini, storico e saggista, del quale il 5 maggio scorso all’«Officina Coviello», sempre a Milano, avevo ascoltato il resocontoii di un suo viaggio a Tripoli fatto a metà aprile assieme ad altri membri di un’associazione non governativa («The Non-Governmental Fact Finding Commission on the Current Events in Libya»); Michael Kidane, dell’Associazione democratici eritrei in Italia, che abita a Cologno ed è presidente della Consulta per la pace del Comune di Cologno Monzese. Tra il pubblico erano presenti gli assessori alla P.I. e ai Servizi sociali, oltre a membri di CSD e di Left. È stato proiettato il video di circa 10 minuti, girato dallo stesso Sensini durante la sua permanenza a Tripoli. Le riprese documentavano l’ampio appoggio della popolazione nei confronti di Gheddafi. Subito dopo Sensini ha spiegato le ragioni del suo viaggio (vedere di persona come stavano le cose a Tripoli) e criticato apertamente l’intervento militare di Francia, Inghilterra prima, dell’Italia dopo;
e infine della Nato. Kidane ha ricordato quanto la guerra in Libia abbia peggiorato la situazione dei molti immigrati che la florida (rispetto agli altri paesi dell’Afica) economia libica ha attirato in questi anni. Pesce ha insistito sulle mire colonialiste delle potenze occidentali, sui danni per la popolazione civile dei bombardamenti della Nato, sul pericolo che la politica internazionale scivoli sempre più dalla «cultura della giustizia» alla «cultura della vendetta».
4. Subito dopo gli interventi. Non uno di plauso o almeno di riconoscimento del valore di testimonianza diretta del video. Solo alcune critiche diffidenti verso il suo contenuto estese poi anche alle valutazioni politiche fatte da Sensini e Pesce. Le obiezioni? Il video era “di parte” (non dava voce agli “altri”, agli insorti di Bengasi) e sbilanciato (mostrava, insomma, il consenso – ritenuto non sincero, ma “di regime”- goduto da Gheddafi). La lettura degli avvenimenti libici e le critiche alle potenze occidentali poi si sarebbe basata su «vecchie categorie» (terzomondismo, imperialismo, colonialismo). C’è stato chi ha ribadito che Gheddafi era e resta un «dittatore» (che tra l’altro, andando al potere nel 1969, aveva espulso gli italiani dalla Libia). O che mancano tuttora informazioni sufficienti per pronunciarsi. O che l’Italia e gli altri paesi, pur se fanno la guerra, restano comunque democratici. O che, nel Maghreb, è in corso un mutamento (una «primavera dei popoli») sicuramente democratico e non si può che gioire della caduta di dittatori considerati «inamovibili».
5.Una discussione – breve, tra l’altro, per ragioni indipendenti dalla volontà degli organizzatori – su un tema così drammatico e controverso non poteva forse permettere di più. Eppure ha confermato la disattenzione democratica verso quest’ultima guerra intrapresa dall’Italia. I suoi guasti sono facilmente sottovalutati o minimizzati. Le conseguenze politiche di portata nazionale e internazionale sfuggono. Per provincialismo o spoliticizzazione ci si è rassegnati al nuovo corso, iniziato appunto dal 1991, per cui le bombe, se “democratiche”, ben sostituiscono la politica o la proseguono più “efficacemente”. È un atteggiamento da struzzi. Ma lo struzzo – pare – nasconde la testa sotto la sabbia per paura. E la paura in passato aveva almeno suggerito delle manifestazioni (simboliche certo) contro la guerra. Ora, invece, domina proprio il preoccupante “buon senso comune democratico” che s’ identifica più facilmente di una volta col cinismo dei “più forti” (dei meglio armati, dei più potenti tecnologicamente). Si avverte sempre meno quello che provano chi subisce le “nostre” guerre. Chi ha più curiosità o simpatia o preoccupazione per loro, per i “civili”? Come staranno vivendo di notte, sotto le bombe, i giovani e le ragazze, i cui volti per qualche secondo si sono affacciati nel video di Sensini? C’è la presunzione che la “nostra democrazia” sia comunque e sempre superiore e preferibile alle «dittature», che per il “buon senso democratico” rientrano nell’indistinto Regno del Male: una notte in cui tutte le vacche – da Pol Pot, a Saddam, a Gheddafi – sono nere; o diventano – a turno e a comando (Usa) – incarnazioni di Hitler, il quale resta tuttora il campione assoluto del Male, minacciato solo dalla concorrenza di Stalin, essendo gli altri leader, specie se occidentali, agli ultimi posti in classifica. Ecco il dogma (fondamentalista) che ostacola ogni interrogazione e confronto persino tra noi e che fa accettare i fatti compiuti, le guerre cioè, alla cui criminalità nulla più si oppone. Non la parola. Non la testimonianza. Neppure l’indignazione da profeti disarmati. E perciò prevale il pragmatismo spicciolo: anche se nel caso della Libia l’intervento militare italiano o della Nato fosse sbagliato, ormai, “visto che lo si è cominciato, è bene portarlo a termine” (ovviamente con l’eliminazione di Gheddafi, come Obama comanda). All’anima dei Valori! All’anima della verità, della giustizia, della pace e della politica come «arte del possibile»!
6.La sera di martedì 17 maggio ho avuto una nuova prova che amici e amiche di sinistra (gli unici poi che vengono – per senso di colpa? per contrastare gli “estremisti”? – a tali assemblee) non intendono uscire dagli schemi “umanitari” e “democratici”. Restano i mugugni o i distinguo. Ma in privato. Il NO ALLA GUERRA viene pronunciato dove non guasta la prosecuzione della politica quotidiana. Cosa verrà dopo la Libia, se questo ennesimo atto di “esportazione della democrazia” a suon di bombe sarà benefico per noi (ma chi siamo noi oggi?), per l’Italia o per i “civili” che si dice di voler proteggere o liberare, perché tanto facilmente la “sinistra” finisca per appoggiare il «colonialismo» (vecchissima categoria, ma – ahimè – con quali nuovi nomi chiamare questi interventi militari?) come finirono per fare, in altra epoca, fior di socialisti (e perfino un marxista come Labriola!): sono tutte questioni da rimandare. L’agenda al momento è piena di incontri per risolvere “problemi concreti”.
7.Un atteggiamento da colonialisti (passivi o attivi) è insopportabile nei giovani. Lo è cento volte di più, secondo me, nei vecchi, specie se provenienti dal PCI o dal ’68 o da persone “d’area cattolica”. Non mi aspettavo, in verità, di più martedì sera. Perché in questi due mesi, avendo dichiarato da subito come singolo la mia posizioneiii anche su alcuni siti e blog e poi avendo vanamente tempestato amici e amiche con articoli che commentavano gi avvenimenti in corso, risposte o commenti ne ho ricevuto da pochissimi. E credo che non ne avrò neppure dopo l’invio di questo mio resoconto ragionato della serata del 17 maggio. So però che oggi, 22 maggio 2011, rispetto ai primi eventi di fine marzo-aprile 2011, tutti sappiamo più cose: che ci sono state vittime “civili” dei bombardamenti compiuti dalla Nato “per proteggere i civili”; che in alto e in modi oscuri si vanno definendo le ben poco democratiche strategie di contenimento dei sommovimenti sociali scoppiati nel Maghreb; che si sono chiarite le mire neocolonialiste di Francia e Inghilterra; che il voltafaccia della politica estera italiana su diretta pressione statunitense e con l’appoggio incondizionato del presidente Napolitano è di estrema gravità; che la manipolazione dell’informazione è sfrontata (Cfr. La fabbrica del falso e la guerra in Libia di Vladimiro Giacchéiv). Non ci sono più scuse. La Libia è sola contro la Nato, abbandonata anche da Russia, Cina e Turchia, che potevano forse giocare delle carte per una soluzione politica e non tutta militare. L’Unione Africana o Chavez pesano poco. L’Italia si è aggregata ai più potenti, stracciando il trattato di alleanza con Gheddafi. No, non avremo più scuse se continueremo a tacere e a non rispondere a
lla domanda scomodissima e cruciale che il video di Sensini attraverso la voce dei tripolini poneva: «Perché Francia, Inghilterra e Stati Uniti ci bombardano? Che cosa gli abbiamo fatto? Perché l’Italia, dopo aver stipulato col nostro paese un trattato di amicizia e di non aggressione, ci ha fatto questo?».
ii «Quello che ho visto in Libia 27 aprile 2011». Il testo l’avevo fatto circolare in anticipo nella mia mailing list; e si legge ora sul sito di SINISTRAINRETE : http://www.sinistrainrete.info/estero/1354-paolo-sensini
iii Si legge sul sito «Comunismo e Comunità» in due commenti in dialogo con Lorenzo Dorazio in appendice al post intitolato: Contro l’interventismo “umanitario” bombardatore. Fuori l’Italia dalla guerra, no alle ingerenze imperialiste. Solidarietà alla Libia : http://www.comunismoecomunita.org/?p=2274#comment-1320
iV http://www.sinistrainrete.info/politica/1376-vladimiro-giacche-la-fabbrica-del-falso-e-la-guerra-in-libia