RIFARE L’ITALIA SOVRANA
I Palazzi del potere sono pieni di manine che cambiano le carte in tavola alle spalle dei legittimi governanti. Il Governo in carica è abbastanza sgradito ai parrucconi filoeuropeisti ed è facile che per ostacolare le iniziative dell’Esecutivo si ricorra al colpo a tradimento, allo spargimento di sospetti e menzogne, alle subdole manovre dietro alle quinte, alle trame indicibili per mettere in difficoltà qualche suo esponente o l’intera compagine. C’è da dire che gli stessi due partiti che compongono il “gabinetto populista” sono stracolmi di stronzi, pronti a vendersi per una ricandidatura o un posticino di rilievo, ominicchi disposti alla pugnalata alla schiena per la propria carriera personale. I boiardi di stato, i grand commis, i tecnici dei livelli apicali nei ministeri devono essere “messi a posto” se si vuol dare una direzione diversa a questo pauvre pays. Non siamo in tempi rivoluzionari e non si possono usare i fucili alla schiena degli specialisti come affermava Lenin ma senza pugno di ferro, rudezza di modi ed obiettivi ben definiti la svolta non può avvenire. Adesso si dirà che chi scrive è un complottista, uno spregiatore delle regole democratiche o un attentatore della stabilità istituzionale. Chi scrive vuol solo de-scrivere la realtà di quello che accade nelle recondite stanze dello Stato, di uno Stato soggiogato da potenze straniere e lacchè nazionali, di ogni livello, da queste protetti. Poiché simili teorie non scandalizzano nessuno se appaiono su riviste “specializzate” citeremo direttamente da queste. Ecco cosa scrive Carlo Pelanda sul numero di agosto di Limes: “La sola occupazione delle istituzioni da parte dei partiti ha allargato e tuttora allarga in modo illimitato e indefinibile lo Stato profondo, portando le decisioni all’esterno del perimetro istituzionale. I partiti e i singoli politici sono pertanto aperti a infuenze di ogni genere, locale, nazionale ed estera, in cambio di denaro…Lo Stato colabrodo ha consentito ad alcuni comparti dello Stato stesso di alzare barriere contro la politica eletta. I politici di nuova nomina sono forzati a scegliere figure di gabinetto che possano mediare tra la linea politica espressa dal mandato elettorale e la prassi tipica dell’apparato della funzione statale in questione. In generale, tale gioco dove il potere politico è debole tende ad attutire i progetti di cambiamento eventualmente promossi dal politico stesso in quanto i diversi apparati statali esibiscono una tendenza all’inerzia e/o alla continuità. Questo effetto freno da parte della burocrazia strategica…in Italia appare più forte nel settore della politica economica e di bilancio perché è il terminale locale del governo europeo sul nostro paese. [direi che è ancora più sostanziale negli apparati di sicurezza e in politica estera]. La Ragioneria dello Stato, per esempio, caricata di potere dai vincoli di bilancio sia europei sia costituzionali – che unica in Europa ha incorporato norme molto ampie di governo esterno della nazione – nonché dalla funzione di presidio svolta dal Quirinale, ha un potere di blocco delle scelte politiche che si estende informalmente al condizionamento diretto della politica economica indipendentemente dagli esiti elettorali. Il ministero degli Esteri ha la medesima capacità di ridefinire l’interesse nazionale espressa dal governo di turno, in particolare se deviante dall’euroconformismo. La magistratura è un apparato statale piuttosto compatto e autoideologico, con un potere dissuasivo tale da impedire l’approvazione di qualsiasi norma sgradita. Il bilanciamento dei poteri istituzionali è del tutto asimmetrico, fonte di un disordine generalizzato. In sintesi, pur se il confine dello Stato profondo è indeterminato, ci sono alcuni suoi settori molto strutturati e con elevate competenze tecniche e potere di indirizzo autonomo o di interpretazione propria delle regole e degli standard da perseguire. In un mare di disordine queste isole di ordine – peraltro autoreferenziale – tendono ad aumentare il disordine stesso perché ostacolano, anche se per lo più dichiarando buone intenzioni, un’eventuale politica riformatrice. Dove la burocrazia strategica è più strutturata tende a essere indipendente dalle espressioni democratiche… i suoi funzionari [possono] compiere in autonomia scelte di fatto ideologiche in sostituzione dell’elettorato… nel caso un politico voglia controllare la burocrazia di riferimento in ministeri o agenzie sensibili per l’interfaccia europeo e per la politica economica, interviene il Quirinale avocando a sé tali scelte. Anzi, la forte e anomala autonomia della burocrazia in alcuni settori chiave dell’apparato statale è spiegabile dalla relazione diretta con il Quirinale che le conferisce un potere di contrasto o condizionamento della politica eletta. Paradossalmente, lo Stato profondo più rilevante è la presidenza della Repubblica…infatti i poteri privati interni e statuali esterni che vogliono influenzare l’Italia non danno molta attenzione alle elezioni politiche, ma esercitano la massima pressione sulla scelta dei candidati al Quirinale. E ciò avviene perché il vero potere in Italia, indipendente da qualsiasi controllo o bilanciamento democratico, lì risiede. Il Quirinale sceglie i ministri, pur in una rosa di candidati presentata dalla politica eletta, con incisività particolare per Economia, Esteri e Difesa. Non è propriamente un potere di burocrazia strategica, ma è a esso assimilabile. Le infuenze sistemiche esterne passano attraverso il Quirinale. Queste non vengono esercitate con pressione forte o ricattatoria, ma attraverso un sofisticato mercanteggiamento psicologico: fai scelte gradite e in cambio ti riconosciamo uno status elevato di interlocutore. In sostanza, un presidente della Repubblica Italiana, se vuole contare, deve scegliere un ministro dell’Economia e degli Esteri gradito a Francia e Germania e alla Bce e uno della Difesa gradito agli Stati Uniti”.
Pelanda e’ molto chiaro ed esaustivo. Piuttosto, lo correggerei esclusivamente nell’ordine delle ingerenze che partono dagli USA, si estendono a tutta l’Ue e dalle cerchie europeistiche si impongono ai vari membri. Quelli più forti possono gestire la “distribuzione” della sudditanza, procurandosi qualche vantaggio aggiuntivo, quelli più deboli (come l’Italia) devono subire tutti gli effetti di questa catena di “smontaggio” della sovranità nazionale. È ora di dire basta e di fare sul serio. Il clima geopolitico è cambiato. Chi continua ad accettare tale statu quo resterà schiacciato sotto il peso della Storia. Gli italiani, bene o male, ci sono, si tratta di rifare un’Italia sovrana.