RIMETTI A NOI I NOSTRI DEBITI di G. Duchini
“Rimetti a noi i nostri debiti”, è il titolo di un recente libro di Luca Ciarrocca (edizioni Guerini ed Associati, 20015) che si conclude in un modo alquanto curioso ed allo stesso tempo improbabile per le modalità con cui si vuole costruire un progetto: dare i soldi delle banche centrali direttamente alla gente piuttosto che alle banche commerciali, e lanciare un Giubileo del debito che permetta a tutti di ripartire da zero. Una idea interessante che può solo suggestionare i popoli molto ben predisposti a fare annullare ogni debito che li possa riguardare, e al tempo stesso l’idea che si possa suggerire una sorta di Robin Hood ante litteram: togliere ai ricchi per dare ai poveri.
Ma procediamo per ordine. Le economie dei paesi industrializzati, Europa in testa, hanno una popolazione in rapido invecchiamento con contribuenti in netto calo (per una crescita consistente della disoccupazione sia in età giovanile che in età avanzata, vedi l’Italia) e con un epoca ormai superata quando i tassi dello sviluppo economico erano più elevati con i pagamenti previdenziali dello Stato più prodighi e con un concomitante calo della crescita mondiale che nel lungo periodo risulta sostanzialmente dimezzata.
Il continuo incremento dell’indebitamento a livello globale con una Europa che attraversa una fase stagnante, la Cina con la sua bolla immobiliare e bancaria in forte rallentamento dopo anni di crescita tumultuosa e l’America come superpotenza è in grado perciò di assestare colpi durissimi all’intera economia mondiale.
Una società di ricerca americana McKinsey ha effettuato una ricerca a livello globale ed ha dimostrato che non è affatto diminuito il debito mondiale dopo l’apocalisse finanziaria del 2008, ma anzi è cresciuto passando dai 57 trilioni di dollari ai 200 trilioni di dollari del 2014 e ai 250 trilioni di dollari del 2015. Un debito del mondo che è grande quasi tre volte il Pil dell’economia mondiale stimato al 2014 in 73,3 trilioni di dollari.
“L’Italia è il paese con il terzo debito pubblico più grande del mondo e il maggiore dei 28 paesi dell’Unione Europea, in proporzione al Pil uno dei più a rischio al mondo in assoluto (2,2 trilioni di euro pari al 143% del PIL)…. Il debito pubblico in valore nominale dal 2007 (inizio della crisi) è aumentato di 616,1 miliardi di euro (+27,8%) passando da 1.602,1 miliardi a 2.218,2 (di cui 83,3 solo nel 2015); conseguenza: il rapporto debito/PIL è salito in modo abnorme dal 103,6% al 143%”.
Quando il Fondo Monetario Internazionale o la Troika intervengono per organizzare una ristrutturazione del debito, impongono condizioni che vanno contro gli interessi del paese indebitato.
A parte la Germania Occidentale e la Polonia di Lec Walesa le cui condizioni in cui fu abolito il debito sono difficili da immaginare oggi: bisognava anzitutto aiutare i paesi filo occidentali contro il Blocco filo sovietico; per il resto dei paesi in grave difficoltà come la Grecia, Cipro,Portogallo, Italia, ottenere un processo di ristrutturazione del debito simile a quello tedesco e polacco è improbabile se non difficile o impossibile.
Il debito contratto in pancia agli stati del mondo è verosimilmente il contrario della ricchezza accumulata dalle banche americane.
A questo proposito la senatrice democratica (Usa) Elisabeth Warren va contro lo strapotere delle banche Commerciali e banche d’Investimento. Nella nuova legge approvata da repubblicani e democratici ha cancellato l’obbligo di proteggere i contribuenti dalle conseguenze del trading (compera e vendita on line) di derivati, che stanno alla radice della crisi del 2008; i derivati non devono più obbligatoriamente essere postati in bilancio, il che vuol dire cancellare con un colpo di spugna una massa di oltre 700 trilioni di dollari di strumenti altamente speculativi.
Una legge dettata al congresso da Citigroup preparata dai lobbisti del gruppo bancario vicino al partito democratico. Alla banca erano affiliati tre dei quattro segretari al Tesoro in carica durante la presidenza Clinton e Obama. Il più influente di tutti è stato Robert Rubin per 26 anni a Goldman Sachs prima di passare a Citigroup. Da notare che fu proprio Rubin e i suoi uomini nell’amministrazione Clinton a preparare il testo e poi far approvare nel 1999, il Gramm-Leach-Bliley Act la legge che abolì lo storico Glass-Steagall Act varato durante la Grande Depressione degli anni Trenta, in cui l’attività di banca commerciale era rigidamente separata da quella di banca di investimento.
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Il debito contrassegna l’incapacità, la corruzione, la mancanza di visione della classe politica di ciascun paese. Siamo tutti più poveri, come cittadini, perché il valore attuale dell’impegno finanziario connesso all’aumento del debito comporta un servizio dello stesso più oneroso. Ovvero per pagare gli interessi sui BOT e BTP emessi dallo Stato, gli italiani devono fronteggiare una maggiore tassazione, aliquote fiscali più elevate, offerta di lavoro inferiore, il che riduce il prodotto marginale del capitale (pubblico e privato), con proporzionale calo degli investimenti e della produzione.
Un debito inusitato e impossibile da estinguersi perché aumenta sempre più fino all’inverosimile dovuti per lo più ai tassi di interessi sui mutui contratti e che sono pari a 80-60 miliardi l’anno e che rappresentano un abbandono consensuale di tutta la sovranità nazionale, lasciando la gestione dell’economia italiana e la cosiddetta crescita alla Banca Centrale Europea ed alle disperate manovre monetarie e/o “alleggerimento quantitativo” di Draghi.
Ma si può pagare un debito del genere se sei in compagnia con il Giappone, Cipro, e Grecia? E qui una riflessione si impone quando
Interi pezzi di storia mandati nel tritacarne dell’intera umanità. E qui si ripresenta con più forza il titolo con cui si è esordito “ rimetti a noi i nostri debiti” Una invocazione di buoni propositi in un mare procelloso di conflitti dove il debito è più semplicemente la spada di Damocle calata sulla testa di ciascuno stato a ricordare che se non fa bene i compiti si concluderà con una mannaia spacca ossa.
E tutto ciò è solo in un senso figurato perché può fallire pienamente uno stato? Con tutta la sua storia millenaria fatta di costumi abitudini vivere sociale e con il progresso nel suo il limite più alto della convivenza, oltre il quale esiste solo l’imbarbarimento di ogni civiltà.
E se accade concretamente si realizza un salto nel buio nella storia di una società e con effetti inusitati perché si realizza nel più profondo di un popolo. Ma all’appuntamento della storia non ci arriveranno mai. Perché la minaccia è solo incombente è come una clava che non viene calata mai perché serve per tenere alta l’attenzione alla dipendenza del dominio invadente e dirompente degli Usa per il tramite del Fmi e fino al dispiegarsi di un multi pluralismo dopodiché un’altra pagina di storia si dovrà aggiungere.
Vorrei inserire un pezzo di un articolo di Ida Magli a proposito del fallimento degli Stati: “ E’ apparso all’orizzonte all’improvviso chi è riuscito a convincere il mondo che le Nazioni, gli Stati…l’Italia possa “fallire”; anzi, che sono sul punto di fallire. Parola incredibile, priva di senso riferita a un popolo, a una Nazione, a uno Stato. Nessuno “popolo” fallisce. Ma chi osa definire la morte “un fallimento”? Nazione, Stato, sono “figura” dei popoli. Non c’è nessuna Nazione, nessuno Stato, negli indici di Borsa. Non ci sono popoli, il loro nome, la loro identità, la loro storia, il loro pensiero, il loro lavoro: non ci sono né nascite né morti non ci sono né amori né pianti; non c’è quella “patria” per la quale si è data la vita cantando; non ci sono né la poesia né la musica; non ci sono infine, né religioni né speranza di eternità: nulla. Si chiamano valori di Borsa, ma appunto usurpando il termine “valore”, i governanti-economisti hanno compiuto un’operazione matematicamente invalida: i valori dei popoli non sono riducibili a numeri. Non sono quantificabili in cifre. Non si possono né sommare né sottrarre al capitale delle monete. Una Nazione, insomma non è il suo Pil. Questo allarme, dunque, è una truffa, una mostruosa truffa”.
GIANNI DUCHINI marzo ’16